07/11/2025
Nella notte di Halloween a Moncalieri un ragazzo disabile di quindici anni è stato attirato con un pretesto da tre coetanei, rinchiuso, seviziato, rasato e umiliato fino a essere gettato in un fiume. Un atto di gruppo, gratuito e feroce, che interroga le radici psichiche della violenza giovanile.
La violenza è l’annullamento dell’Altro come soggetto. Non è solo un gesto aggressivo ma un fallimento psichico della capacità di riconoscere e contenere la differenza.
È un processo di deumanizzazione: l’Altro smette di essere persona e diventa oggetto su cui scaricare l’angoscia, la rabbia o la vergogna che non trovano altre vie. Nella violenza giovanile questa incapacità di pensare l’emozione si combina con bisogni di appartenenza e riconoscimento: il gruppo diventa teatro di prova del potere, luogo in cui la coscienza individuale si dissolve e l’azione collettiva autorizza ciò che da soli sarebbe impensabile.
La scelta di una vittima vulnerabile non è mai casuale perché incarna la parte fragile che gli aggressori non riescono ad accettare in sé. Ciò che non tollerano, la paura, la debolezza, la sensazione di impotenza, viene proiettato sull’Altro, che diventa il bersaglio su cui scaricare ciò che non possono sopportare dentro di sé. Umiliarlo significa allora liberarsi, in modo illusorio, dalla propria fragilità trasformandola in dominio e potere.
L’aggressione, agita in gruppo e in una notte che simbolicamente sospende le regole, assume una valenza rituale di onnipotenza e negazione della legge.
Sul piano psicologico emergono processi di identificazione con l’aggressore, difese contro il vuoto e gravi deficit di mentalizzazione ed empatia. La violenza allora non nasce dal desiderio di far soffrire ma dall’incapacità di accorgersi della sofferenza di chi si ha davanti.
Prevenire dunque significa educare alla consapevolezza emotiva, restituire al gruppo una funzione di pensiero, offrire modelli che contengano la rabbia e trasformino la forza in responsabilità.
Solo imparando a riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri si può restituire umanità ai legami e impedire che la violenza prenda spazio dentro le relazioni.
Iolanda Gaeta