IL Medico Condotto

IL Medico Condotto Il medico condotto era un dipendente del comune che prestava assistenza sanitaria gratuita ai poveri e con un piccolo compenso per gli altri cittadini.

Il blog nasce con l'intento di aumentare la capacità di riconoscere le più frequenti malattie otorinolaringoiatriche, cutanee, veneree, odontostomatologiche e del cavo orale, dell'apparato locomotore e di quello visivo, indicandone i principali indirizzi di prevenzione, diagnosi e terapia per una visione più ampia dello stato di salute generale della persona e delle sue esigenze generali di benessere e la capacità di integrare in una valutazione globale ed unitaria dello stato complessivo di salute del singolo individuo adulto ed anziano i sintomi, i segni e le alterazioni strutturali e funzionali dei singoli organi ed apparati, aggregandoli sotto il profilo preventivo, diagnostico, terapeutico e riabilitativo; come la capacità di individuare le condizioni che, nel suindicato ambito, necessitano dell'apporto professionale dello specialista.

Accesso alla salute: le diseguaglianze sanitarie tra Nord e Sud in crescita!Le diseguaglianze sanitarie tra Nord e Sud r...
17/09/2025

Accesso alla salute: le diseguaglianze sanitarie tra Nord e Sud in crescita!

Le diseguaglianze sanitarie tra Nord e Sud restano marcate e strutturali. A distanza di 164 anni, la questione meridionale si manifesta in modo evidente attraverso le carenze dei servizi fondamentali come sanità e istruzione nel Sud Italia, riflettendo il divario storico e strutturale rispetto al Nord. Lo conferma il Rapporto SDGs 2025, che analizza lo stato di avanzamento dell’Agenda 2030 attraverso 320 misure statistiche, molte delle quali evidenziano un ritardo persistente delle regioni meridionali.
Le diseguaglianze sanitarie tra Nord e Sud restano marcate e strutturali. Lo conferma il Rapporto SDGs 2025 curato dall’Istat, che analizza lo stato di avanzamento dell’Agenda 2030 attraverso 320 misure statistiche, molte delle quali evidenziano un ritardo persistente delle regioni meridionali rispetto alla media nazionale, soprattutto in riferimento al Goal 3 “Salute e benessere” e al Goal 10 “Ridurre le disuguaglianze”.
La "questione meridionale" è un fenomeno complesso che ha radici risalenti all'unificazione italiana nel XIX secolo, quando le disparità economiche e sociali tra Nord e Sud si sono profondamente consolidate. Queste differenze si sono riflesse nel tempo in minori investimenti pubblici e privati nelle regioni meridionali, specialmente nelle infrastrutture di base e nei servizi essenziali.
Nel Mezzogiorno oltre il 60% degli indicatori SDGs considerati si colloca in posizione peggiore rispetto al valore medio italiano. Le aree più penalizzate risultano Campania, Calabria e Sicilia, dove le criticità si sommano in più ambiti: povertà, accesso ai servizi sanitari, istruzione, occupazione e salute. In queste tre regioni, la quota di popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale supera il 40%, contro valori inferiori al 15% in quasi tutte le regioni settentrionali.
Il Sud Italia presenta ancora oggi problemi strutturali nel sistema sanitario, tra cui una minore dotazione di ospedali, carenza di personale medico e infermieristico, e lunghi tempi di attesa per prestazioni mediche. Questi fattori contribuiscono a una maggiore disparità nell'accesso alle cure rispetto al Nord, influendo negativamente sulla qualità della vita e sulla salute delle popolazioni meridionali.
La dotazione di infrastrutture sanitarie riflette il divario: nel Sud, la disponibilità di posti letto ospedalieri è di 27,1 ogni 10mila abitanti, contro i 32,5 del Nord-Ovest. Una forbice che si traduce in maggiori difficoltà nell’accesso alle cure e in tempi di attesa più lunghi, in particolare per prestazioni specialistiche e diagnostiche.
Questi ritardi sono il risultato di fattori storici, economici e politici che includono un minore sviluppo industriale, scarsità di investimenti pubblici, inefficienze amministrative e fenomeni di clientelismo e corruzione. Il divario nei servizi essenziali contribuisce a rafforzare le disuguaglianze socio-economiche tra Nord e Sud, influenzando la mobilità sociale e la coesione nazionale.
La situazione si aggrava nelle aree interne e nei piccoli comuni, dove i servizi sanitari risultano spesso sottodimensionati o assenti. Il Rapporto sottolinea come, in queste zone, la carenza di offerta pubblica renda più difficile la presa in carico delle patologie croniche, in un contesto segnato anche da invecchiamento demografico e mobilità sanitaria passiva.

Il Goal 1 (“Povertà zero”) incrocia i dati sanitari con quelli sociali: nel 2024, oltre 13,5 milioni di persone (il 23,1% della popolazione italiana) risultano a rischio di povertà o esclusione sociale. Il rischio è doppio per le famiglie con cittadinanza straniera. L’intersezione tra condizioni economiche svantaggiate e limitato accesso alle cure alimenta un ciclo che incide negativamente su prevenzione, aderenza terapeutica e outcome clinici.

Secondo le analisi territoriali del Rapporto, nelle regioni del Nord (Valle d’Aosta, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia) oltre la metà degli indicatori SDGs risulta in posizione migliore della media nazionale. All’estremo opposto, solo un quarto delle misure nelle regioni del Sud evidenzia un posizionamento favorevole.

Nonostante una lenta convergenza osservata in alcuni indicatori di lungo periodo, il divario resta ampio. Il miglioramento registrato in regioni come Abruzzo e Sicilia nell’ultimo anno non è sufficiente a colmare gli squilibri storici. Il fabbisogno di interventi strutturali rimane elevato, soprattutto in termini di investimenti in medicina territoriale, digitalizzazione, personale sanitario e governance integrata.

Il Rapporto richiama la necessità di azioni mirate per ridurre i divari e garantire equità nell’accesso alla salute su tutto il territorio nazionale. Un obiettivo che si intreccia con l’attuazione della Missione 6 del PNRR e con il monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), ancora disattesi in più di una regione. La coerenza tra programmazione sanitaria e strategia di sviluppo sostenibile, conclude l’Istat, rappresenta una delle sfide decisive per il futuro del sistema sanitario italiano.
La risoluzione della questione meridionale richiederebbe un impegno continuo e integrato, che includa investimenti mirati, riforme amministrative e politiche di inclusione sociale. il mancato adeguamento dei servizi di sanità e scuola nel Sud Italia rappresenta un nodo centrale della questione meridionale, che continua a influenzare profondamente il benessere e lo sviluppo dell’area. Nei governi italiani dall’Unità a oggi, la questione meridionale è stata spesso presente a parole ma mai affrontata con continuità e decisione.
Molte politiche pubbliche si sono rivelate inefficaci, frammentate o, addirittura, hanno accentuato il divario Nord-Sud (ad esempio gli investimenti pubblici in media più al Nord che al Sud dal 1971 in poi). Gli interessi politici ed economici consolidati (tra cui l’alleanza tra industriali del Nord e latifondisti meridionali) hanno spesso ostacolato soluzioni strutturali.
La cronica Carenza di informazione e attenzione mediatica.
La complessità della questione meridionale è poco presente nel dibattito pubblico nazionale e spesso relegata a questioni marginali o emergenziali.
L’attenzione mediatica tende a concentrarsi su temi più immediati o sensazionalistici, mentre la questione meridionale, profondamente radicata e strutturale, viene percepita come difficile da risolvere o rassegnata.
Questo contribuisce a un generale distacco e mancata consapevolezza nelle persone non direttamente coinvolte.
La difficile condizione economica, l’alto tasso di emigrazione, la scarsa qualità dei servizi (sanità, istruzione, infrastrutture) e una certa diffidenza verso le istituzioni hanno limitato la possibilità di un attivo protagonismo sociale e politico locale.
L’isolamento e le dinamiche di clientelismo hanno indebolito la partecipazione civica e la capacità di autocoscienza collettiva necessaria per far emergere e sostenere il problema a livello nazionale.
Il rappresentare il Sud come “colonia interna” dello Stato italiano, giustificano e minimizzano il ruolo dello Stato e delle élite nazionali nel perpetuare le disuguaglianze.
Questo genera confusione e conflitto interno nella comprensione del fenomeno, ostacolando un consenso ampio e duraturo sulla necessità di un cambiamento profondo.
Le soluzioni adottate, come la Cassa per il Mezzogiorno o altre iniziative, hanno avuto effetti limitati o temporanei.
Ancora oggi il divario economico, sociale e culturale tra Nord e Sud persiste, alimentando la sfiducia e la rassegnazione, che scoraggiano la discussione pubblica e la mobilitazione collettiva.
Molte persone ignorano la questione meridionale perché è da tempo caricata di stereotipi ideologici, è stata poco o male trattata dalla politica e dai media, e la sua complessità strutturale scoraggia una reale consapevolezza. Inoltre, fattori storici di disuguaglianza, una narrazione dominante settentrionale e la mancanza di efficaci politiche pubbliche hanno contribuito a mantenere questo problema nell’ombra o nel pregiudizio, relegandolo a tema quasi “invisibile” nella coscienza collettiva nazionale.

I danni permanenti del fumo sui denti.Uno studio mostra la registrazione biologica dei danni alla salute orale correlati...
04/07/2025

I danni permanenti del fumo sui denti.

Uno studio mostra la registrazione biologica dei danni alla salute orale correlati al fumo all'interno della struttura dentale.
Una ricerca condotta dalla Northumbria University ha rivelato che il fumo lascia segni permanenti e rivelatori sui denti che rimangono anche dopo aver smesso di fumare. Secondo quanto rilavato dai ricercatori, i fumatori presentano segnali radicati in profondità nei denti, in particolare nel cemento, il tessuto che ricopre la radice del dente. Il cemento, viene spiegato, sviluppa "anelli" di crescita annuale, simili agli anelli degli alberi.

Il team di ricerca ha esaminato 88 denti, provenienti sia da pazienti odontoiatrici viventi che da resti archeologici. Hanno notato con sorpresa "segni di rottura" negli anelli di cemento di alcuni denti, ma non in altri. Queste alterazioni si manifestavano come variazioni nello spessore e nella regolarità degli anelli. È stato scoperto che queste interruzioni erano associate a individui che si erano identificati come fumatori o ex fumatori.

Lo studio ha evidenziato danni causati dal fumo nei denti del 70% degli ex fumatori e del 33% dei fumatori attuali, rispetto a un mero 3% dei non fumatori. È stato anche osservato che il cemento è più spesso negli ex fumatori. I ricercatori ipotizzano che ciò avvenga perché il cemento torna a livelli normali dopo aver smesso di fumare, depositando strati "più resistenti" sopra gli anelli danneggiati, rendendoli più spessi.

Il dott. Ed Schwalbe, professore associato presso il Dipartimento di Scienze Applicate della Northumbria University, ha affermato: "La nostra ricerca dimostra che è possibile stabilire se qualcuno era un fumatore semplicemente esaminandone i denti". "Abbiamo scoperto che la normale deposizione annuale di anelli risultava interrotta in alcuni individui e ci siamo resi conto che queste interruzioni erano associate a fumatori o ex fumatori, ma erano molto rare nei non fumatori".

Lo studio ha coinvolto 46 pazienti odontoiatrici viventi che hanno fornito 70 denti e le loro storie cliniche, inclusa la storia del fumo. In un caso specifico, i ricercatori hanno identificato danni da fumo in un dente donato da un individuo vivente, stimando che fossero avvenuti tra i 22 e i 41 anni. Successivamente, hanno verificato che il donatore, di 58 anni al momento dell'estrazione del dente, aveva effettivamente fumato in quel periodo, avendo iniziato a 28 anni e smesso a 38.

In collaborazione con la dott.ssa Sarah Inskip dell'Università di Leicester, il dott. Schwalbe e la dott.ssa Valentina Perrone hanno analizzato altri 18 denti provenienti da resti archeologici risalenti al periodo tra il 1776 e il 1890. Anche su alcuni di questi denti archeologici erano visibili tracce evidenti di fumo, come macchie e intaccature da p**a. Sorprendentemente, l'analisi del cemento dei campioni archeologici ha rivelato che gli anelli nei denti dei fumatori deceduti nel XVIII e XIX secolo presentavano gli stessi segni di rottura osservati nei donatori viventi che erano fumatori attuali o ex fumatori.

Il dott. Schwalbe ha sottolineato l'importanza di questi risultati per il futuro della scienza forense e degli studi storici. "Questo potrebbe aiutarci a scoprire di più sugli stili di vita delle persone nel passato, soprattutto negli studi archeologici in cui i modelli di consumo di tabacco possono rivelare importanti intuizioni culturali", ha affermato.

La Dott.ssa Inskip, che dirige il "To***co, Health and History Project", ha aggiunto: "L'identificazione dei 'danni del fumo' nei denti archeologici apre nuove strade alla comprensione di come il consumo di tabacco a lungo termine nelle popolazioni abbia influenzato la nostra salute nel tempo".

La cementocronologia, lo studio del cemento acellulare a fibre estrinseche (AEFC), è stata ampiamente utilizzata per stimare l'età al momento del decesso e condizioni come la gravidanza o le malattie. Tuttavia, si ritiene che questa sia la prima volta che viene impiegata per prevedere il consumo di tabacco.

La dott.ssa Valentina Perrone, assistente di ricerca presso l'Università di Leicester, ha spiegato: "Abbiamo confrontato visivamente e statisticamente la deposizione di cemento di fumatori, ex fumatori e non fumatori per identificare irregolarità potenzialmente collegate all'abitudine al fumo. Abbiamo scoperto che gli individui con una storia di fumo – sia come fumatori attuali che ex fumatori – avevano una probabilità significativamente maggiore di presentare lesioni al cemento rispetto a coloro che non ne avevano".

Sebbene il fumo sia noto per avere un impatto sistemico sull'organismo e sia correlato a parodontite e perdita dei denti, questo studio, intitolato "Reconstructing smoking history through dental cementum analysis - a preliminary investigation on modern and archaeological teeth", pubblicato su PLOS One, è il primo a mostrare una registrazione biologica del danno alla salute orale correlato al fumo all'interno della struttura dentale.

I Denti del giudizio I denti del giudizio sono gli ultimi a spuntare: i latini li chiamavano Dentis sapientiae, perché g...
05/06/2025

I Denti del giudizio

I denti del giudizio sono gli ultimi a spuntare: i latini li chiamavano Dentis sapientiae, perché già il medico greco Ippocrate aveva descritto, la loro comparsa in una fase della vita più “saggia” di quella infantile e dell’adolescenza, i 18 anni, la maturità appunto. Ma gli ultimi molari (i cosiddetti terzi, oppure ottavi) più che giudizio possono portare con sé un sacco di problemi per la bocca. Per esempio rubando spazio agli altri denti, provocando affollamento, problemi di allineamento e di masticazione, spuntando solo in parte o rimanendo sotto la gengiva. Noto anche come terzo molare od ottavo, il dente del giudizio emerge nelle arcate dentarie fra i 17 e i 25 anni, ma non è sempre così. In alcune persone questi denti non spuntano mai, in altre compaiono solo le punte o restano sepolte nella gengiva. Si trovano alle estremità della bocca e sono quattro (due sopra e due sotto). Difficili da raggiungere con lo spazzolino e dal filo interdentale, rendono ancora più raccomandabile l’igiene periodica dal dentista, visto che sono a rischio carie.
Sono denti che vanno gestiti con “giudizio”, si tratta infatti di elementi con anomalie coronali e radicolari posizionati in fondo al cavo orale e spesso ben radicati nelle arcate dentali. Spesso rimangono inclusi o semi-inclusi nella gengiva, non riuscendo a erompere e a posizionarsi correttamente nell’arcata dentale. Per mancanza di spazio spesso il dente cresce in posizione non corretta (per esempio impattando sui settimi). Se è semi-incluso può esporre a infezioni croniche che si chiamano disodontiasi per causa dei batteri che infettano i tessuti molli (pericoronarite), dare problemi ortodontici peggiorando una malocclusione pre-esistente e interferire col corretto funzionamento della bocca causando fastidiose contratture dei muscoli masticatori. Il fatto che i denti del giudizio non abbiano spazio fa sì che vengano ritenuti in zone estremamente critiche del cavo orale, dove l’igiene risulta essere estremamente difficile e i fenomeni infiammatori molto frequenti. Spesso la loro permanenza in bocca crea problemi di salute, avendo un ruolo marginale o assente nella masticazione, soprattutto quando il contatto con l’opponente manca, la loro permanenza in bocca di solito crea solo problemi ai settimi e disfunzioni all’intero apparato. La perdita non crea problemi estetici non essendo visibili per la loro posizione molto arretrata. Il dente del giudizio va tolto quando la sua permanenza, per qualsiasi motivo, crea problemi di salute anche al di fuori della bocca. Una delle situazioni più frequenti per cui ci vengono riferiti questi pazienti dall’otorinolaringoiatra è quella degli acufeni che possono essere innescati o peggiorati proprio dalla presenza degli ottavi in un contesto in cui l’osso diminuisce di volume per l’invecchiamento. La complessità dell’estrazione dipende dalla morfologia del dente del giudizio, da quante radici ha, da quanto sono curve, dal fatto che possono avere degli uncini che li tengono fortemente agganciati all’osso.

Colpito con una spranga di ferro nel parcheggio dell'ospedale, medico perde i sensi e viene salvato da una donnaUn medic...
04/06/2025

Colpito con una spranga di ferro nel parcheggio dell'ospedale, medico perde i sensi e viene salvato da una donna

Un medico in servizio al pronto soccorso di Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, è stato aggredito con una spranga e colpito alla nuca lunedì 2 giugno 2025 nell'area parcheggio all'esterno dell'ospedale al termine del proprio turno di lavoro. Il 43enne è stato trovato a terra privo di sensi da una donna che ha allertato i soccorsi. Dopo aver trascorso una notte in ospedale in osservazione il medico è stato dimesso martedì 3 giugno 2025 con una prognosi di 30 giorni. Le indagini per ricostruire l'accaduto sono condotte dai carabinieri. A quanto si apprende ieri, durante il turno in pronto soccorso, non ci sarebbero state situazioni di emergenza o particolari circostanze tali da collegarle all’aggressione. Le forze dell'ordine stanno acquisendo le immagini di videosorveglianza della zona per identificare il responsabile. Continuano le aggressioni dei medici in italia!! Il fenomeno delle aggressioni ai medici e agli operatori sanitari in Italia continua a destare preoccupazione. Solo nei primi tre mesi del 2025, si sono registrati quasi 6.500 episodi di violenza, con un aumento del 37% rispetto al 2024. Le aggressioni avvengono spesso nei pronto soccorso e nei reparti psichiatrici, ma anche negli studi dei medici di base e negli ambulatori.
Per contrastare questa emergenza, sono stati introdotti nuovi sistemi di sicurezza, come il pulsante di emergenza negli ospedali calabresi, che permette di allertare rapidamente le forze dell'ordine.
Il problema è complesso e richiede interventi mirati per garantire maggiore protezione ai professionisti della salute. Le misure di sicurezza per i medici variano da paese a paese, ma alcune strategie comuni includono:
-Presenza di guardie di sicurezza negli ospedali e nei pronto soccorso per prevenire aggressioni.
-Pulsanti di emergenza collegati direttamente alle forze dell'ordine, come quelli introdotti in alcune strutture italiane.
-Telecamere di sorveglianza per monitorare le aree a rischio e identificare rapidamente i responsabili di eventuali attacchi.
-Leggi più severe contro le aggressioni ai medici, con pene più dure per chi commette violenze contro il personale sanitario.
-Formazione specifica per il personale medico su come gestire situazioni di conflitto e ridurre il rischio di aggressioni.

In alcuni paesi dell'Unione Europea, esistono anche punti di contatto nazionali per fornire informazioni e supporto ai medici che subiscono aggressioni. Inoltre, in alcuni stati extra UE, vengono adottate misure di protezione per i medici che lavorano in contesti ad alto rischio. Le aggressioni ai medici sono un fenomeno complesso, influenzato da diversi fattori. Alcune delle cause principali includono:

Frustrazione dei pazienti: Lunghi tempi di attesa e difficoltà nell’accesso alle cure possono generare tensioni e sfociare in episodi di violenza.

Carenza di personale: La mancanza di medici e infermieri porta a un sovraccarico di lavoro, riducendo la qualità dell’assistenza e aumentando il rischio di conflitti.

Stress e disagio sociale: In alcune aree, la precarietà economica e sociale contribuisce a un clima di maggiore aggressività nei confronti degli operatori sanitari.

Difficoltà nella comunicazione medico-paziente: La mancanza di tempo per spiegare diagnosi e trattamenti può generare incomprensioni e frustrazione.

Ambienti ad alto rischio: I pronto soccorso e i reparti psichiatrici sono tra i luoghi più colpiti, dove le tensioni possono facilmente degenerare.

Questi fattori rendono urgente l’adozione di misure di sicurezza più efficaci per proteggere il personale sanitario.

L'Obesità non è solo pesoL’obesità non è solo una questione di peso, ma una condizione cronica complessa caratterizzata ...
01/04/2025

L'Obesità non è solo peso

L’obesità non è solo una questione di peso, ma una condizione cronica complessa caratterizzata dall’accumulo disfunzionale di tessuto adiposo viscerale, accompagnato da un’infiammazione di basso grado che aumenta il rischio di numerose patologie. Questo approccio innovativo alla diagnosi e alla gestione dell’obesità sta emergendo con forza nella comunità scientifica, evidenziando l’importanza di valutare non solo l’Indice di Massa Corporea (IMC), ma anche la composizione e la distribuzione del grasso corporeo.
Il limite dell’IMC nella diagnosi di obesità.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il sovrappeso con un IMC ≥ 25 kg/m² e l’obesità con un IMC ≥ 30 kg/m², affiancando a questi criteri anche la misura della circonferenza addominale (≥102 cm negli uomini e ≥88 cm nelle donne). Tuttavia, le più recenti evidenze scientifiche suggeriscono che l’IMC da solo non sia sufficiente a identificare correttamente lo stato metabolico di un individuo, poiché non distingue tra massa muscolare e massa grassa, né fornisce informazioni sulla distribuzione del grasso.
Un nuovo approccio alla diagnosi: oltre il peso
La Commissione Lancet Diabetes & Endocrinology del 2025 ha ridefinito l’obesità come una malattia sistemica cronica, caratterizzata dall’impatto dell’eccesso di adiposità sulla funzione di organi e tessuti. Questa prospettiva innovativa distingue tra obesità preclinica e clinica, basandosi sulla compromissione funzionale dell’organismo piuttosto che sul solo eccesso di peso.
In ambito ginecologico, l’obesità ha un impatto significativo sulla salute femminile, influenzando la fertilità, la gravidanza e la menopausa, oltre a essere associata a disturbi mestruali, sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), incontinenza urinaria e un aumentato rischio di tumori endometriali e mammari. Inoltre, l’obesità addominale è strettamente correlata alla sindrome metabolica, al diabete e alle malattie cardiovascolari.
Tecniche avanzate per una diagnosi precisa.
Per superare i limiti dell’IMC, nuove tecniche diagnostiche stanno rivoluzionando l’approccio all’obesità: impedenza bioelettrica (BIA) consente di valutare la composizione corporea, distinguendo tra massa magra e massa grassa.
Ecografia nutrizionale: permette di analizzare la distribuzione del grasso corporeo in modo rapido e non invasivo. Questa metodica differenzia tra grasso sottocutaneo e viscerale, stimando l’adiposità intra-addominale, un fattore critico nello sviluppo della resistenza all’insulina e della sindrome metabolica.
Dinamometria e test funzionali: strumenti utili per valutare l’obesità sarcopenica, condizione caratterizzata dalla perdita di massa muscolare, particolarmente rilevante nelle donne in post -menopausa.
Verso una medicina personalizzata.
L’integrazione di queste nuove tecniche nella pratica clinica permette di adottare strategie terapeutiche mirate, basate sulla valutazione individuale della distribuzione del grasso corporeo e del rischio metabolico. L’obiettivo è superare il semplice concetto di perdita di peso e concentrarsi su interventi personalizzati che migliorino la salute globale del paziente.
Significato clinico.
È fondamentale promuovere l’uso esteso di strumenti diagnostici avanzati per una valutazione più precisa dell’obesità. Ogni referto clinico dovrebbe includere non solo l’IMC e la circonferenza vita, ma anche dati dettagliati sulla composizione corporea, contribuendo a una gestione più efficace e consapevole della salute metabolica e ginecologica nelle donne.

Fonte : Gynecological Endocrinology Volume 41, 2025 - Issue 1

12 Marzo "Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e soc...
17/03/2025

12 Marzo "Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari

L'Alzheimer si manifesta decenni prima dei sintomi. «Ecco 4 campanelli d'allarme a cui fare attenzione»Può capitare a tu...
06/03/2025

L'Alzheimer si manifesta decenni prima dei sintomi. «Ecco 4 campanelli d'allarme a cui fare attenzione»

Può capitare a tutti di alzarsi con l'idea di andare in cucina per prendere un bicchiere d'acqua e dimenticarsene non appena si mette piede nella stanza. Per quanto questi episodi siano in generale molto comuni, è bene fare attenzione ad alcuni «campanelli d'allarme» che potrebbero indicare la presenza di qualche problema, e in particolare l'insorgenza dell'Alzheimer. A tal proposito il dottor Daniel Amen, psichiatra e ricercatore della California, ha indicato 4 segnali a cui fare attenzione.
Il primo segnale a cui fare attenzione, è il peggioramento della propria memoria negli ultimi 10 anni: «L'80% delle persone afferma che è così, e in questo caso c'è l'80% di probabilità che la situazione continui a peggiorare». Il secondo campanello d'allarme è relativo a una scarsa capacità di giudizio e un'elevata impulsività, il che significa che probabilmente «l'attività dei tuoi lobi frontali, ovvero la parte del cervello che ti "supervisiona", sta diminuendo, e questo non è un bene». Il terzo elemento è una soglia dell'attenzione particolarmente bassa e la facilità nel distrarsi, ma non una condizione come l'Adhd, quanto più un progressivo peggioramento. L'ultimo segnale è il fatto di essere spesso di cattivo umore, o depressi. Il dottor Amen ha anche indicato alcuni comportamenti che aumentano il rischio di sviluppare la demenza: obesità, carenza di energia, disfunzione erettile e insonnia cronica. I ricercatori hanno scoperto che i pazienti con Alzheimer utilizzano meno glucosio nel cervello rispetto a quelli con normale funzione cognitiva, e che tali livelli di riduzione possono essere rilevabili circa 20 anni prima dei sintomi iniziali. Questo morbo, che di solito colpisce persone che hanno più di 65 anni, mostra segni precoci che possono aiutare a riconoscere anticipatamente tale patologia cerebrale, quindi possono essere individuati anni prima. Una nuova ricerca ha identificato i cambiamenti nella neurochimica e nell'anatomia del cervello che sono presenti decenni prima che le persone abbiano un qualsiasi sintomo del morbo di Alzheimer.
I sintomi precoci dell'Alzheimer possono variare, ma alcuni segnali comuni includono:
-Perdita di memoria: Difficoltà a ricordare informazioni appena apprese, dimenticanza di eventi recenti o ripetizione delle stesse domande.
-Difficoltà nel linguaggio: Problemi nel trovare le parole giuste, impoverimento del vocabolario e difficoltà a seguire o partecipare a conversazioni.
-Disorientamento spazio-temporale: Perdita della capacità di riconoscere luoghi familiari o di orientarsi nel tempo.
-Cambiamenti di umore e personalità: Sbalzi d'umore, irritabilità, ansia, depressione o sospettosità.
-Difficoltà nelle attività quotidiane: Problemi nel completare compiti familiari, come cucinare o gestire le finanze.
-Problemi di giudizio: Scarsa capacità di prendere decisioni appropriate, come indossare abiti inadatti alle condizioni meteorologiche.
Riconoscere questi sintomi precocemente può aiutare a intervenire tempestivamente e a gestire meglio la malattia.
Un test sviluppato in Svezia rilevato dalla rivista Jama Neurology , effettuato su quasi 700 persone ha evidenziato come i livelli nell’organismo di una proteina chiamata p-tau271 può effettivamente essere una forma di “anteprima” , che in corrispondenza di livelli sufficientemente elevati ha poi portato ad una diagnosi della malattia di Alzheimer anche a distanza di oltre 10 anni dal primo test.
Questo significa quindi potenzialmente che anche chi non è troppo in avanti con gli anni, attraverso un comune esame del sangue con uno screening, potrà quindi anticipare con molti anni potenziali, la diagnosi poi inevitabile della malattia neuro degenerativa, con la prospettiva anche di “bloccarne” o anticiparne i tipici sintomi con farmaci che sono già molto evoluti negli ultimi anni.

L’Herpes Zoster o Fuoco di Sant’AntonioIl Fuoco di Sant’Antonio, noto anche come herpes zoster, è una condizione che può...
04/03/2025

L’Herpes Zoster o Fuoco di Sant’Antonio

Il Fuoco di Sant’Antonio, noto anche come herpes zoster, è una condizione che può colpire chiunque, a qualsiasi età, ma spesso è associato alle persone più anziane. È importante conoscere i fatti e diffondere la consapevolezza su questa malattia dolorosa e sottostimata. Questo “fuoco” è un’eruzione cutanea dolorosa causata dalla riattivazione del virus della varicella. È una malattia che può colpire chiunque abbia avuto la varicella in passato, in quanto il virus rimane latente nel sistema nervoso. Un italiano su 2 non conosce la pericolosità dell’Herpes Zoster e soprattutto fra i 50 ed i 60 anni ne sottovaluta i rischi. I sintomi del Fuoco di Sant’Antonio possono essere debilitanti. L’herpes zoster può causare dolore bruciante, prurito, vesciche piene di liquido e persino una sensazione di formicolio sulla pelle. Questi sintomi possono persistere per settimane o addirittura mesi. La buona notizia è che esiste un vaccino altamente efficace per prevenire il Fuoco di Sant’Antonio. Questo vaccino non solo può prevenire l’herpes zoster, ma può anche ridurre la gravità dei sintomi in coloro che lo sviluppano. La consapevolezza e la vaccinazione sono la chiave per proteggere se stessi e gli altri da questa condizione dolorosa. Parla con il tuo medico e scopri se sei un candidato per il vaccino contro l’herpes zoster.
In occasione della Settimana della Prevenzione dal Fuoco di Sant’Antonio, in programma dal 24 febbraio al 2 marzo, gli esperti raccomandano alle persone di informarsi. Anche perché stando ad un sondaggio condotto da Ipsos Healthcare, per conto di GSK, su 8.400 cittadini di 9 Paesi (Cina, Brasile, Italia, Giappone, Germania, Irlanda, India, Portogallo, Stati Uniti), tra i 50 ed i 60 anni (1000 gli Italiani considerati) in molti hanno ancora le idee confuse su questa infezione. Sia che si tratti di uomini e donne in buona salute sia che invece presentino patologie concomitanti. Dei soggetti in buona salute in Italia, solo il 52% ha una vaga idea di cosa sia l’Herpes Zoster e come possa rappresentare un rischio o addirittura non ne ha sentito parlare. La maggioranza degli intervistati su scala internazionale in questa decade si sente più giovane di quanto dice l’anagrafe e di conseguenza a minor rischio. Per questo è ancor più importante conoscere il rischio di sviluppare l’Herpes Zoster e puntare sulla prevenzione, nell’ottica sia della salute del singolo sia della sostenibilità del Servizio sanitario, limitando le spese per diagnosi e cura.
“La vaccinazione in età adulta e avanzata rappresenta una strategia di sanità pubblica fondamentale per il singolo e per la comunità, anche alla luce del trend demografico del nostro Paese. Gli over 65 italiani rappresentano il 23% (oltre 4 punti percentuali in più rispetto alla media UE) della popolazione totale, e nel 2050 si prevede che ne costituiranno fino al 35%. Secondo uno studio condotto dagli esperti di Altems Advisory (Università Cattolica del Sacro Cuore) se raggiungessimo gli obiettivi di vaccinazione previsti dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale, risparmieremmo 10 miliardi di euro annui di spese sanitarie, mancata produttività e altri costi correlati, che andrebbero ad accrescere il nostro PIL e la possibilità di investimento in altre priorità sanitarie. In quest’ottica la vaccinazione contro l’Herpes zoster è una soluzione per fare fronte in modo equo ai bisogni medici della comunità e della popolazione per continuare ad essere attiva e produttiva”.
Le probabilità di sviluppare l’Herpes Zoster aumentano progressivamente con l’avanzare dell’età, anche per il ruolo giocato dal naturale processo di immunosenescenza. Ma non bisogna dimenticare quanto e come la presenza di alcune situazioni molto diffuse (stiamo parlando ad esempio di diabete, malattie reumatologiche o di condizioni che comportano uno stato di immunodepressione come le terapie per patologie onco-ematologiche) possa rappresentare di per sé un fattore di rischio, a prescindere dall’età. Nel nostro Paese le malattie croniche interessano il 40,5% della popolazione italiana (24 milioni), mentre le persone affette da almeno due patologie croniche sono 12,2 milioni. Gli ultra 75enni affetti da una patologia sono l’85%, il 64,3% da due o più patologie. In base ai dati la tendenza è che nel 2028, i malati cronici saliranno a 25 milioni, mentre i multi-cronici saranno 14 milioni. Eppure dal sondaggio Ipsos, considerando chi appunto soffre di cronicità di questo tipo, emerge addirittura un livello di conoscenza più basso rispetto all’intera popolazione dei sani: siamo al 49% di persone che non conoscono l’Herpes Zoster o hanno solo qualche vaga informazione al riguardo. Insomma, in Italia come negli altri Paesi circa la metà della popolazione ignora che le cronicità come diabete, malattie respiratorie e malattia renale cronica nonché le patologie reumatologiche ed onco-ematologiche possono indebolire il sistema immunitario e quindi aumentare i rischi di sviluppare lo Zoster.
“Il medico di medicina generale è il primo punto di riferimento per i cittadini – sappiamo bene che questo è vero soprattutto per i pazienti anziani e per i pazienti fragili, per malattie e conseguenti terapie o per le precarie condizioni sociali. La riattivazione dello zoster per questi pazienti rappresenta un “incidente” che cambia la vita. L’HZ può modificare sostanzialmente la traiettoria di salute dei nostri pazienti, rendendo necessario il ricovero, con impatto sulla spesa sanitaria e sulla qualità di vita del singolo. Un recente studio indica che dal 2003 al 2018 l’HZ ha rappresentato la causa di 11 ospedalizzazione ogni 100.000 pazienti/anno.. Il tasso di incidenza di ospedalizzazioni per Zoster è 20 volte maggiore negli over 79 e 11 volte maggiore nei soggetti tra i 70 e i 79 anni, rispetto a quelli che hanno meno di 50 anni. Senza dimenticare che lo stesso studio parla di una incidenza di mortalità pari all’1,7% durante il ricovero. Quello che abbiamo capito più recentemente è che le complicanze e le conseguenze dellHZ non terminano con la manifestazione clinica della malattia: conosciamo bene la nevralgia post herpetica e le temibili conseguenze del coinvolgimento oculare ma oggi sappiamo che nel paziente con HZ aumenta in rischio di eventi cardiovascolari e neurologici. A fronte di quanto descritto la vaccinazione rappresenta uno strumento fondamentale per prevenire non solo la riattivazione della malattia, ma anche il decadimento delle condizioni generali di salute che si può associare a questa condizione. Insomma l’HZ è un brutto incidente, imprevedibile ma sicuramente prevenibile”.
Dall’indagine Ipsos emerge che i pazienti con malattie cardiovascolari e respiratorie sono quelli maggiormente informati sul rischio di sviluppare Herpes Zoster, mentre le persone con nefropatie risultano essere le meno informate. Seguono, sempre in termini di consapevolezza del rischio, i pazienti con diabete e gli immunosoppressi. In generale, tuttavia, il “non mi riguarda” è piuttosto diffuso, come se esistesse una discrepanza netta tra il rischio percepito e le reali implicazioni sfavorevoli in cui potrebbero incorrere queste categorie di pazienti.
Nel nostro Paese la situazione è allineata al quadro generale. Nel caso del diabete, ad esempio, il 61% degli intervistati in Italia è consapevole dell’elevato rischio che corre nel contrarre la patologia da Herpes Zoster, ma non ne sa abbastanza o pensa che non lo riguardi. Esistono, invece, precise evidenze cliniche che mostrano come la presenza di diabete aumenti il rischio, sia di sviluppare l’infezione da Herpes Zoster, sia di incorrere in complicanze (come ad esempio la nevralgia post-erpetica). Una ricerca condotta negli USA che ha valutato i risultati di 62 studi clinici mostra come i pazienti diabetici presentano un rischio più alto del 30% di sviluppare l’infezione da Herpes Zoster.
Per quanto riguarda l’immunodeficienza legata a malattie o terapie, in Italia, il 65% degli intervistati con problematiche legate all’immunodepressione è consapevole dell’elevato rischio che corre nel contrarre le manifestazioni dello Zoster. Ma anche in questo caso i soggetti non ne sanno abbastanza o pensano che non li riguardi.
“È importante promuovere la vaccinazione nei pazienti oncologici. – spiega Sandro Pignata, Direttore dell’Oncologia Medica presso l’IRCCS Istituto Nazionale Tumori Fondazione G. Pascale di Napoli e responsabile scientifico della Rete Oncologica Campana (ROC). – Per farlo è però necessario partire dagli operatori sanitari: la cultura vaccinale, la consapevolezza del suo valore, l’informazione corretta è fondalentale proprio per garantire un’adesione consapevole alla vaccinazione, che non solo è parte integrante del trattamento oncologico, ma preserva la qualità della vita dei pazienti. La Regione Campania – continua il Prof. Pignata – ha istituito la Rete Oncologica Campana, coordinata dall’Istituto Pascale, per identificare i centri specializzati nella prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione dei tumori maligni e le vaccinazioni rientrano a pieno titolo nella presa in carico del paziente. Visto il tema di oggi, le stesse linee guida AIOM raccomandano fortemente la vaccinazione contro l’Herpes Zoster. In chi si trova ad affrontare un tumore solido del sistema nervoso centrale o in generale un cancro gastrico, colorettale, polmonare, mammario, ovarico, prostatico, renale e vescicale, si calcola sia associato un aumento del rischio di infezione da Herpes Zoster tra il 10-50%”.
“È importante proteggere i pazienti con malattie reumatologiche. – commenta Andrea Doria, professore di Reumatologia presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia presso l’azienda Ospedale-Università di Padova e presidente SIR – Ad esempio in caso di lupus eritematoso sistemico (LES), il rischio di Herpes Zoster aumenta del 150% rispetto alla popolazione di confronto. Per quanto riguarda l’artrite reumatoide, due studi che hanno coinvolto oltre 160.000 pazienti dimostrano che il rischio è quasi doppio rispetto alla popolazione generale. Anche i farmaci necessari per il trattamento delle malattie reumatologiche – cortisone, immunosoppresori, farmaci biologici e JAK inibitori – possono influire sul rischio”.

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