19/10/2025
Aveva mani che sapevano dare forma alla bellezza.
Ma il mondo non le ha mai perdonato di averle usate da donna.
Camille Claudel nacque nel 1864. Morì sola, nel 1943. In un ospedale psichiatrico. Dimenticata da tutti.
Che colpa aveva?
Quella di essere libera. Appassionata. Visionaria.
In un’epoca in cui alle donne era vietato accedere alla Scuola di Belle Arti di Parigi, Camille volle scolpire il marmo con la stessa potenza degli uomini. Non si arrese. Studiò negli atelier privati che accettavano, controcorrente, anche allieve.
Fu lì che conobbe Auguste Rodin.
Nacque una relazione intensa, fatta di passione e scultura, di ispirazioni e creazioni.
Scolpirono fianco a fianco. Mani che parlavano lo stesso linguaggio.
Opere splendide, molte oggi esposte al Musée Rodin e al Musée d’Orsay.
Poi lui se ne andò.
Rodin, già legato a un’altra donna, scelse la via più comoda.
Restò il maestro acclamato, il genio celebrato.
Lei fu lasciata nell’ombra. Ignorata. Derisa.
Non più solo come amante abbandonata.
Ma come artista.
Le sue opere non si vendevano più. Nessuno la cercava.
E Camille, ferita e delusa, smise di fidarsi del mondo.
La sua famiglia — colta, benestante, rispettabile — la trovava ormai imbarazzante.
Troppo inquieta. Troppo diversa. Troppo viva.
Suo fratello, Paul Claudel, poeta e diplomatico, fu tra quelli che scelsero:
rinchiudetela.
Trent’anni in manicomio.
Non perché f***e. Ma perché scomoda.
Lucida, Camille scriveva lettere piene di intelligenza e dolore.
Implorava aiuto.
Nessuno rispose mai.
Morì di fame, il 19 ottobre 1943, in un ospedale pubblico.
Nessuno della sua famiglia partecipò al funerale.
Fu sepolta in una fossa comune.
Come se non fosse mai esistita.
Eppure, la sua arte ha resistito.
Come le radici che si ostinano a vivere sotto il cemento.
Oggi Camille è tornata.
Le sue sculture brillano accanto a quelle di Rodin.
E a pochi chilometri da Parigi, esiste un museo interamente dedicato a lei.
Ma la sua storia resta una ferita aperta.
Quante Camille sono state messe a tacere, nei secoli?
Quante donne brillanti, coraggiose, sono state dimenticate solo perché erano troppo?
La vicenda di Camille non è solo una tragedia individuale.
È un grido.
È un promemoria.
È una memoria che non possiamo permetterci di perdere di nuovo.
Camille non ha avuto giustizia in vita.
Ma oggi, noi possiamo scegliere di non distogliere lo sguardo.
Di raccontarla.
Di restituirle voce, corpo, nome.
Perché ogni opera che ha scolpito è una dichiarazione d’amore al coraggio.
E ogni parola che oggi dedichiamo a lei è una scintilla di memoria che torna a illuminare.