27/10/2024
Il mio nuovo contributo. Buona domenica, amici cari, e ricordati di mettere un'ora indietro le lancette (o di non farlo, tanto ogi è domenica).
La pittrice di Dio
“È un buon segno, Dottore?”.
Se mi chiedessero quale super potere desidero, risponderei “mangiare senza ingrassare”. Al secondo posto, probabilmente, quello di teletrasportarmi; insomma, i super poteri mi servirebbero per correggere alcuni “difetti” del mio reale. Potrei aggiungerne altri, ma di certo non sceglierei quello di leggere la mente altrui: e questo perché sono uno psichiatra.
“Per forza,”, mi direte voi “ce lo hai già!”. Nulla di più sbagliato. Uno psichiatra che è convinto di saper leggere nella mente dei suoi pazienti non è uno psichiatra. Vedete, le ragioni di un’azione sono infinite, e la psichiatria si muove partendo dal significato che quella specifica azione, che può essere ripetuta all’infinito da infinite persone, ha per quell’unica persona che ha di fronte lui. Del resto, il mondo è pieno di interpretazioni frettolose; bene, quelle lasciamole agli altri. Noi diamo un’attenzione esclusiva.
Veniamo a Maggie, il cui vero nome è Assunta. Assunta era una ragazza brillante, studiosa, appassionata sin dalla tenera età di pittura e di Inghilterra. Poi il disturbo, che irrompe come un colpo di pi***la, a 17 anni. Qualche anno di università, poi la chiusura quasi totale, una perplessità cerea da statua di Madame Tussaud. Le parole sconclusionate, incomprensibili, pronunciate sempre con un accento che più British non si può. Una caricatura di ciò che era prima, un Mister Smith in salsa partenopea e con l’orlo della gonna a spazzare perennemente il pavimento. Niente più del suo corpo esile e dei suoi occhi verde inglese, tutto spazzato via dalla gonna e rimesso insieme alla rinfusa, senza criterio alcuno. Perché la mente non si perde niente se non il suo ordine. La pittura, prima sulle mani ed il corpo, poi sui muri di quella camera da cui non esce più, neppure per mangiare. Il primo ricovero, un secondo e poi un terzo, il tutto inframezzato da una richiesta di colore e di colori che vengono letti come un miglioramento, come un tentativo, infantile e disperato, di comunicare con il mondo. Ma non era Picasso e neppure Modi: la “pazzia” non fa di per se’ arte, se non in un gioco fraudolento.
Quando la conobbi già non parlava più, limitandosi a rispondere con le palpebre come gli ammalati terminali. Ma non c’era un nesso, ed era quindi inutile: alla stessa domanda, o a domande di verifica, poteva rispondere indifferentemente con una o due spalpebrate. Non un automatismo né un riflesso, ma un tentativo ben riuscito di fingere comunicazione, di comunicare la volontà di non comunicare. Avevo come l’impressione, ma sapevo che era una mia congettura, che semplicemente pensasse che il mondo non valesse la sua attenzione. Era, però, un mio pensiero che andava a riempire il suo silenzio, ne ero ben consapevole; “il mondo non capisce”, mi ripeto spesso, in un momento o in un altro. Dipingeva, questo sì, ininterrottamente dal suo mutismo non selettivo; quadri brutti, senza poesia alcuna, ma che piacevano all’intelligente di turno, perennemente alla ricerca di un familiare disperato e perdutamente innamorato che potesse credergli. Maggie era come i grandi ricchi: disperata perché costretta a “parlare” di arte, mentre voleva essere ammirata per la sua pazzia soltanto (per i ricchi è la ricchezza, ma questa è un’altra storia).
“Sì”. Mentii a quel papà dagli occhi lucidi ed amorevoli come avrei mentito a mio padre, per non dargli un dolore inutile. Tanto non sarebbe cambiato nulla: quei quadri sarebbero rimasti orribili, proprio come immaginavo essere quegli scarti di pensieri inaccessibili condannati a vagare eternamente nella sua mente.