Forum Violenze Femminicidi

Forum Violenze Femminicidi Una comunità di donne e uomini che stringono un patto per promuovere azioni sistemiche antiviolenza.

Violenza sulle donne, la pronuncia della Cassazione: vittima credibile anche se ritratta la denuncia6 Novembre 2025  Liv...
06/11/2025

Violenza sulle donne, la pronuncia della Cassazione: vittima credibile anche se ritratta la denuncia
6 Novembre 2025 Livia Zancaner

La donna vittima di violenza domestica deve essere considerata credibile, anche se ritratta le accuse nei confronti del maltrattante e torna nella relazione con l’autore degli abusi, poichè tali comportamenti rientrano nel cosiddetto “ciclo della violenza” che gli operatori sono tenuti a conoscere.

E’ quanto sancisce, in sostanza, la nuova pronuncia della Corte di Cassazione, datata 11 settembre 2025, che ha rigettato il ricorso presentato da un uomo, contro la condanna del tribunale di Avellino confermata dalla corte di appello di Napoli, per il delitto di maltrattamenti ai danni della convivente. Ricorso basato sulla non credibilità della persona offesa e sui suoi presunti comportamenti contraddittori: messaggi affettuosi, tentativi di riavvicinamento, ritardi nella denuncia. Argomentazioni «inammissibili e non fondate», secondo i giudici della sesta sezione penale della Cassazione – presidente Massimo Ricciarelli, relatrice Paola Di Nicola Travaglini, consigliera estensora – alla luce della giurisprudenza sui reati di maltrattamenti in famiglia e violenza di genere, che riconosce il ciclo della violenza nelle relazioni e la violenza psicologica.

La pronuncia della Corte
«L’apparato argomentativo delle sentenze di merito ha in sostanza ritenuto – scrive la Cassazione – che il riavvicinamento della persona offesa all’imputato nonostante le gravi violenze subite e il lungo tempo di reazione rispetto alla denuncia, non avessero inciso affatto sulla sua credibilità, ma, al contrario, fossero espressivi di canoni consolidati traducibili in massime di esperienza… fondate sulle evidenze dell’ampia casistica giurisprudenziale, circa i comportamenti tenuti dalle persone offese di reati commessi in contesti di coppia rappresentative del ciclo della violenza». Modello , quest’ultimo, da decenni oggetto di studi a livello nazionale ed internazionale e che «aiuta a comprendere come e perché si sviluppano e si ripetono le dinamiche abusive nelle relazioni intime».

Il “ciclo della violenza”
Le condotte riferite dalla persona offesa, con le sue paure e i suoi ripensamenti, danno puntuale conto del ciclo della violenza, riconosciuto in giurisprudenza e nella letteratura scientifica, scrivono i magistrati. Ciclo che si compone di tre fasi. La prima è la fase della tensione, in cui l’uomo mostra irritabilità, ostilità e freddezza; assume comportamenti volti a colpevolizzare, umiliare e sminuire l’identità la compagna; impone divieti rispetto alla sua vita sociale. In questo momento la donna – già vittima di violenza psicologica – cerca di evitare l’escalation della violenza, accontentando il partner e isolandosi. Nella seconda fase, quella dell’esplosione, la violenza diventa fisica: si tratta del momento più pericoloso per la vita della donna. Poi c’è la fase della luna di miele, che coincide con il pentimento e le rassicurazioni da parte del maltrattante, il quale convince la vittima a tornare nella relazione.

Dipendenza e vulnerabilità
Il ciclo della violenza tende a ripetersi nel tempo, «in una spirale strutturata che spiega perché molte vittime di violenza domestica ritornano nella relazione maltrattante, ritrattano le accuse e non sono più in grado di uscirne, sempre più immobilizzate da paura, isolamento e dipendenza (soprattutto economica), acquisendo una condizione di particolare vulnerabilità», spiegano i giudici.

Numerosi organismi internazionali come l’Onu – Organizzazione nazioni unite -, l’Oms – Organizzazione mondiale della sanità, il Cedaw – Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne – il Consiglio d’Europa, il Grevio (gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, per la valutazione dell’effettiva applicazione della Convenzione di Istanbul) riconoscono la struttura ciclica della violenza domestica e la necessità di valutarne le specifiche dinamiche psicologiche nella risposta giudiziaria e nella protezione delle vittime. Dal punto di vista normativo, le stesse fonti sovranazionali tengono conto del ciclo della violenza e della vulnerabilità della vittima.

Attendibilità della vittima
La testimonianza della vittima è valida e utilizzabile anche senza riscontri esterni, purché il giudice ne faccia un vaglio approfondito. Al pari di qualsiasi altra testimonianza, sottolinea la Cassazione, la dichiarazione della persona offesa è assistita dalla presunzione di attendibilità, come previsto dal codice di procedura penale e comunque l’attendibilità intrinseca del racconto e la sua credibilità costituiscono questioni di merito non censurabili in sede di legittimità, se non a fronte di manifeste contraddizioni. Come già spiegato, inoltre, i momenti di riavvicinamento della donna all’imputato non minano la credibilità della vittima. Sono fenomeni coerenti con il ciclo della violenza, spesso frutto di manipolazione, paura o dipendenza affettiva. La vittima era incinta e l’uomo minacciava di toglierle il figlio.

Ritardo nella denuncia
Il fatto che la persona offesa non abbia denunciato nell’immediato le condotte maltrattanti deve essere inquadrata e contestualizzata nel tipo di relazione in cui gli abusi si sono consumati, spiegano i giudici e, soprattutto, nel momento preciso del ciclo della violenza. La Cassazione ricorda che il reato di maltrattamenti è procedibile d’ufficio: ciò significa che il momento della denuncia è rimesso alla scelta della vittima e non può ritorcersi contro di lei.

Le motivazioni che inducono la persona, vittima di violenza domestica, a denunciare in un determinato momento e non in un altro, sono le più varie, sono valutazioni personali e soggettive e non possono mettere in dubbio di per sé la credibilità della donna. Sono decisioni legate, ad esempio, alla paura, al timore di ripercussioni, alla speranza che la situazione possa migliorare, a un tentativo di evitare la rottura, visto il legame affettivo che lega la vittima di violenza domestica al maltrattante.

Violenza psicologica
La Corte ribadisce che la violenza domestica comprende non solo atti fisici, ma anche violenza psicologica, forma autonoma a cui spesso seguono altre forme di abuso, come definito dalla Convenzione di Istanbul e dalla giurisprudenza europea. Le doglianze del ricorrente – prosegue la Corte – mirano a ribaltare l’accertamento penale, spostando l’attenzione dalla condotta dell’imputato ai comportamenti della vittima. L’uomo si è infatti soffermato solo sulla violenza fisica, ignorando le altre forme di violenza, soprattutto quella psicologica.

La Cassazione, respingendo il ricorso, ritiene dunque la testimonianza della vittima coerente e credibile; le condotte e il ritardo nella denuncia spiegabili alla luce del ciclo della violenza; corretta la valutazione dei giudici di merito in linea con il diritto interno e internazionale.

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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.

Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.

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Oltre le statistiche: perché è necessario contare i femminicidiIn Italia non esiste un conteggio ufficiale dei femminici...
05/11/2025

Oltre le statistiche: perché è necessario contare i femminicidi
In Italia non esiste un conteggio ufficiale dei femminicidi. Nel suo nuovo libro, Donata Columbro fa luce sull’assenza di dati affidabili legati alla violenza di genere, mostrando come l’informazione statistica possa diventare uno strumento di memoria e prevenzione.

di Giulia Mattioli

Nella società digitale, in cui tutto si misura, si conta, si archivia e si analizza, manca un dato clamoroso: quante donne vengono uccise ogni anno per il solo fatto di essere donne? Non lo sappiamo con precisione. Non in Italia. Non nel Regno Unito. Non in Francia, né negli Stati Uniti o in Russia. Eppure, il fenomeno del femminicidio - l’uccisione di una donna da parte di chi non accetta la sua libertà, il suo rifiuto, la sua autonomia - racconta qualcosa di profondo sulla nostra cultura. È la manifestazione estrema di una struttura patriarcale che punisce le donne quando smettono di stare ‘al loro posto’. Ma senza dati, senza analisi, questa forma di violenza dalla matrice così spiccatamente culturale rischia di perdersi tra le pieghe di una narrazione incompleta. Donata Columbro, giornalista e divulgatrice esperta di dati, affronta questo vuoto con il suo nuovo libro, Perché contare i femminicidi è un atto politico (Feltrinelli), offrendo un’analisi critica che riflette sul significato dei dati e sul modo in cui vengono raccolti, raccontati e usati nella narrazione pubblica.

Perché contare i femminicidi
“Il femminicidio non è un fatto privato, ma l’espressione di una violenza e di un abuso di potere sostenuto dalla struttura patriarcale delle istituzioni e di una cultura che vede l’egemonia maschile come normale, statisticamente e socialmente” scrive l’autrice, che nella prima parte del libro decostruisce con chiarezza una convinzione ancora molto diffusa: che i dati siano oggettivi, neutri, apolitici. Al contrario, Columbro mostra come la decisione di cosa contare, come farlo e con quali strumenti, sia essa stessa un gesto politico, che può riconoscere o insabbiare la violenza di genere, le sue cause, le sue ramificazioni.

In Italia non esiste un database pubblico, accessibile e aggiornato sui femminicidi. Non c’è un conteggio ufficiale. Il sito istituzionale preposto al monitoraggio della violenza di genere è spesso inutilizzabile o vuoto, fa notare la giornalista. I dati, quando ci sono, sono disomogenei, incompleti, aggregati in modo da rendere difficile qualunque lettura critica. E poche persone lo sanno. Anche molti giornalisti lo ignorano, afferma l’autrice del libro: “Diamo per scontato che se esiste un fenomeno sociale di particolare rilevanza qualcuno lo stia monitorando, misurando, attraverso una raccolta dati. Ma non è così. Produrre dati è una scelta politica, perché è una pratica costosa, in termini economici e di risorse umane. Per esempio, l’ultima indagine relativa alla sicurezza delle donne è del 2014, siamo indietro di undici anni, quella nuova dovrebbe uscire a novembre ma abbiamo un buco enorme di dati. L’unica analisi istituzionale delle sentenze sui femminicidi, è relativa agli anni 2017-2018, e invece dovrebbe essere fatta ogni biennio. Certo, bisogna coinvolgere tantissime professionalità e persone esperte, ma senza dati aggiornati non possiamo nemmeno sapere se le misure di prevenzione e le politiche di contrasto alla violenza stanno funzionando”. Questo è un tema cruciale: avere a disposizione queste informazioni è fondamentale per comprendere le dinamiche che portano alla violenza, individuare i fattori di rischio, migliorare le politiche di prevenzione, valutare l’efficacia delle leggi, salvare vite. Senza dati, anche la più severa delle leggi resta un guscio vuoto.

Nel suo libro, Columbro racconta con passione e rigore come contare non significhi semplicemente sommare, ma ricostruire storie, restituire visibilità a chi non ha più voce. Contare i femminicidi serve a riconoscere pattern comuni, errori sistemici, omissioni istituzionali, come quando una donna aveva già denunciato il suo aggressore, o quando l’autore del crimine era sottoposto a una misura cautelare ignorata. Non si tratta di un esercizio accademico, ma di un atto femminista e di giustizia sociale, rivendica con forza Columbro. Il suo è un lavoro di scavo, di cura, di memoria, e anche di costruzione politica: ogni donna uccisa è parte di un sistema, non di una tragedia isolata.

Ripensare al dato in chiave femminista
La prospettiva che l’autrice abbraccia è quella elaborata nel 2020 Catherine D’Ignazio e Lauren Klein nel libro Data Feminism, che propone sette principi per chi lavora con i dati, ispirati al femminismo intersezionale e attenti alle dinamiche di potere e privilegio che attraversano la società. “Il fatto che vengano raccolti dei dati su un certo argomento, o non raccolti, è una questione di potere, e il femminismo dei dati cerca di individuare chi detiene questo potere, ma anche di chi esercita un contro-potere producendo dataset e contro-archivi per colmare questi gap”, spiega Columbro.

Contare, in questo senso, è un gesto di resistenza. È guardare l’intero iceberg della violenza, non solo la sua tragica punta, ma anche la massa sommersa di disuguaglianze, di egemonia patriarcale, di maschilità tossica e silenziosa. È anche un modo per sostenere le donne vive, le sopravvissute, mostrando che non sono sole, che la loro esperienza non è un’anomalia, ma parte di un fenomeno strutturale, e quindi prevenibile. Si tratta di un approccio nato nei movimenti dal basso, spesso in risposta all’inerzia o all’inefficienza istituzionale: è il caso di María Salguero Bañuelos, che in Messico ha iniziato da sola a mappare i femminicidi nel suo Paese, diventando oggi una delle fonti più autorevoli sul tema. In Italia, realtà come Non Una di Meno e la Casa delle donne di Bologna fanno lo stesso: creano contro-archivi, raccolgono testimonianze, rendono visibile l’invisibile.

Il libro di Donata Columbro è anche un’accusa alle istituzioni che non monitorano, non misurano e quindi non agiscono. L’autrice cita, ad esempio, l’analisi di venti sentenze di femminicidio effettuata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta nel 2018 attraverso un approccio ispirato alla domestic homicide review, uno strumento già adottato nel Regno Unito e traducibile come ‘esame retrospettivo di un omicidio domestico’ (è uno dei metodi, sottolinea la giornalista, che potrebbe essere introdotto anche in Italia, investendo in risorse adeguate). In quell’occasione, la Commissione riscontrava che “Nell’ottica della valutazione dell’alto rischio, in diciannove casi il femminicidio era prevedibile. Molti di questi erano addirittura presumibilmente evitabili”. In 19 casi su 20, l’omicidio era prevedibile. Eppure, ancora oggi, ogni 25 novembre si mettono in discussione i numeri del femminicidio, si chiede alle femministe di essere ‘oggettive’, “Come se l’empatia e la rabbia con cui dopo ogni femminicidio scendono in piazza non le rendessero interlocutrici credibili”.

Il negazionismo dei femminicidi
“La spinta per scrivere questo libro credo sia arrivata dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin, quando ho visto aumentare i commenti ma anche i contenuti editoriali, le dichiarazioni pubbliche di persone che in qualche modo negavano la portata dei femminicidi e della violenza di genere. Ho cominciato a osservare questo fenomeno della ‘negazione’ che è aumentato di mese in mese, finché oggi mi sembra praticamente ammesso come pensiero comune”, afferma Columbro. Ma perché si arriva a negare il concetto stesso di femminicidio? “Per rispondere occorrerebbe un altro libro intero”, scherza amareggiata. Basta dare un’occhiata ai post social in cui si promuove il libro per leggere commenti di utenti – soprattutto uomini, naturalmente – che si affannano a spiegare perché il concetto di femminicidio sia sbagliato, perché la portata del fenomeno non sia tale da preoccupare, e perché se qualche osservazione viene dalla galassia femminista non deve neanche essere presa in considerazione in quanto ‘faziosa’. “Si nega che le disuguaglianze di oggi siano il risultato di precise scelte politiche, e si preferisce considerarle come ‘naturali’. Se una donna dedica più tempo alla cura dei familiari, è perché sarebbe ‘portata’ per farlo; se non occupa posizioni di potere, è perché non è ‘adatta’. In questa visione, la violenza di genere non viene riconosciuta come una forma di oppressione strutturale: il patriarcato non esiste, la violenza è un fatto privato, e spesso la colpa viene ribaltata sulla donna stessa, per la sua libertà, per i suoi comportamenti, per non essersi ‘fatta proteggere’ da un uomo. Oppure la colpa viene attribuita a un capro espiatorio, lo straniero. Negare il carattere sistemico dei femminicidi significa, in fondo, dire che non c’è nulla di particolare: sono solo omicidi di esseri umani di sesso femminile, un fatto isolato, statisticamente irrilevante. E che le femministe ne parlano solo per ottenere visibilità o finanziamenti”.

“Non è la cifra esatta dei femminicidi a doverci interessare se vogliamo arginare il fenomeno, ma quello che può dirci ogni caso, ogni storia, quali sono gli elementi in comune di questi omicidi e quali sono gli abusi di origine patriarcale che hanno preceduto questa violenza estrema”, conclude l’autrice. “Scrivendo ho scoperto le storie di tante associazioni, attiviste, giornaliste che ‘contano’ i femminicidi e lo fanno proprio con questo obiettivo, ritrovare i segni delle oppressioni sistemiche contro le donne nella nostra società e restituire dignità alle donne uccise”.

Oltre le statistiche: perché i femminicidi vanno contati - d la Repubblica https://share.google/RjAbKYTOHOfME65hD

Negli ospedali non ci sono abbastanza sportelli antiviolenzaDonata Columbro, giornalista24 ottobre 2025   Roma, ottobre ...
27/10/2025

Negli ospedali non ci sono abbastanza sportelli antiviolenza
Donata Columbro, giornalista
24 ottobre 2025

Roma, ottobre 2016. Nello sportello antiviolenza dell’ospedale San Camillo. - Ilaria Magliocchetti Lombi, Contrasto

Secondo un’indagine del ministero della salute, riferita a dati del 2023, in Italia il 19 per cento delle donne che comincia un percorso per uscire da situazioni in cui subiscono violenze lo fa quando accede al pronto soccorso. Per Pamela Genini, uccisa a Milano dall’ex compagno Gianluca Soncin il 14 ottobre scorso, questo non è avvenuto. Sappiamo che a settembre del 2024 Genini era stata al pronto soccorso di Segrate dopo un’aggressione di Soncin, e che il personale sanitario aveva seguito le procedure previste, compresa la somministrazione di un questionario per la valutazione del rischio, ma non era scattata la denuncia d’ufficio.

Ci sono due inchieste aperte per verificare che istituzioni e forze dell’ordine abbiano preso tutte le misure necessarie per tutelare Genini, ma al di là di quello che potrà emergere, il ruolo delle strutture sanitarie nel primo sostegno alle donne in situazioni critiche è confermato anche dall’aumento dei segni di violenza rilevati nelle cartelle cliniche degli accessi e dei ricoveri al pronto soccorso: secondo gli ultimi dati Istat, nel 2023 il totale degli accessi ha superato i livelli precedenti alla pandemia, tornando a valori simili al 2018 ma con un tasso più alto di violenze rilevate rispetto alla media del periodo successivo al covid (16.947 accessi per violenza, che corrispondono a 18,4 ogni diecimila, la cifra più alta registrata dal 2021).

Secondo il ministero della salute circa l’80 per cento delle strutture sanitarie ha attivato il “percorso per le donne che subiscono violenza”, seguendo le linee guida approvate con un decreto ministeriale il 24 novembre 2017. Queste linee guida prevedono che le aziende sanitarie locali, gli ospedali e i consultori siano tenuti a garantire assistenza specifica alle donne che subiscono violenza fisica, psicologica o sessuale, quando accedono ai servizi del sistema sanitario. Per esempio, accogliendole in un ambiente protetto, con operatori formati e garanzia di riservatezza, ma anche collaborando con i centri antiviolenza e le case rifugio, proteggendo i figli eventualmente coinvolti, e raccogliendo dati da trasmettere all’Istat. L’aumento degli accessi e delle diagnosi negli anni infatti non indica per forza un aumento della violenza, quanto della consapevolezza e delle competenze di medici e infermieri nell’intercettare il fenomeno.

Come funziona il centralino per le donne vittime di violenza
Nonostante siano molto dettagliate, le linee guida non fanno nessun riferimento all’attivazione di sportelli antiviolenza dentro le strutture sanitarie. Gli sportelli, a differenza dei centri antiviolenza, dove si va con la consapevolezza di poter avviare un percorso di uscita dalla violenza, sono presenti in luoghi istituzionali, come le università o i tribunali, per intercettare proprio quelle situazioni in cui ci sono donne che non hanno ancora preso coscienza di vivere una situazione di abuso.

Ne è convinta Federica Scrollini, vicepresidente dell’associazione Be Free, che gestisce uno sportello antiviolenza dell’ospedale San Camillo di Roma, l’unico in Italia attivo 24 ore su 24: “Gli sportelli nei luoghi pubblici possono comunicare alla donna che il suo problema non è solo suo, ma fa parte di qualcosa che la struttura sanitaria e quindi la comunità riconosce e accoglie”.

“Non sappiamo esattamente cosa sia successo all’ospedale di Segrate, e se la presenza di operatrici avrebbe fatto la differenza nel caso di Genini. Ma nella nostra esperienza uno sportello antiviolenza sempre attivo in ospedale aiuta anche gli operatori a gestire la situazione quando è critica e chi è coinvolta non vuole ancora sporgere denuncia”, aggiunge Scrollini. “Il nostro sportello ha un’operatrice sempre presente all’interno del pronto soccorso. Non esiste un ‘codice rosa’ vero e proprio, ma un sistema per cui, anche in assenza di una necessità medica urgente, viene attivata l’allerta per l’operatrice dello sportello”.

Il “codice rosa” a cui si riferisce Scrollini è un’iniziativa nata come progetto pilota a Grosseto nel 2010, e poi estesa a tutte le aziende sanitarie toscane nel 2014. Al momento però la Toscana è l’unica regione ad averlo attivato in tutte le strutture sanitarie, asl e ospedali, e prevede un percorso di accesso al pronto soccorso riservato a tutte le persone che subiscono violenza, in particolare donne, bambini e “persone discriminate”, come si legge nelle indicazioni regionali. Secondo questo protocollo nelle strutture toscane dal 2012 al 2023 è stata offerta protezione a 30.119 persone tra adulti e minori.

I pro vita vogliono entrare anche nei centri antiviolenza
Per una donna che subisce violenza il passaggio in ospedale è particolarmente importante e va incentivato, per questo “lo sportello è visibile e invisibile allo stesso tempo”, spiega ancora la vicepresidente di Be Free: “Visibile perché integrato nel pronto soccorso, invisibile per ragioni di sicurezza. Ha due ingressi, doppie porte, accorgimenti architettonici che proteggono la privacy e la sicurezza delle donne. E l’operatrice indossa un camice”. Non solo per questioni di riservatezza in realtà, ma come “gesto simbolico”, aggiunge.

Non sappiamo quanti siano gli altri sportelli attivi in Italia. L’associazione Differenza Donna ne ha in carico otto in diversi ospedali di Roma e provincia, ma con orario ridotto, e l’unico modo per rintracciare altri sportelli negli ospedali italiani, o nelle istituzioni pubbliche, è cercare su un motore di ricerca. Non sono mappati come i centri antiviolenza della rete del 1522 e i dati che raccolgono non entrano nel sistema di monitoraggio dell’Istat.

L’attivazione degli sportelli dipende dalle singole aziende sanitarie, spesso con fondi temporanei, “ma con i tagli alla sanità, molti sportelli rischiano di sparire”, denuncia ancora Scrollini: “Sono iniziative indipendenti, difficili da monitorare anche sul piano dei finanziamenti. Servirebbe una ricerca nazionale per capire dove vanno i fondi, quanti sportelli esistono e come lavorano”. Ma non è mai stata avviata.

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Negli ospedali non ci sono abbastanza sportelli antiviolenza - Donata Columbro - Internazionale https://share.google/JJ5BZDwBMZjdQZb4t

18/10/2025

Non scattò il codice rosso. Nel frattempo manca l'educazione sessuale ed affettiva nelle scuole di ogni ordine e grado, altro che DdL Valditara.

L'inchiesta "12 Apostoli"Gli abusi in comunità, il giorno dopo la sentenza: l'urlo (liberatorio) della madre che scoperc...
16/10/2025

L'inchiesta "12 Apostoli"
Gli abusi in comunità, il giorno dopo la sentenza: l'urlo (liberatorio) della madre che scoperchiò il vaso di Pandora.
La donna ha inviato una lettera a La Sicilia: «Ieri, finalmente, la giustizia ha parlato. Non cancella il dolore, non restituisce l’innocenza rubata, ma riconosce la verità»
Laura Distefano

"Lettera aperta di una madre che ha resistito
Dopo nove anni di silenzi, di dolore e di battaglie, sento il bisogno di condividere la mia storia.
Non per rivivere la sofferenza, ma per dare voce al coraggio, alla verità e alla speranza.
Perché la giustizia, anche se lenta, può arrivare. E perché nessuna madre, nessuna bambina, dovrebbe sentirsi sola in questo cammino.
Sono passati nove lunghi anni.
Nove anni di attesa, di paure, di udienze dove la mia voce tremava ma non si spegneva mai.
Nove anni in cui ho visto mia figlia dover rivivere il dolore, mentre cercavo di proteggerla con tutto l’amore e la forza che una madre può avere.
Ogni parola infame, ogni insinuazione, ogni sguardo di indifferenza è stato un coltello nel cuore.
Ma io non ho mai smesso di lottare.
Ho conosciuto la disperazione, quella che ti sveglia nel cuore della notte e ti toglie il respiro.
Ho conosciuto la rabbia, quella che brucia e ti fa sentire sola contro un mondo che sembra cieco.
Ma ho conosciuto anche il coraggio — quello che nasce solo dall’amore di una madre, che non si arrende, che si rialza anche quando tutto sembra perduto.
E ieri, finalmente, la giustizia ha parlato.
Non cancella il dolore, non restituisce l’innocenza rubata, ma riconosce la verità.
Una verità per cui abbiamo combattuto con ogni fibra del nostro essere.
Oggi sento addosso tutta la stanchezza di questi anni, ma anche una pace nuova.
La consapevolezza che il male non ha vinto.
Che la mia voce, la voce di mia figlia, non sono state vane.
Abbiamo resistito.
Abbiamo attraversato l’inferno, ma siamo ancora qui vive, ferite, ma libere.
Dedico questa vittoria a mia figlia, a tutte le bambine e le madri che aspettano giustizia.
A chi non ha voce, a chi ha paura, a chi ancora lotta.
Perché la verità può essere sepolta, ma non muore mai.
E un giorno, come oggi, trova sempre la forza di emergere.
Con tutto il cuore,
Una madre che ha scelto il coraggio."

https://www.lasicilia.it/news/cronaca/3002107/gli-abusi-in-comunita-il-giorno-dopo-la-sentenza-l-urlo-liberatorio-della-madre-che-scoperchio-il-vaso-di-pandora.html?fbclid=IwdGRjcANdeqVjbGNrA116omV4dG4DYWVtAjExAAEebGNgiawtbkQkFbpkrq3u3N1eT8BjSMZpVakCOFAm2f8Sn0yR4erv_lAB6yc_aem_IYN_e8ID0J6NBq706fi36A

La donna ha inviato una lettera a La Sicilia: «Ieri, finalmente, la giustizia ha parlato. Non cancella il dolore, non restituisce l’innocenza rubata, ma riconosce la verità»

"La Regione Siciliana, per la prima volta, assume due donne vittime di gravi violenze che hanno causato sfregi permanent...
27/09/2025

"La Regione Siciliana, per la prima volta, assume due donne vittime di gravi violenze che hanno causato sfregi permanenti al viso. Stamattina, dinanzi alla dirigente generale del dipartimento della Funzione pubblica Salvatrice Rizzo, hanno firmato il contratto di lavoro Barbara Bartolotti e P. D. L., inquadrate nella categoria C (Assistente).
La norma che ha reso possibile il loro inserimento nei ranghi della pubblica amministrazione regionale è la legge 3 del 2024, che prevede l’assunzione prioritaria delle donne che hanno subito aggressioni con sfregi permanenti al volto e dei figli di vittime di femminicidio, purché residenti in Sicilia e nei limiti delle risorse disponibili."

https://gds.it/articoli/politica/2025/09/26/donne-vittime-di-violenza-firmati-i-primi-contratti-di-lavoro-alla-regione-3469fb8d-b6da-4da5-814b-f3240f36dd40/?fbclid=IwY2xjawNESihleHRuA2FlbQIxMQABHohYClEd0VMhDjm4g3y4wTzfHKN1A5_bot0x0uWm9O6FurvjAkw7WVnsGL-m_aem_etCe-h2InP-wR8BN3d_t0Q

22/09/2025

22/09/2025

Misterbianco, oggi la prima trascrizione di un bambino figlio di coppia omogenitoriale

Questa mattina l’Ufficio di Stato Civile del Comune di Misterbianco ha proceduto alla prima trascrizione di un bambino figlio di due madri, dando applicazione alla giurisprudenza consolidata in materia e alle determinazioni pregresse della Giunta municipale.
Lo rende noto il sindaco Marco Corsaro: «La trascrizione odierna è la prima per la nostra città - afferma - e pone il nostro Comune al passo con le evoluzioni normative in atto ormai da anni in Italia, con l'obiettivo di garantire la tutela del minore e una stabilità nelle relazioni familiari che sia anche giuridica. La città di Misterbianco guarda alle esigenze dei suoi concittadini e, soprattutto, alla tutela dei più piccoli».

L’assessore alle Politiche Sociali Marina Virgillito ha aggiunto: «La centralità dei diritti dei minori è sempre stata la bussola che guida il nostro lavoro: nessun bambino deve sentirsi diverso. Oggi, con questo atto all'interno di una cornice giuridica nazionale ormai chiara sui figli di coppie omogenitoriali, confermiamo l’impegno a costruire una città inclusiva e solidale».

Unire le lotte. Dopo l'immenso incontro a Catania con Francesca Albanese, per la presentazione del libro   a Piazza Fede...
08/09/2025

Unire le lotte.
Dopo l'immenso incontro a Catania con Francesca Albanese, per la presentazione del libro a Piazza Federico di Svevia torniamo a parlare di resistenza, offrendo semi di ginestra [al cielo di dolcissimo odor mandi un profumo, che il deserto consola], raccolti in orto a Campanarazzu in occasione di "Pane e Calici sotto le stelle" [alla sua 4^ edizione], imbarcati sulla nostra flottiglia di carta colorata idealmente lanciata sul mar mediterraneo verso insieme alla .

La nostra presidente, Josè Calabrò prepara un dolce dalla ricetta messinese antica -pare ispirata alla devozione della Madonna nera di Tindari- con riso, cioccolato fondente, nocciole e profumi d'arancia, un dolce privo di glutine ma ricco delle contaminazioni e dei tanti percorsi che uniscono le realtà associative non solo misterbianchesi in questo scorcio d'umanità solidale dall'Etna alla Palestina abbracciando il mondo intero.

Indirizzo

Misterbianco
95045

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