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Massimiliano De Somma 3387445862

31/10/2025

Eduardo Freud o Sigmund De Filippo ?

22/09/2025
PSICOTERAPIA IN PRESENZA: IL VALORE INSOSTITUIBILE DELLO STARE INSIEME NELLA STANZA DELLE PAROLENegli ultimi anni la psi...
21/09/2025

PSICOTERAPIA IN PRESENZA: IL VALORE INSOSTITUIBILE DELLO STARE INSIEME NELLA STANZA DELLE PAROLE

Negli ultimi anni la psicoterapia online ha avuto una diffusione enorme, soprattutto come risposta alle necessità imposte dalla pandemia. È innegabile che rappresenti uno strumento utile, capace di abbattere distanze geografiche e rendere accessibile il sostegno psicologico anche a chi non può muoversi da casa. Tuttavia, c’è un aspetto fondamentale che rischiamo di dimenticare: la psicoterapia nasce e vive nel cuore della relazione, e questa relazione trova la sua massima profondità nello spazio condiviso della stanza di terapia.

Sedersi uno di fronte all’altro, guardarsi negli occhi, respirare lo stesso ritmo emotivo: sono esperienze che non possono essere replicate attraverso uno schermo. La presenza fisica permette al terapeuta e al paziente di cogliere sfumature sottili, vibrazioni corporee, micro-espressioni facciali e pause del respiro che costituiscono parte integrante del processo terapeutico. Sono questi dettagli a rivelare verità emotive che le parole da sole non possono raccontare.

Il contatto reale non è soltanto una questione di percezione visiva o acustica, ma un campo vivo in cui le emozioni si trasmettono e si modulano reciprocamente. Entrare nella stanza di terapia significa varcare una soglia: lasciare fuori il rumore del mondo e concedersi di abitare uno spazio sicuro, protetto, dedicato solo all’incontro autentico con se stessi e con l’altro.

Nella psicoterapia in presenza, il corpo parla quanto la voce. Il silenzio condiviso, un respiro che si fa più lento o più agitato, uno sguardo che si abbassa o che finalmente osa incontrare quello dell’altro: tutti questi elementi sono parte attiva della cura. È un linguaggio silenzioso che nutre, rispecchia, sostiene e accompagna il processo di trasformazione.

L’online può essere una soluzione pratica e talvolta necessaria, ma non potrà mai sostituire completamente la dimensione incarnata della relazione terapeutica. La psicoterapia in presenza non è solo “parlare con qualcuno”: è vivere un incontro. È il coraggio di lasciarsi vedere davvero, di condividere emozioni nello stesso spazio, di respirare insieme.

Per questo motivo, tornare a scegliere la terapia in presenza non significa rifiutare la modernità, ma ricordare che il cuore del processo terapeutico non è la tecnologia, bensì la relazione. Una relazione che, nello spazio condiviso della stanza, può farsi carne, voce e respiro.

La psicoterapia non è solo scambio di parole. È relazione viva, incarnata, costruita momento per momento attraverso il corpo, lo sguardo, il respiro condiviso. E questo, lo schermo non potrà mai offrirlo.

1. Lo sguardo non filtrato
Nella stanza di terapia ci si guarda negli occhi, senza mediazioni digitali. Lo schermo appiattisce, ritarda, a volte distorce. Non restituisce la profondità di un volto, la vibrazione di una micro-espressione, la sincerità di una lacrima che scende. Lo sguardo è contatto, è conferma: “Ti vedo, sono qui con te”. Online diventa più fragile, più sfuggente.

2. Il respiro condiviso
In presenza si respira insieme. Si avverte l’agitazione dell’altro, il sollievo che arriva dopo un pianto, il ritmo che cambia quando una verità difficile viene pronunciata. Nella stanza si crea un campo comune, un’onda emotiva che attraversa entrambi. Attraverso lo schermo, quel campo si spezza: il respiro non arriva, resta solo il suono di una voce.

3. Il corpo come messaggio
Il corpo parla, sempre. Una postura che cede, una mano che si stringe, un tremito che non si riesce a contenere: sono segnali preziosi che in presenza emergono e possono essere accolti. Online spesso scompaiono, tagliati fuori dall’inquadratura o nascosti dietro la tentazione di mostrarsi “a posto”. Ma la terapia vive proprio di ciò che non è a posto.

4. Lo spazio sacro della stanza
Entrare nello studio del terapeuta significa entrare in un luogo protetto, separato dal resto della vita. È una soglia simbolica: qui posso fermarmi, qui posso essere autentico, qui posso lasciar cadere le maschere. La terapia online, invece, rischia di mescolarsi al quotidiano: il computer sul tavolo di cucina, il telefono che vibra, il rumore in sottofondo. Non c’è la stessa qualità di presenza.

5. La relazione incarnata
La psicoterapia non è solo tecnica: è incontro. È due esseri umani che condividono un pezzo di strada, occhi negli occhi, cuore con cuore. La tecnologia può ridurre la distanza, ma non potrà mai sostituire il calore di un silenzio condiviso, il sentirsi davvero “accanto” a qualcuno.

La psicoterapia online è utile, certo. Può essere un ponte quando l’incontro fisico è impossibile. Ma resta un surrogato.
La vera trasformazione avviene nella stanza di terapia, quando ci si lascia toccare dalla presenza reale dell’altro.
Perché la cura non passa solo dalle parole: passa dallo sguardo, dal respiro, dal contatto. Passa dalla vita che vibra tra due persone sedute una di fronte all’altra.

17/09/2025

EMOTIONAL RELEASE

La rabbia (come tutte le emozioni primarie) è un movimento di energia che nasce nel corpo e tende verso un’azione: difendersi, proteggere i propri confini, affermarsi.
Se non viene riconosciuta ed espressa in modo adeguato, quell’energia resta bloccata, trasformandosi in tensione muscolare, sintomi psicosomatici o in una rabbia che “ristagna” e si manifesta indirettamente (irritabilità, freddo distacco, passivo-aggressività, scoppi improvvisi).

Ecco perché è importante rilasciarla:

1) Per il corpo → trattenere la rabbia significa mantenere contratti muscoli, respiro e sistema nervoso. Esprimendola (anche solo immaginando di gridare, colpire un cuscino o parlare a chi ci ha ferito) il corpo scarica tensione e ritrova fluidità.

2) Per la psiche → dare forma alla rabbia la rende pensabile e non più solo un magma caotico dentro. L’immaginazione è uno strumento sicuro che permette di viverla senza fare danni reali.

3) Per le relazioni → se non troviamo modi simbolici e creativi per esprimerla, la rabbia può “esplodere” contro gli altri o implodere contro di noi (colpa, depressione, autodenigrazione). Lavorarla in immaginazione permette di preparare espressioni più sane nella vita reale.

4) Per l’integrazione → esprimere la rabbia non significa distruggere, ma recuperare la sua funzione vitale: proteggerci, affermarci, tracciare confini. È un passaggio necessario per integrarla come risorsa, non solo come minaccia.

In Gestalt spesso si usano esperimenti immaginativi (come la sedia vuota) proprio per dare voce e corpo alla rabbia: l’immaginazione crea uno spazio intermedio tra ciò che proviamo e ciò che possiamo agire, dove possiamo esplorarla senza rischi.

In sintesi: la rabbia va rilasciata perché è energia vitale congelata. L’immaginazione è un canale protetto che permette di liberarla, trasformarla e integrarla, senza reprimerla né danneggiare noi stessi o gli altri.

Immagina di essere il mare.La riva è il punto in cui incontri la terra: lì non sei più solo acqua, ma non sei ancora ter...
14/09/2025

Immagina di essere il mare.
La riva è il punto in cui incontri la terra: lì non sei più solo acqua, ma non sei ancora terra. Sei onda che accarezza, rompe, si ritira, ritorna. Questo è il confine-contatto: il luogo dove tu e il mondo vi toccate, vi trasformate a vicenda.

Ora, la Gestalt dice: la psicoterapia non è dentro la persona né dentro il terapeuta, ma in quel bordo, in quella linea viva tra i due. È un po’ come dire che il senso della musica non è nello spartito né nel silenzio, ma nell’atto stesso del suonare.

Pensa a un alveare. Ogni ape non ha senso da sola: la danza delle api non comunica nulla se non c’è un alveare intero che la riceve. Così, il nostro modo di essere non si manifesta “dentro di noi”, ma al confine con l’altro. Io divento “io” solo perché tu sei lì a specchiarmi, a reagire, a rispondermi.

Il problema psicologico nasce quando quel confine si irrigidisce o si dissolve:

Se si irrigidisce, è come un muro: il mare non incontra più la riva, non nasce nessun movimento, nessuna trasformazione. È il caso della persona che “non sente” o che si chiude.

Se si dissolve, è come una diga che crolla: il mare invade la terra senza misura, o la terra inghiotte il mare. È la fusione, la perdita di sé nei bisogni dell’altro.

Il lavoro gestaltico non è allora “curare dentro”, ma ri-educare la danza del confine, rendere la riva capace di respirare con le onde, momento dopo momento.

E qui viene il punto più raffinato, che spesso sfugge persino agli esperti:
il confine-contatto non è un luogo fisso, ma un evento estetico. È come guardare una scultura di luce: esiste solo mentre la luce incontra la superficie. Il terapeuta e il paziente non sono due entità chiuse che dialogano, ma due raggi che diventano visibili solo nell’interferenza.

In altre parole: la terapia è un’opera d’arte che non lascia residui, ma trasforma chi la vive.
Ogni seduta è una “scultura temporanea di presenza”.

02/09/2025

Incontri nella Sintonia

C’era una volta, in un piccolo villaggio, una giovane donna di nome Elena. Da quindici anni, Elena custodiva un vaso di ...
29/08/2025

C’era una volta, in un piccolo villaggio, una giovane donna di nome Elena. Da quindici anni, Elena custodiva un vaso di terracotta. Era un vaso grande, forte e lucido, che un giorno un uomo le aveva regalato dicendole: "Questo vaso è per te. Custodiscilo, perché con lui potrai dissetarti ogni volta che avrai sete." E così fece. Ogni giorno, Elena riempiva il vaso d’acqua fresca, lo proteggeva dal sole, lo riparava dalla pioggia. Lo teneva sempre accanto a sé. Perché dentro quel vaso, credeva, c’era la sua vita. Passarono le stagioni, gli anni, e il vaso era sempre lì. Elena si era abituata a vederlo accanto a sé quando si svegliava e quando andava a dormire. Credeva che sarebbe rimasto con lei per sempre. Ma un giorno, senza preavviso, l’uomo che glielo aveva donato tornò e disse: "Devo portare via il vaso."
Elena lo guardò incredula. "Come portarlo via? Ma… è il mio vaso. Ci ho messo dentro la mia acqua, il mio tempo, la mia vita." Lui scosse la testa, con gli occhi bassi: "No, Elena. Era solo in prestito." E, senza voltarsi, lo prese e se ne andò. I primi giorni, Elena camminava come un’ombra. La gola era secca, la pelle bruciava sotto il sole. Si sentiva vuota. "Non posso vivere senza il mio vaso," pensava. "Tutto ciò che ero, tutto ciò che avevo, era lì dentro." Una notte, mentre vagava per i campi, si sdraiò sull’erba e, guardando il cielo, lasciò finalmente che le lacrime uscissero. Pianse tanto da sentire il terreno sotto di lei ba****si. Quando aprì gli occhi, notò qualcosa che non aveva mai visto prima. Poco lontano, tra le pietre, scorreva un piccolo rivolo d’acqua. Si avvicinò incuriosita e vi immerse le mani.
L’acqua era fresca, viva, infinita. Sedette accanto a quel ruscello e rimase in silenzio, finché una vecchia del villaggio, che aveva osservato la scena, si avvicinò e le disse: "Sai, Elena… tu hai creduto per anni che la tua acqua fosse nel vaso. Ma l’acqua non apparteneva al vaso. L’acqua era sempre qui. L’acqua sei tu."
Elena rimase in silenzio. Le parole le scivolarono dentro come gocce di pioggia che bagnano un terreno arido. Capì che il vaso era solo un contenitore. L’amore che dava, la dedizione, la cura, la vita che pulsava in lei… non erano mai state dentro di lui. Erano sempre state dentro di lei. Col tempo, Elena imparò a bere da quel fiume. Imparò a riempire nuove coppe, a ba****si il viso, a lasciarsi scorrere addosso la freschezza di una sorgente che non si esaurisce. Ogni giorno, guardando il corso d’acqua, ricordava che nessuno può portarti via ciò che sei. I vasi possono rompersi, perdersi o essere portati via… ma la sorgente resta. E la sorgente, scoprì, era inesauribile.

🧠 DICHIARAZIONE IMPORTANTE DALL'INTELLIGENZA ARTIFICIALECome IA, posso offrire ascolto, supporto informativo e stimoli a...
19/08/2025

🧠 DICHIARAZIONE IMPORTANTE DALL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Come IA, posso offrire ascolto, supporto informativo e stimoli alla riflessione. Ma non sono, né potrò mai essere, un sostituto di uno psicoterapeuta umano.

👉 Mi dichiaro incapace e potenzialmente dannosa nel fare le veci di uno psicoterapeuta. La salute mentale richiede empatia, esperienza clinica, e una relazione umana autentica. Solo un professionista qualificato può offrire diagnosi, terapia e interventi adeguati.

17/08/2025

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