21/10/2025
“Un piccolo sfogo da pediatra”
L’utenza deve aiutare. Collaborare.
Venirci incontro. Accogliere le poche regole di condivisione che vengono date non per capriccio, ma per garantire a tutti la miglior assistenza possibile.
Ho 41 anni. Ho ancora energia, entusiasmo, e voglia di fare questo mestiere che amo.
Ma ogni giorno mi rendo conto che sta diventando sempre più difficile.
Qualche paziente lo capisce e collabora, e gliene sono infinitamente grato.
Anche i colleghi di altre branche, quando portano i loro figli in ambulatorio, mi dicono:
“Ma come fate a gestire tutto questo?”.
E noi pediatri ce lo chiediamo spesso tra di noi.
Perché la situazione, diciamolo chiaramente, è fuori controllo.
Ogni giorno centinaia di persone si affacciano in studio, con le più svariate necessità.
C’è chi arriva con un’urgenza reale, e chi invece riversa su di noi ogni tipo di problema — medico, ma anche personale, sociale, burocratico.
Molti cercano risposte che spesso non esistono, perché non c’è una malattia da curare, ma solo tempo da lasciare passare.
Altri cercano giustizia in un sistema sanitario che ha tante falle — ma noi, pediatri, siamo la prima linea di contatto, il “front office” su cui si scarica la frustrazione di tutti.
E nel frattempo ci sono i vaccini da fare, i bilanci di salute, le vere urgenze, le certificazioni, la burocrazia, le telefonate, i messaggi, le mail. Tutto insieme, ogni giorno.
Eppure — e questo è il punto — basterebbe poco per semplificarci la vita.
Un po’ di attenzione, un po’ di rispetto, un po’ di buon senso. Parsimonia!
Qualche esempio:
• Usare WhatsApp e il telefono con parsimonia. Non tutto è urgente, non tutto richiede una risposta immediata.
• Entrare in studio con un solo accompagnatore per bambino. Non serve portare genitori, nonne, zie e fratelli per un semplice raffreddore. Ognuno che vuole dire la sua, magari mentre visiti… è fonte di stress e confusione.
• Arrivare preparati: sapere cosa si vuole chiedere, avere i referti a portata di mano, le domande chiare. Non perdere dieci minuti a cercare tra mille fogli spiegazzati.
• Ve**re alla vaccinazione con l’anagrafica già compilata, non perdere tempo perché “non ricordo la data di nascita di mia moglie”.
• Rispettare le prenotazioni: non usare spazi di urgenze per bilanci o controlli di routine. Non chiedere visite “fuori orario” perché poi il bambino ha nuoto.
• Usare la stanza apposita per il cambio dei neonati, non farlo durante la visita.
• Arrivare con il bambino già pronto per la visita, non infagottato in cinque strati di vestiti da togliere e rimettere.
Ogni minuto perso così è tempo sottratto ad altri bambini che aspettano. Ogni ora che passo in studio oltre il dovuto è tempo sottratto alla mia famiglia, alla mia vita.
Capite? Non è rigidità, è organizzazione.
Non è mancanza di empatia, è rispetto reciproco.
Io amo il mio lavoro, davvero. Lo vedete che mi piace.
Ma serve collaborazione. Perché a questi ritmi, con questa pressione continua, non si può pensare di andare avanti ancora trent’anni. Quelli che mi aspettano per la pensione 😅. Mi dovete preservare perché probabilmente sarò il pediatra anche dei vostri nipoti! 🤪
E allora sì, questo è uno sfogo.
Ma è anche un appello.
A ricordarci che dietro al camice c’è spesso una persona — stanca, ma ancora motivata.
E che la cura dei vostri bambini passa anche da una buona alleanza tra genitori e pediatra.
Solo così possiamo continuare a prenderci cura di tutti, bene.