28/10/2021
𝐌𝐮𝐬𝐢𝐜𝐚 𝐧𝐞𝐥 𝐦𝐢𝐨 𝐜𝐮𝐨𝐫𝐞
Vivo da sempre a Napoli. Da quando, poco più che bambino, in seguito ad una virata professionale di mio padre, la nostra piccola famiglia si trasferì. Da una provinciale realtà toscana, Livorno, alla metropoli partenopea, certo, l'impatto non fu semplice. Ma i disagi terminarono presto e pian piano il mio mondo interiore si dipinse dei colori napoletani fino ad acquistare di diritto la piena cittadinanza.
Ed oggi, dopo 59 anni di adorata permanenza, oltre ogni critica, nella città più bella del mondo, mi sento come se l'avessi abitata da sempre, dalla nascita. Ma la realtà del profondo mi smentisce. Mi capita talvolta di provare una nostalgia struggente per le mie radici, che viene difficilmente compresa, tanto da desiderare fortemente di tornare sui luoghi della mia infanzia. Quando mi trovo a vagare con la mente fra un evento emotivamente significativo ed un altro riprovo senza filtri le emozioni di allora, attivandosi intensamente il mio sentire. Prima di tornare fisicamente là dove ho vissuto da bambino, cosa che ho già ovviamente programmato, soprattutto nella casa che mi ha visto nascere, sono felice testimone emotivo di tanti ricordi che mi danno una dimensione concreta dell'influenza condizionante di fatti e cose di quando ero piccolo. Così in questi giorni sto rivivendo risvolti importanti della mia vita dai quali a tratti vengo letteralmente travolto. Fra questi è stato determinante l'impatto con quella che posso, senza dubbio, definire la musicalità che da sempre mi appartiene.
Dunque. Al di là di ogni ricostruzione fedele del passato, da quando sono venuto alla luce la musica ha rappresentato per me, insieme all'amore, una particolare risonanza. Trasmissione genetica? Può darsi, nella famiglia di mia madre tutti suonavano il pianoforte. Lei era solita strimpellare, come diceva all'epoca, già dai miei primi mesi di vita. E sembra che a questo stimolo io abbia sempre risposto con reazioni di palese goduria ed in seguito con smaglianti sorrisi. La musica, era evidente, mi colpiva nel profondo della mia anima.
Un po' più grande seguivo con passione la musica classica come quella leggera, e poi il jazz, ma quello che più mi toccava le corde del profondo rimaneva il suono del pianoforte.
Quando mio padre, avevo 7 anni, col consenso ampiamente sorridente di mia madre, comunicò di avermi iscritto alla Scuola di Musica "Mascagni" di Livorno, una sorta di costola operativa del Conservatorio di Firenze, non presi la notizia di buon grado. Fra le lezioni di solfeggio e teoria e quelle di piano forte se ne andavano 3, 4 pomeriggi alla settimana, restando poco tempo per giocare. Sì, giocare, come ogni bambino desidera in misura proporzionale alla sua normalità. E avevo ben ragione a provare una timida opposizione, immediatamente stroncata da mio padre: "È così e basta!". Una grande insegnante di solfeggio e teoria provocò in me una forte passione finalizzata soprattutto al canto ("Hai una voce bianca notevole"). Ma un'insegnante allora famosissima di piano stroncò inesorabilmente le mie motivazioni sottese da una fragile, delicata sensibilità gravemente traumatizzata dalle sue urla violente.
Peccato, ho provato in tutti i modi a recuperare la possibilità di rimettere le mani sulla tastiera: non c'è stato verso.
Ma il piano è sempre, e sempre sarà, il re della musica della mia anima. Ovunque posso, il suo suono, aprendo al sorriso il mio cuore, come accade da una vita nei miei workshop, ad esempio, si connette con la mia anima traducendo l'amore in musica e la musica in amore.