04/06/2025
“Non era fame, era ansia. Ma ci ho messo anni a capirlo.”
Non so quando sia cominciato tutto, ma ricordo perfettamente la prima volta in cui ho capito che c’era qualcosa che non andava. Avevo circa ventitré anni, lavoravo in un negozio in centro, ero da sola dietro al bancone e all’improvviso ho sentito un vuoto nello stomaco. Non fame, non giramenti. Un vuoto. Come se mi mancasse qualcosa, come se stessi per svenire, come se stessi perdendo il controllo.
La prima reazione? Ho aperto un pacchetto di cracker e li ho mangiati uno dopo l’altro, tremando. Mi sono detta: “Mi è scesa la glicemia”. E da quel giorno è iniziato l’inferno.
Perché ogni giorno, più volte al giorno, quel vuoto tornava. E ogni volta la mia testa diceva: devi mangiare subito o svieni. Da lì ho cominciato a portarmi dietro cibo ovunque: barrette, fette biscottate, frutta secca, succhi di frutta. Ne avevo nello zaino, in borsa, nel cassetto del lavoro, perfino nel cruscotto della macchina.
Mangiavo in continuazione, ma non era fame vera. Era una fame che veniva dalla paura.
Mi sono sottoposta a ogni esame possibile: glicemia, insulina, fegato, pancreas. Tutto perfetto. Il mio medico mi disse: “È ansia”. Ma io non riuscivo ad accettarlo. Come può l’ansia dare sintomi così fisici, così reali?
Ho iniziato ad evitare le uscite troppo lunghe, i giri nei centri commerciali, le gite. Tutto ciò che non prevedeva una via di fuga o un accesso al cibo mi terrorizzava. Avevo paura di rimanere senza niente da mangiare, e di svenire in pubblico. Di morire.
Mi sentivo pazza. E ingrassavo. Mentre cercavo di salvare me stessa da un pericolo che non c’era, mi stavo facendo del male davvero. Ho cominciato ad odiare il mio corpo, e a disprezzarmi per la mia debolezza. Ma era più forte di me.
Ho capito tardi che non era ipoglicemia. Era ipervigilanza. Avevo fatto dell’ascolto del mio corpo un’ossessione. Ogni piccolo segnale veniva amplificato dalla mia testa, ogni stretta allo stomaco era una minaccia.
Poi la svolta. Una terapeuta. Una brava. Una che mi ha detto una frase che non dimenticherò mai: “Tu non mangi per nutrirti. Tu mangi per calmarti.”
E da lì abbiamo iniziato a lavorare. Sul controllo. Sulla paura di crollare. Sulla sensazione costante di non bastare. Non è stato facile. Non lo è tuttora. Ma ora almeno so che quel vuoto non viene dalla pancia. Viene da dentro. Viene da lontano.
E ogni volta che lo sento, cerco di ascoltarlo. Non di riempirlo
PROPRIO DI QUESTO IO E Dott.ssa Greta Postacchini - Nutrizionista abbiamo parlato ieri al teatro di Montegiorgio, il legame che c’è tra cibo ed emozioni, un legame fortissimo che spesso non vediamo.