D.ssa Italia Chiariello , Psicologa, Psicoterapeuta,Musicoterapeuta

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D.ssa Italia Chiariello , Psicologa, Psicoterapeuta,Musicoterapeuta La D.ssa I.Chiariello, è iscritta nell'Albo degli Psicologi e degli Psicoterapeuti della Regione Campania .

La d.ssa.Chiariello è inoltre iscritta a norma della Legge 4/2013, nel Registro professionale di AIM ; all'interno di questa Associazione , è membro del Gruppo di coordinamento delle attività di musicoterapia del sud Italia.

19/11/2025

“Qualsiasi via è solo una via, e non c’è nessun affronto a se stessi o agli altri nell’abbandonarla,

se questo è ciò che il cuore ti dice di fare…

Esamina ogni via con accuratezza e ponderazione.

Provale tutte le volte che lo ritieni necessario.

Quindi poni a te stesso soltanto una domanda…

Questa via ha un cuore?

Se lo ha, la via è buona

Se non lo ha, non serve a niente.”



C. Castaneda - Gli insegnamenti di Don Juan
(cit in V. Mastropaolo, Scuola di Psicoterapia della Gestalt-Napoli)

13/11/2025

RICOMINCIO DAL BENE – 14 novembre 2025, Roma
Il Forum nazionale sul riuso pubblico e sociale dei beni confiscati.

La campagna “Fame di Verità e Giustizia” ha attraversato l’Italia portando nelle piazze, nelle università e sui beni confiscati la voce di chi crede in un Paese libero da mafie e corruzione.
Ora quel cammino prosegue con “Ricomincio dal bene”, una giornata di confronto e visione sul valore dei beni confiscati: un patrimonio comune che restituisce dignità ai territori e genera futuro.

Ci ritroveremo il 14 novembre a Roma, negli spazi di ExtraLibera, insieme alla rete di Libera, alle istituzioni e alle realtà sociali che ogni giorno trasformano quei beni in luoghi di riscatto e partecipazione.

Iscriviti ora 👉 https://libera.limesurvey.net/776788?lang=it

11/11/2025
10/11/2025

Aveva gli occhi chiusi come chi riposa dopo una lunga giornata. Il volto disteso, la barba appena accennata. Sembrava dormisse, avvolto in un sonno profondo e tranquillo. E invece il suo riposo durava da 2.400 anni.

Era l’anno 1950 quando, nella torbiera di Bjældskovdal, in Danimarca, alcuni scavatori fecero una scoperta che avrebbe sfidato ogni logica. Tra muschio, fango e silenzio, affiorava il corpo di un uomo. Ma non era un semplice scheletro antico. Era qualcosa di più. La pelle era ancora lì, intatta. Le ciglia si potevano contare una a una. Le rughe sulla fronte raccontavano una vita passata. Era l’Uomo di Tollund.

Quel corpo, avvolto per secoli in un abbraccio di acqua, acido e buio, non era stato toccato dal tempo. L’aria non lo aveva mai sfiorato. La decomposizione si era arrestata come davanti a un ordine superiore. La natura, a modo suo, aveva deciso di conservarlo. Come se sapesse che, un giorno, qualcuno avrebbe dovuto vederlo. Ricordarlo. Ascoltarlo.

L’Uomo di Tollund fu vittima di un sacrificio umano nell’Età del Ferro. Morì con una corda di cuoio attorno al collo. Non c’è rabbia nel suo volto, nessuna traccia di terrore. Solo quiete. Forse fu offerto agli dèi della fertilità, forse alla terra, affinché donasse buoni raccolti. E lui accettò. Il suo viso parla di resa, non di violenza. Di pace, non di paura.

Gli scienziati ricostruirono persino la sua ultima cena: una semplice pappa fatta di orzo, lino e semi selvatici. Trovarono le sue impronte digitali, come se fosse ancora tra noi. Ogni dettaglio raccontava un’esistenza vissuta con dignità, interrotta da un gesto antico e rituale. E poi, il lungo silenzio. Secoli di immobilità mentre intorno il mondo cambiava, cresceva, dimenticava.

Furono le acque della torbiera, infine, a riportarlo in superficie. Non per caso, ma come un messaggero del tempo. Oggi, quel volto riposa in un museo danese. Immobile, ma vivo agli occhi di chi lo guarda. Ci osserva con una serenità che spiazza, come se volesse dirci qualcosa che non riusciamo a comprendere. Un sussurro attraverso i millenni.

La sua morte fu un rito.

Il suo corpo, un testamento.

La sua conservazione, un prodigio della natura.

Perché ci sono vite che il tempo cancella in un soffio.

E poi ci sono quelle che il tempo, per ragioni che solo lui conosce, decide di custodire con cura, nei dettagli più piccoli, fino all’ultima piega della pelle.

10/11/2025

Lei scriveva. Lui la pubblicava.
Lei parlava. Lui firmava col suo nome.
Lei cercò di reclamare la propria voce.
La chiamarono pazza.

E morì rinchiusa in un ospedale in fiamme.

Il suo nome era Zelda Sayre Fitzgerald.
La storia la ricorda come la moglie di F. Scott Fitzgerald.
Ma la vera storia è quella di cosa accade quando il genio di una donna minaccia l’uomo che la ama.

Montgomery, Alabama, 1918.
Zelda Sayre ha 18 anni ed è inarrestabile.

Beve gin direttamente dalla bottiglia.
Indossa costumi color carne.
Balla sui tavoli.
Dice le cose audaci che gli altri osano solo pensare.

I giornali la chiamano “la ragazza più desiderata del Sud.”

Poi un giovane tenente di nome F. Scott Fitzgerald la vede a un ballo.

Si innamora all’istante.
Lei ride e dice che forse lo sposerà —
se diventerà qualcuno degno di lei.

Così lui scrive un romanzo. Tutte le notti. Ogni notte.

Quando lo vende, le manda un telegramma con una sola frase:

“LIBRO VENDUTO. SPOSAMI ORA.”

Lei lo fa.

Hanno 19 e 23 anni.
Diventano la coppia reale scintillante dell’Età del Jazz.
Colazioni a base di champagne. Salti nelle fontane. Titoli sui giornali. Flash.

Il mondo vede il glamour.

Dentro il loro matrimonio, succedeva altro.

Zelda tiene dei diari. Diari splendidi, brillanti, vivi.
Scott li legge — poi copia le sue parole nei suoi romanzi.

Interi passaggi.
Dialoghi.
I suoi pensieri.
La sua voce.

I critici lodano la sua “straordinaria comprensione della mente femminile.”

Quando lei protesta, lui dice:

“Io sono lo scrittore professionista. Tu sei solo mia moglie.”

Ma lei ci prova comunque.

Comincia a pubblicare saggi, racconti.

Le riviste li stampano — con entrambi i loro nomi.
Anche quando lui non aveva scritto una parola.
Perché il suo nome vendeva.
Il suo no.

Lei crea arte.
Lui prende il merito.
Lui prende i soldi.

Nel 1930, il matrimonio si sta sgretolando.
Scott si stordisce di alcol.
Zelda balla otto ore al giorno, si affama per sentirsi in controllo.

Crolla.
La ricoverano.
Diagnosi: schizofrenia.

Gli psichiatri moderni credono che fosse probabilmente bipolare.
Ma nel 1930, chiamare una donna “schizofrenica” era un modo comodo per farla tacere.

Lei scrive comunque.

Dal manicomio, scrive un romanzo:

Save Me the Waltz.

È la sua versione del loro matrimonio.
Il suo dolore.
La sua identità.
La sua voce.

Lo manda a un editore — senza chiedere a lui.

Scott esplode.

Dice che lei “non aveva alcun diritto” di usare la loro vita nel libro.
Pretende che lo riscriva — per proteggere la sua reputazione.

Lei è rinchiusa in un ospedale.
Lui controlla ogni suo contatto con il mondo esterno.

Lei è costretta a riscrivere la propria storia.

Il suo romanzo esce nel 1932.
Riceve poca attenzione.
È silenzioso.
È bellissimo.
È suo.

Due anni dopo, Scott pubblica Tender Is the Night, usando le sue cartelle cliniche, i suoi crolli, le sue pagine di diario.

I critici lo definiscono un capolavoro.

Scott muore a 44 anni.
Zelda resta istituzionalizzata, sola.

10 marzo 1948. Highland Hospital, Asheville.
Un incendio scoppia nella notte.
Il reparto è chiuso a chiave.
Non riescono a far uscire le pazienti in tempo.

Nove donne muoiono.

Zelda tra loro.

La identificano da una sola pantofola.

Il mondo ricorda Scott Fitzgerald come un genio.
Ricorda Zelda come la moglie pazza.

Ma ecco la verità:

Lei scrisse alcune delle prose più luminose dell’Età del Jazz.

Dipinse.

Ballò.

Lottò per essere l’autrice della propria storia.

E quando ci provò, il mondo la rinchiuse.

Zelda Sayre Fitzgerald:
Non una musa.
Non una tragedia.
Non una nota a piè di pagina.

Una scrittrice.
Una pittrice.
Una donna che si rifiutò di restare in silenzio.

Il suo libro Save Me the Waltz è ancora in stampa.
I suoi quadri sono esposti nei musei.
Le sue lettere sono straordinarie.

Noi diciamo il suo nome.
Leggiamo le sue parole.
Restituiamo ciò che le fu tolto.

Perché quando la storia chiama una donna “pazza”,
dobbiamo sempre chiederci:

Chi aveva bisogno che tacesse?

10/11/2025

Una volta gli adulti evitavano le parolacce, se non all’osteria o in caserma, mentre i giovani le usavano per provocazione, e le scrivevano sulle pareti dei gabinetti della scuola. Oggi le nonne dicono “cazzo” invece di perdirindindina; i giovani potrebbero distinguersi dicendo perdirindindina, ma non sanno più che questa esclamazione esistesse. Che tipo di parolacce può usare oggi un giovane, per sentirsi appunto in polemica coi suoi genitori, quando i suoi genitori e i suoi nonni non gli lasciano più alcuno spazio per una inventiva scurrilità?
Avevo quindi ripreso una vecchia “Bustina”, consigliando ai giovani parole desuete ma efficaci come pi***la dell’ostrega, papaciugo, imbolsito, crapapelata, piffero, marocchino, morlacco, badalucco, pischimpirola, tarabuso, balengu, piciu, cacasotto, malmostoso, lavativo, magnasapone, tonto, allocco, magnavongole, zanzibar, bidone, ciocco, bartolomeo, mona, tapiro, belinone, tamarro, burino, lucco, lingera, bernardo, lasagnone, vincenzo, babbiasso, saletabacchi, fregnone, lenza, scricchianespuli, cagone, giocondo, asinone, impiastro, ciarlatano, cecè, salame, testadirapa, farfallone, tanghero, cazzone, magnafregna, pulcinella, zozzone, scassapalle, mangiapaneatradimento, gonzo, bestione, buzzicone, cacacammisa, sfrappolato, puzzone, coatto, gandùla, brighella, pituano, pisquano, carampana, farlocco, flanellone, flippato, fricchettone, gabolista, gaglioffo, bietolone, e tanti altri termini bellissimi che lo spazio mi obbliga a tagliare.

Speriamo bene, per la riscoperta dell’idioma gentile.
— Umberto Eco

26/10/2025

🔴 Borse di Studio e Scuole di Specializzazione Universitarie in Psicologia: una commedia degli errori

C’erano una volta delle buone intenzioni.
Poi arrivarono un parametro sbagliato, un algoritmo pensato per tutt’altro scopo e un copia-incolla ministeriale. Il risultato? Una programmazione nazionale delle borse di studio in Psicologia degna di una Commedia di Plauto: numeri inventati, regioni con “zero” posti, distribuzioni casuali e nessuna comunicazione agli Ordini, alle Regioni o alle Università.

Ma l’aspetto più grave è un altro: mentre tutto questo accadeva, nessuna regia nazionale del CNOP ha presidiato il tavolo tecnico dove le decisioni venivano prese.
Né gli Ordini regionali, né le Direzioni delle Scuole di Specializzazione Universitarie erano state informate dell’esistenza di queste tabelle ministeriali. Così, mentre si ridefinivano le rappresentanze, le scelte scorrevano altrove — nel silenzio.

Un intreccio surreale che rivela un problema serio: l’assenza di un coordinamento politico e istituzionale capace di difendere la formazione pubblica della professione.
Una risata amara, perché a pagare il prezzo di questi errori non sono i personaggi di una commedia, ma giovani psicologi e intere Scuole Universitarie.

👉 Leggi l’articolo completo: https://www.altrapsicologia.it/articoli/borse-di-studio-e-scuole-di-specializzazione-universitarie-in-psicologia-una-commedia-degli-errori/

12/10/2025

La squadra di è al lavoro da mesi sulle inchieste che vedrete nella prossima stagione. Continuate a seguirci sui social per rimanere aggiornati.

Torniamo domenica 26 ottobre dalle 20.30 su 👇

31/08/2025

Aiutare i figli ad affrontare le sfide di ogni giorno: l’importanza di dare ascolto e presenza, non soluzioni!
Ascoltare i figli è fondamentale, è il primo passo per instaurare e mantenere aperta una relazione improntata sul dialogo e il confronto, anche nei momenti di difficoltà. Non è sempre facile riuscire ad ascoltarli e a comprendere i loro comportamenti e le loro motivazioni. Eppure è fondamentale: sentirsi ascoltati significa potersi fidare e sentire di essere importanti per l’altro!
L’ascolto è uno strumento potentissimo che permette di entrare in contatto con l’altro. Allenare l’ascolto è molto difficile, ma è la chiave per il successo familiare. Ci vuole pazienza perché si trovi una modalità efficace, ma non solo: servono anche allenamento e fiducia in quello che si sta facendo.
Se ci mettiamo nei loro panni, ci renderemo conto del fatto che anche noi adulti, quando esprimiamo una difficoltà o un dubbio, abbiamo soprattutto bisogno di essere ascoltati, compresi, non giudicati, senza ricevere soluzioni preconfezionate da altri.
Ascoltiamoli, in modo attento ed empatico, senza intervenire in maniera immediata, aiutiamoli a riconoscere i sentimenti e le emozioni che stanno sperimentando. Aiutiamoli a riflettere e ragioniamo insieme sulle possibili soluzioni, lasciando loro la possibilità di trovare delle alternative.
Questa modalità aiuta bambini e ragazzi a sviluppare maggiore consapevolezza di se stessi, sperimentando la loro libertà di pensiero e di azione. I figli hanno bisogno di fiducia, di sentire che mamma e papà sono lì per loro, per sostenerli e amarli sempre e che sono fiduciosi nelle loro capacità di far fronte alla vita.

27/08/2025

“La più grande vergogna dell’umanità”: così Gino definiva la guerra.

La conosceva da vicino, come chirurgo. L’ha vista nei corpi e sui volti delle vittime civili.

Uomo di pace, ne ha denunciato l’insensatezza ogni volta che poteva.

Praticando i diritti ci ha trasmesso una visione: la possibilità di costruire un’alternativa, una persona alla volta.

Una “utopia realizzabile”, con l’impegno di tutte e tutti noi. Perché “Abolire la guerra è l’unica speranza per l’umanità.”

-- lo staff di EMERGENCY

27/07/2025

Non era mai stata baciata. Ma regalò al mondo una canzone d’amore eterna. 🎹💋

Una delle canzoni più famose del XX secolo, Bésame Mucho, non fu scritta da una celebre artista… ma da una ragazza di 16 anni.
Una ragazza cresciuta in una rigorosa scuola cattolica, dove persino pronunciare la parola “bacio” sembrava un peccato.

Si chiamava Consuelo Velázquez, anche se allora era solo Consuelita, una giovane sognatrice messicana con dita fatte per il pianoforte.
Nata nel 1916, in una famiglia nobile ma povera. Orfana di padre, sua madre lottò per crescere cinque figli.

A quattro anni già studiava musica. Venne mandata in convento, ma la severità quasi la spezzò.
Finché, durante un festival infantile, un pianista la vide suonare e le offrì lezioni gratuite.
Così entrò al Conservatorio Nazionale di Musica. E lì cominciò il suo vero cammino.

A 16 anni, senza aver mai ricevuto un bacio, scrisse Bésame Mucho.
“Era un sogno, una fantasia d’amore”, dirà più tardi.

La mandò alla radio con uno pseudonimo, temendo il giudizio su una “ragazza perbene che scriveva certe cose”.
Ma la canzone esplose. Il mondo intero la cantava.
Sua madre, però, si scandalizzò: non voleva una figlia compositrice… voleva una monaca.

Hollywood la cercò. Walt Disney ne fu incantato. Le offrirono fama e fortuna.
Ma Consuelo tornò in Messico dopo un solo mese.
La sua vera passione non erano i riflettori, ma la musica classica.
Scrisse oltre 200 opere, fu pianista, presidente della Unión de Compositores de México e persino deputata.

Nella vita privata si sposò una sola volta, senza amore, per volontà della madre.
Il marito, Mariano Rivera Conde, fu proprio l’uomo che rese famosa la sua canzone alla radio. Ebbero due figli.
Lei lo sopravvisse di trent’anni. Non si risposò mai.
Visse con umiltà, ma il Messico la amò come un tesoro nazionale.

E la sua canzone…
Tradotta in oltre 120 lingue.
Cantata dai Beatles, Sinatra, Presley, Plácido Domingo e centinaia di altri.
Oltre 100 milioni di copie vendute.

Tutto, dal cuore di una ragazza che non era mai stata baciata…
ma sapeva che l’amore — come la musica — può essere dolce, profondo… ed eterno.

Musicoterapia  a scuola perché? Ecco un esempio di un' attivita' svolta moltissimi anni fa di cui ho ritrovato per caso ...
27/07/2025

Musicoterapia a scuola perché? Ecco un esempio di un' attivita' svolta moltissimi anni fa di cui ho ritrovato per caso una parziale testimonianza.
Con un elastico e guidati da un brano scelto adeguatamente , i bambini improvvisano e sperimentano forme individualmente e poi in coppia e poi in gruppo...tutti lavorano e partecipano emotivamente costruendo performances sempre piu complesse fino ad una rappresentazione che eseguono poi da soli e senza elastico.
Una volta mi fu chiesto: "Ma come ha fatto in cosi poco tempo a insegnargli tutto questo?" Risposi la verità cioe' che mi ero limitata ad ascoltare , ad accogliere e orientare cio che sapevano gia fare...
Qual e' l'obiettivo di un'attivita come questa a scuola? Uno degli obiettivi è che imparano a creare fidandosi di se', a collaborare ad un progetto comune, a rispettarsi l'un l'altro accogliendo le diversità di ognuno come ricchezza del gruppo.
E poi dopo raccontano...non solo a parole ma in ogni modo si sentano di farlo...

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