Gabriella Marano - Criminologa

Gabriella Marano - Criminologa Gabriella Marano. Criminologa. Vivo e lavoro tra Latina, Roma e Milano. Da sempre, combatto la violenza di genere. Cerco la verità, in ogni dettaglio.

29/11/2025

Oggi a Novara ho avuto il privilegio di partecipare a un evento organizzato da Humanity, guidata da Simone Policano, che ringrazio per l’accoglienza e la cura.
In sala c’erano tantissime persone: diverse per età, storie e percorsi, ma unite dalla volontà di capire, ascoltare e confrontarsi sul tema della violenza di genere.
È in incontri così che si percepisce quanto sia forte il desiderio di costruire una comunità più consapevole e responsabile.
Porto con me emozioni, riflessioni e la certezza che il cambiamento nasce proprio da queste occasioni di dialogo condiviso.

Dall’ordinanza del Tribunale per i Minorenni de L’Aquila del 13 novembre 2025 emerge che i bambini vivevano in condizion...
28/11/2025

Dall’ordinanza del Tribunale per i Minorenni de L’Aquila del 13 novembre 2025 emerge che i bambini vivevano in condizioni abitative, di cura e di istruzione tali da non garantire i loro diritti primari. L’immobile in cui risiedevano era privo dei requisiti minimi di sicurezza, igiene e salubrità, mentre sul piano educativo e sanitario si registravano gravi omissioni: i minori non erano inseriti in un percorso scolastico regolare, mancava un’adeguata assistenza pediatrica e i genitori avevano oltretutto ostacolato gli accertamenti richiesti dal Servizio Sociale, interrompendo anche ogni forma di collaborazione con gli operatori.
Alla luce di queste - ed altre - criticità, il Tribunale è intervenuto per tutelare immediatamente i minori, disponendo il loro inserimento in una casa famiglia insieme alla madre. Si tratta, tuttavia, di una misura eccezionale e temporanea, adottata soltanto per garantire la sicurezza dei bambini nell’immediato. Nulla esclude che, una volta effettuati gli accertamenti sanitari, valutata la stabilità dell’immobile e superate le criticità riscontrate, i minori possano fare ritorno nella loro abitazione. Il provvedimento attuale, dunque, risponde esclusivamente alla necessità di assicurare ogni forma di tutela e di protezione ai minori in attesa dell'esito di tutti gli accertamenti necessari. Cosa ne pensate?

25/11/2025

Cosa resta?
Resta un album di fotografie consunte dal tempo, pagine ingiallite che raccontano chi era Joanna prima che qualcuno decidesse per lei, prima che le venisse strappato il futuro dalle mani. Resta la zia che scorre quelle immagini con delicatezza, come se potesse proteggerla ancora una volta. Resta il sorriso di una bambina che guardava il mondo con fiducia, i sogni che aveva negli occhi, la vita che voleva mordere a pieno, senza paura.

Cosa resta?
Resta il silenzio pesante di una gelida giornata di gennaio, il giorno in cui tutto si è spezzato. Resta il vuoto lasciato da una vita interrotta, da un amore negato, da un femminicidio che ha dilaniato più esistenze.
E resta, soprattutto, il dovere di non voltarsi dall’altra parte.
Non dobbiamo limitarci a contare le vittime: dobbiamo fare in modo che non ce ne siano più. Dobbiamo ascoltare, educare, intervenire, cambiare. Perché ogni fotografia ingiallita è una vita che non tornerà. E perché nessuna famiglia dovrebbe più sfogliare un album sapendo che ciò che resta è solo il ricordo.

Cosa resta?
Resta la responsabilità di tutti noi.
E la promessa che il sacrificio di Joanna, e di tutte le altre, non solo non verrà dimenticato, ma darà senso e direzione alle azioni future.ssa.oriana.psicoterapeuta

Ieri, nella splendida cornice della Protomoteca del Campidoglio, si è svolto il convegno “Libere dalla violenza”: un mom...
19/11/2025

Ieri, nella splendida cornice della Protomoteca del Campidoglio, si è svolto il convegno “Libere dalla violenza”: un momento intenso, ricco di voci autorevoli che hanno portato riflessioni, dati, esperienze e soprattutto urgenze.
Il filo rosso che ha attraversato tutti gli interventi è stato chiaro e unanime: la lotta alla violenza di genere non può essere vinta senza risorse adeguate, senza investimenti concreti e continui, senza un impegno strutturale che oggi, purtroppo, ancora manca.
Nel mio intervento ho voluto sottolineare un punto che non possiamo più ignorare: esiste un’ipocrisia di Stato.
Non possiamo chiedere ai centri antiviolenza, ai professionisti seri che tutti i giorni si sporcano mani e piedi, alle forze dell’ordine, agli operatori sociali di sostenere un’emergenza quotidiana senza strumenti, senza fondi stabili, senza percorsi formativi, senza strutture capaci di accogliere e proteggere.
Non si può più aspettare.
Non possiamo continuare a riempire le sale di parole, commozione e impegni morali se poi, nei fatti, chi combatte in prima linea resta solo. Servono decisioni politiche, serve coraggio istituzionale, serve una volontà reale di cambiare il sistema e di renderlo finalmente all’altezza delle vite che dobbiamo proteggere.
Il convegno si è concluso con una consapevolezza condivisa: la violenza di genere non è una fatalità, è una responsabilità collettiva. E ogni ritardo, oggi, si paga in vite.
.ssa.oriana.psicoterapeuta

Avere una sorella significa conoscere un tipo di amore che non si sceglie, ma si costruisce. Il nostro è un legame nato ...
18/11/2025

Avere una sorella significa conoscere un tipo di amore che non si sceglie, ma si costruisce. Il nostro è un legame nato per caso e cresciuto per volontà: attraverso cadute condivise, risate che solo noi capiamo, amori finiti che ci hanno rese più forti e quei momenti duri in cui non servivano parole, bastava esserci.
Le relazioni tra sorelle sono tra le più complesse e affascinanti dei legami familiari: un misto di identificazione e differenziazione, di complicità e distanza, di conflitti che non rompono ma modellano. La psicologia relazionale lo definisce un legame diadico evolutivo: significa che cresce con noi, cambia forma, si riconfigura, ma rimane una costante emotiva.
Nel rapporto tra sorelle esiste una memoria affettiva che non si può cancellare: conosciamo l’una le versioni dell’altra che nessun altro ha mai visto, e forse nessuno vedrà più. Per questo l’amore tra sorelle non è solo affetto: è testimonianza reciproca. È sapere da dove veniamo, ricordarci chi siamo state e, a volte, ricordarci chi possiamo ancora diventare.
Con mia sorella ho imparato che si può litigare senza rompersi, allontanarsi senza perdersi, cambiare senza smettere di riconoscersi.
E che, nonostante tutto, la sua presenza è un po’ come un punto di gravità costante: non importa quante volte la vita ci scuota, so che se mi volto lei è lì e io sono lì per lei.
Le sorelle condividono un tipo di amore che non ha bisogno di essere perfetto: ha solo bisogno di essere vero.

Domani vi aspetto al Campidoglio, presso la Sala della Protomoteca, per un incontro importante dedicato al tema della vi...
17/11/2025

Domani vi aspetto al Campidoglio, presso la Sala della Protomoteca, per un incontro importante dedicato al tema della violenza sulle donne.

In questi giorni siamo stati scossi dall’ennesimo episodio tragico: a Muggia, in provincia di Trieste, una madre con gra...
15/11/2025

In questi giorni siamo stati scossi dall’ennesimo episodio tragico: a Muggia, in provincia di Trieste, una madre con gravi disturbi psichiatrici ha ucciso il figlio di nove anni. Una donna a cui era già stato tolto l’affido proprio per la sua instabilità, che aveva già manifestato condotte violente e che aveva più volte minacciato il padre del bambino. Un gesto estremo, compiuto per punire e vendicarsi: il figlio trasformato in strumento di ritorsione. Fatti come questi non sono solo tragedie isolate. Ci parlano di una piaga che chi, come me, vive quotidianamente queste storie vede con crescente preoccupazione. Ogni giorno mi trovo di fronte a vicende in cui dobbiamo stabilire collocazione, responsabilità genitoriali e misure di tutela in contesti dove i figli diventano terreno di scontro, strumenti di ricatto, mezzi attraverso cui i genitori cercano di colpire l’altro. Sto seguendo proprio ora un caso emblematico: una madre completamente fuori controllo che, per punire il padre della bambina, prima ha inventato maltrattamenti inesistenti e poi, non avendo digerito un accordo raggiunto, ha accusato la zia paterna di abusi sessuali sulla minore. Il PM ha richiesto l’archiviazione, ma la madre e il suo entourage si sono opposti, formulando ulteriori accuse altrettanto infondate.
Qui non c’è una morte fisica, ma siamo di fronte comunque a una forma di annientamento psicologico ed emotivo della minore. Una violenza subdola, profonda, invisibile. Eppure, troppo spesso, queste madri trovano consenso e sostegno proprio da chi dovrebbe proteggere i bambini: servizi sociali, tutori, curatori speciali. Figure che, pur nella loro importanza, troppo spesso constatiamo che non possiedono l’esperienza o la maturità tecnica necessaria per comprendere davvero il caso, decodificarlo, coglierne la dinamica manipolatoria. E così finiscono, inconsapevolmente, per alimentare la distorsione. Il problema, in Italia, è amplificato da uno stereotipo di genere ancora radicato: l’idea che “la madre non può fare del male”, che la madre sia per definizione la figura che ama, che si sacrifica, che è più idonea a fare il genitore rispetto al padre. Questo pregiudizio pesa, condiziona e talvolta acceca. E porta a sottovalutare comportamenti gravissimi solo perché provengono da una figura femminile. Ma la realtà, dura e dolorosa, è che anche una madre può danneggiare profondamente i propri figli e che la protezione dei minori deve basarsi sui fatti, non sugli stereotipi. È urgente che chi opera in questo settore – magistrati, servizi, professionisti – si formi adeguatamente, acquisisca strumenti, competenze e la capacità di guardare davvero dentro ai casi. Perché quando un bambino viene usato come arma, quando diventa veicolo di vendetta, quando gli si mettono in bocca parole che non gli appartengono, la sua infanzia viene distrutta. E quella ferita non guarisce più.

L’autolesionismo (o cutting) è una delle problematiche adolescenziali più diffuse a partire dai 12-13 anni di età. È som...
12/11/2025

L’autolesionismo (o cutting) è una delle problematiche adolescenziali più diffuse a partire dai 12-13 anni di età. È sommersa, lo fanno di nascosto, chiusi nel loro silenzio e nella loro vergogna, nella loro paura e nella loro colpa. Il cutting consiste nell’infliggere al proprio corpo ferite o lesioni di qualsiasi tipo: tagli, graffi, bruciature, contusioni, con rasoi, coltelli, lamette, pezzi di vetro, forbici, compasso, con le unghie. Lo fanno perché ne hanno bisogno, è come un impulso irrefrenabile che non sanno controllare, una sofferenza interna che non sanno gestire, li invade e devono scaricarla sul corpo. È molto più diffuso di quanto si pensi e avviene anche tra adolescenti che all’apparenza stanno bene, si relazionano, studiano, hanno amici. Diventa un modo per alleviare una sofferenza psichica intensa, un’angoscia insopportabile, una sensazione di vuoto che sentono, di non esistenza.
Il taglio avviene in una situazione di forte tensione emotiva, di ansia, di rabbia, dove si configura uno stato dissociativo insopportabile che la ferita serve a colmare (nel cutting infatti è presente una grave dissociazione mentale, cioè una scissione vera e propria tra mondo cosciente e mondo inconsciente).
Subito dopo l’incisione, il taglio, e la vista del sangue che sgorga, ricompare uno stato di tranquillità. Si scarica tutta la tensione e la persona si ritrova a vivere un senso di torpore e di rilassamento. Evitano, dunque, con il taglio una catastrofe interiore che sarebbe ben peggiore di un dolore fisico.
Purtroppo la relazione tra autolesionismo e bullismo è veramente alta, circa la metà degli adolescenti autolesionisti subisce prevaricazioni da parte di compagni o di coetanei. Si viene presi di mira, schiacciati, denigrati per caratteristiche fisiche o psichiche, per alcuni tratti caratteriali, per i modi di essere e pensare che non sempre corrispondono alla massa. Quando si è autolesionisti si vive in uno stato di profonda sofferenza, di conflitti interni e spesso si arriva ad odiarsi, a odiare il proprio corpo che non si accetta più. E si arriva a farsi del male anche in altri modi, perché non c’è più autostima e non c’è più amore.
Cosa ne pensate?

Ricordare Giulia Cecchettin oggi significa tornare all’essenza di ciò che è stato cancellato: la vita, la speranza, il s...
10/11/2025

Ricordare Giulia Cecchettin oggi significa tornare all’essenza di ciò che è stato cancellato: la vita, la speranza, il sogno. Per molto tempo ho scelto il silenzio. Non per indifferenza, ma per rispetto. Perché ciò che ho vissuto accanto alla sua famiglia mi ha colpito in modo profondo, al punto da non trovare mai le parole giuste per lei e adeguate al dolore che la sua morte aveva sparso. Ora che il processo si è chiuso definitivamente, posso e voglio ricordarla senza il peso delle sentenze, senza la cronaca, senza la giustizia che, seppur necessaria, non basta mai a colmare il vuoto. Voglio ricordarla attraverso i suoi sogni, i suoi buoni propositi che amava scrivere all'inizio di ogni anno, anche di quel maledetto 2023, e le sue "cose da fare prima di morire". Scritti che conservo fra le mie cose più care e che spesso vado a rileggere, quando il suo pensiero ritorna, come ora, come oggi. Giulia voleva "salire su un tetto e guardare le stelle, arrampicarsi in cima ad un albero, accarezzare una pecora, ti**re una torta di panna in faccia ad un amico, imparare l'arabo, vedere l'aurora boreale, comprare un vestito ottocentesco (per quando sarò ricca), fare un pic nic  (con tanto di cestino), imparare a far saltare i sassi sull'acqua, mungere una mucca, inseguire un arcobaleno, costruire una casetta sull'albero" e tanti e tanti altri sogni ancora, dello stesso tenore. Desiderava cose piccole, ma autentiche, che raccontavano la purezza del suo sguardo sul mondo. Un giorno, sua sorella Elena mi disse: "Nessuna merita di morire così, ma mia sorella lo meritava ancora meno, perché era veramente pura”. Quelle parole hanno sempre racchiuso tutto per me, raccontandomi la dissonanza tra il male subíto e il bene che lei rappresentava.
Giulia è stata vittima di femminicidio, ma ridurla a questo sarebbe ingiusto. Era una giovane donna che sognava, studiava, creava, amava, immaginava. Ricordarla oggi, pulita da tutto ciò che è “dopo”, significa restituirle la sua verità: quella di una ragazza piena di desideri, di sogni e di vita. E farlo non è solo un atto di memoria. È un atto di giustizia umana e di gratitudine eterna per l'eredità che ci ha lasciato su questa terra.

07/11/2025
Dietro le quinte, accanto alla più grande genetista forense italiana.Più di dieci anni fa è stata la mia insegnante, ogg...
31/10/2025

Dietro le quinte, accanto alla più grande genetista forense italiana.
Più di dieci anni fa è stata la mia insegnante, oggi un' amica.
Un esempio di competenza, integrità e dedizione alla scienza.

Nel caso di Jessica, l’ennesima vittima di femminicidio, non dovremmo parlare di braccialetti elettronici. Non oggi, non...
29/10/2025

Nel caso di Jessica, l’ennesima vittima di femminicidio, non dovremmo parlare di braccialetti elettronici. Non oggi, non in questo caso.
Sì, è vero, il problema dei braccialetti, del loro mancato funzionamento e della loro gestione nel nostro Paese esiste ed è serio. Va affrontato, risolto, capito.
Ma non è questo il punto.
Il punto è che chi ha ucciso Jessica doveva stare in carcere, perché questo femminicidio arriva dopo una scia di reati e di violenza inaudita: maltrattamenti, atti persecutori, lesioni, violenza sessuale, guida in stato di ebbrezza, resistenza al pubblico ufficiale, uso smodato di alcol e droghe.
Una sequenza di segnali, di allarmi ignorati.
E allora non è un braccialetto che dobbiamo discutere, ma un sistema che continua a non proteggere.
Perché quando chi uccide avrebbe dovuto essere già dietro le sbarre, ogni discussione tecnica diventa solo una distrazione dal vero fallimento: la mancata tutela delle vittime. E ancora, e ancora, e ancora!

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Latina
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