17/09/2025
Accesso alla salute: le diseguaglianze sanitarie tra Nord e Sud in crescita!
Le diseguaglianze sanitarie tra Nord e Sud restano marcate e strutturali. A distanza di 164 anni, la questione meridionale si manifesta in modo evidente attraverso le carenze dei servizi fondamentali come sanità e istruzione nel Sud Italia, riflettendo il divario storico e strutturale rispetto al Nord. Lo conferma il Rapporto SDGs 2025, che analizza lo stato di avanzamento dell’Agenda 2030 attraverso 320 misure statistiche, molte delle quali evidenziano un ritardo persistente delle regioni meridionali.
Le diseguaglianze sanitarie tra Nord e Sud restano marcate e strutturali. Lo conferma il Rapporto SDGs 2025 curato dall’Istat, che analizza lo stato di avanzamento dell’Agenda 2030 attraverso 320 misure statistiche, molte delle quali evidenziano un ritardo persistente delle regioni meridionali rispetto alla media nazionale, soprattutto in riferimento al Goal 3 “Salute e benessere” e al Goal 10 “Ridurre le disuguaglianze”.
La "questione meridionale" è un fenomeno complesso che ha radici risalenti all'unificazione italiana nel XIX secolo, quando le disparità economiche e sociali tra Nord e Sud si sono profondamente consolidate. Queste differenze si sono riflesse nel tempo in minori investimenti pubblici e privati nelle regioni meridionali, specialmente nelle infrastrutture di base e nei servizi essenziali.
Nel Mezzogiorno oltre il 60% degli indicatori SDGs considerati si colloca in posizione peggiore rispetto al valore medio italiano. Le aree più penalizzate risultano Campania, Calabria e Sicilia, dove le criticità si sommano in più ambiti: povertà, accesso ai servizi sanitari, istruzione, occupazione e salute. In queste tre regioni, la quota di popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale supera il 40%, contro valori inferiori al 15% in quasi tutte le regioni settentrionali.
Il Sud Italia presenta ancora oggi problemi strutturali nel sistema sanitario, tra cui una minore dotazione di ospedali, carenza di personale medico e infermieristico, e lunghi tempi di attesa per prestazioni mediche. Questi fattori contribuiscono a una maggiore disparità nell'accesso alle cure rispetto al Nord, influendo negativamente sulla qualità della vita e sulla salute delle popolazioni meridionali.
La dotazione di infrastrutture sanitarie riflette il divario: nel Sud, la disponibilità di posti letto ospedalieri è di 27,1 ogni 10mila abitanti, contro i 32,5 del Nord-Ovest. Una forbice che si traduce in maggiori difficoltà nell’accesso alle cure e in tempi di attesa più lunghi, in particolare per prestazioni specialistiche e diagnostiche.
Questi ritardi sono il risultato di fattori storici, economici e politici che includono un minore sviluppo industriale, scarsità di investimenti pubblici, inefficienze amministrative e fenomeni di clientelismo e corruzione. Il divario nei servizi essenziali contribuisce a rafforzare le disuguaglianze socio-economiche tra Nord e Sud, influenzando la mobilità sociale e la coesione nazionale.
La situazione si aggrava nelle aree interne e nei piccoli comuni, dove i servizi sanitari risultano spesso sottodimensionati o assenti. Il Rapporto sottolinea come, in queste zone, la carenza di offerta pubblica renda più difficile la presa in carico delle patologie croniche, in un contesto segnato anche da invecchiamento demografico e mobilità sanitaria passiva.
Il Goal 1 (“Povertà zero”) incrocia i dati sanitari con quelli sociali: nel 2024, oltre 13,5 milioni di persone (il 23,1% della popolazione italiana) risultano a rischio di povertà o esclusione sociale. Il rischio è doppio per le famiglie con cittadinanza straniera. L’intersezione tra condizioni economiche svantaggiate e limitato accesso alle cure alimenta un ciclo che incide negativamente su prevenzione, aderenza terapeutica e outcome clinici.
Secondo le analisi territoriali del Rapporto, nelle regioni del Nord (Valle d’Aosta, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia) oltre la metà degli indicatori SDGs risulta in posizione migliore della media nazionale. All’estremo opposto, solo un quarto delle misure nelle regioni del Sud evidenzia un posizionamento favorevole.
Nonostante una lenta convergenza osservata in alcuni indicatori di lungo periodo, il divario resta ampio. Il miglioramento registrato in regioni come Abruzzo e Sicilia nell’ultimo anno non è sufficiente a colmare gli squilibri storici. Il fabbisogno di interventi strutturali rimane elevato, soprattutto in termini di investimenti in medicina territoriale, digitalizzazione, personale sanitario e governance integrata.
Il Rapporto richiama la necessità di azioni mirate per ridurre i divari e garantire equità nell’accesso alla salute su tutto il territorio nazionale. Un obiettivo che si intreccia con l’attuazione della Missione 6 del PNRR e con il monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), ancora disattesi in più di una regione. La coerenza tra programmazione sanitaria e strategia di sviluppo sostenibile, conclude l’Istat, rappresenta una delle sfide decisive per il futuro del sistema sanitario italiano.
La risoluzione della questione meridionale richiederebbe un impegno continuo e integrato, che includa investimenti mirati, riforme amministrative e politiche di inclusione sociale. il mancato adeguamento dei servizi di sanità e scuola nel Sud Italia rappresenta un nodo centrale della questione meridionale, che continua a influenzare profondamente il benessere e lo sviluppo dell’area. Nei governi italiani dall’Unità a oggi, la questione meridionale è stata spesso presente a parole ma mai affrontata con continuità e decisione.
Molte politiche pubbliche si sono rivelate inefficaci, frammentate o, addirittura, hanno accentuato il divario Nord-Sud (ad esempio gli investimenti pubblici in media più al Nord che al Sud dal 1971 in poi). Gli interessi politici ed economici consolidati (tra cui l’alleanza tra industriali del Nord e latifondisti meridionali) hanno spesso ostacolato soluzioni strutturali.
La cronica Carenza di informazione e attenzione mediatica.
La complessità della questione meridionale è poco presente nel dibattito pubblico nazionale e spesso relegata a questioni marginali o emergenziali.
L’attenzione mediatica tende a concentrarsi su temi più immediati o sensazionalistici, mentre la questione meridionale, profondamente radicata e strutturale, viene percepita come difficile da risolvere o rassegnata.
Questo contribuisce a un generale distacco e mancata consapevolezza nelle persone non direttamente coinvolte.
La difficile condizione economica, l’alto tasso di emigrazione, la scarsa qualità dei servizi (sanità, istruzione, infrastrutture) e una certa diffidenza verso le istituzioni hanno limitato la possibilità di un attivo protagonismo sociale e politico locale.
L’isolamento e le dinamiche di clientelismo hanno indebolito la partecipazione civica e la capacità di autocoscienza collettiva necessaria per far emergere e sostenere il problema a livello nazionale.
Il rappresentare il Sud come “colonia interna” dello Stato italiano, giustificano e minimizzano il ruolo dello Stato e delle élite nazionali nel perpetuare le disuguaglianze.
Questo genera confusione e conflitto interno nella comprensione del fenomeno, ostacolando un consenso ampio e duraturo sulla necessità di un cambiamento profondo.
Le soluzioni adottate, come la Cassa per il Mezzogiorno o altre iniziative, hanno avuto effetti limitati o temporanei.
Ancora oggi il divario economico, sociale e culturale tra Nord e Sud persiste, alimentando la sfiducia e la rassegnazione, che scoraggiano la discussione pubblica e la mobilitazione collettiva.
Molte persone ignorano la questione meridionale perché è da tempo caricata di stereotipi ideologici, è stata poco o male trattata dalla politica e dai media, e la sua complessità strutturale scoraggia una reale consapevolezza. Inoltre, fattori storici di disuguaglianza, una narrazione dominante settentrionale e la mancanza di efficaci politiche pubbliche hanno contribuito a mantenere questo problema nell’ombra o nel pregiudizio, relegandolo a tema quasi “invisibile” nella coscienza collettiva nazionale.