06/12/2020
«Ricordo la sera che arrivai a Pavia e andai a vedere com’era la scuola dove avrei preso servizio. All’indirizzo che avevo, però, non c’era nessuna scuola, c’era soltanto il Policlinico San Matteo. La mattina dopo chiamai la segreteria: ci dev’essere un errore, dissi. E loro: nessun errore, lei è stata trasferita alla sezione scolastica del Policlinico. Reparto leucemici, quarto piano». Era il 1994. Luigia Della Femina dice che all’inizio fu terrore puro. Ma quei bambini, il loro coraggio e la loro voglia di vivere vinsero tutte le sue paure.
«È un mondo che esiste e siccome io non sono abituata a scappare mi sono detta: va bene, attraversiamolo. I primi tempi cercavo la distanza dal bambino, cercavo di non entrare nelle aree trapianto. C’era molta sofferenza. All’epoca l’esame del midollo lo facevano senza anestesia, magari stavi tutta la mattina con un bambino e poi venivano a prenderlo per il prelievo del midollo. Mentre usciva dalla camera sapevi che lo avresti sentito urlare, era davvero straziante. Adesso, dopo tutti questi anni, so che fare scuola a questi bimbi in ospedale è un percorso che fai con loro e con i loro genitori. A volte è difficile, lastricato di tanto pianto ma spesso è anche un percorso di gioia e di crescita. Io devo guardare la parte sana perché di quella malata si occupano i medici».
Nessuno ci pensa mai. Eppure ci sono bambini che una scuola vera non l’hanno mai vista. 👉 articolo completo, a firma di Giusi Fasano, sul sito del "Corriere" 📰