07/11/2025
Jung scrive che pecchiamo contro il non-potere, e da tempo risuona in me questa parola come un richiamo sottile alla resa, alla verità che non si vince.
Tutta la vita mi sono sentita tesa, protesa verso l’ideale: essere più buona, più bella, più giusta, più in forma, piu performante, più luminosa.
È una tensione che sembra spirituale, ma è solo un’altra forma di guerra.
Sergio Mazzei direbbe: “Benché tu combatta, non essere il guerriero.”
C’è una differenza immensa tra il vivere la lotta e il diventare la lotta.
Il guerriero si irrigidisce nell’idea di vincere o perdere, mentre la vita chiede solo di essere attraversata, senza eroi e senza nemici.
E Tolle, con il suo linguaggio quieto, ricorda che ogni volta che diciamo “no” a ciò che è, diciamo “no” alla vita stessa.
Il non-potere, allora, non è sconfitta: è il momento in cui smetto di lottare per essere diversa e mi accorgo che sono.
È quando smetto di credere che la mia umanità sia un errore da correggere.
È quando mi arrendo al fatto che certe parti di me non possono essere educate, ma solo amate.
Da quando ho memoria, il fumo mi accompagna come un respiro antico.
A tre anni già sognavo la sigaretta tra le dita: la vedevo accendersi nelle mani dei miei genitori, e in quel gesto sentivo qualcosa di intimo, caldo, amoroso.
Forse allora ho imparato che l’amore passa dal respiro, dal contatto col fuoco, dal bisogno di calmare l’ansia del vivere.
Fumare è diventato per me un modo di tenermi compagnia, di scaldarmi, di respirare ciò che in casa mia si respirava.
Come se, a ogni tiro, una parte di me volesse riportare dentro quell’amore che vedeva fuori, nell’aria azzurra che avvolgeva i miei genitori.
E forse davvero, come ho pensato una volta, mi fumo mia madre: non per distruggerla, ma per trattenerla, per farla entrare dove l’amore è mancato.
Oggi so che il fumo non è solo dipendenza.
È un linguaggio, un gesto che porta un messaggio:
“Lasciami respirare ciò che non ho ricevuto.”
Onorare il non-potere, per me, significa anche questo:
non combattere il gesto, ma ascoltarlo.
Non condannare la parte che non sa smettere, ma darle diritto di parola.
Quando non combatto, qualcosa si ammorbidisce.
Il fumo diventa respiro, il veleno si fa simbolo, e io sento che — nel punto esatto in cui non posso — inizia un’altra forma di potere:
quella di essere presente a ciò che è.