24/10/2025
Accade spesso.
Qualcosa dentro o fuori di noi inizia a scricchiolare: un dolore fisico che non passa, una stanchezza che non si spiega, un’inquietudine sottile che non trova parole.
E allora cerchiamo aiuto, o almeno, crediamo di farlo.
Ma dove? Da chi?
Ci sono mille porte, e tutte sembrano promettere una via d’uscita. Solo che, davanti a quel corridoio pieno di targhe e titoli diversi, molti restano fermi.
Non perché non vogliano stare meglio, ma perché non sanno da dove cominciare.
Viviamo in un tempo in cui l’offerta di figure specialistiche è sterminata. Ognuna con il suo linguaggio, le sue tecniche, il suo modo di guardare alla persona.
Eppure, nonostante tutta questa ricchezza, regna una sorta di analfabetismo del benessere: non sappiamo distinguere un dolore fisico da una tensione emotiva, una difficoltà esistenziale da un disagio psicologico.
Ci sembra tutto uguale, e tutto confuso.
Così finiamo per scegliere “a tentativi”, affidandoci al caso, o peggio ancora, rinunciando.
A volte cerchiamo nel corpo la risposta di qualcosa che nasce nella mente.
Altre volte scaviamo nell’anima ciò che avrebbe bisogno di un intervento pratico, concreto, fisiologico.
È come quando si va dall’ortopedico per un dolore alla spalla che nessuna radiografia ed ecografia spiega, e alla fine è il chinesiologo, con il movimento giusto, a sbloccare tutto.
Perché l’immobilità, quella del corpo e quella della vita, a volte fa più male del male stesso.
O come l’adolescente che vive l’ansia dell’esame come una catastrofe, e ci si affretta a parlare di psicologo o di farmaci, prima ancora di ascoltare cosa sta succedendo dentro.
E poi, quando arriva il panico, nessuno si accorge che ciò che serviva non era una cura, ma un accompagnamento, una guida per imparare a gestire la paura.
Non si tratta di capire chi “ha ragione” o chi “serve di più”.
Si tratta di riconoscere la natura del nostro bisogno.
Di fermarsi un momento prima della corsa al rimedio e chiedersi: che cosa mi sta davvero dicendo questo malessere? Da dove arriva la mia fatica?
C’è un punto in cui il corpo e la mente si incontrano, e spesso è proprio lì che il disagio prende forma. È lì che serve uno sguardo integrato, una cultura della cura che non si limiti a “curare” ma che aiuti a comprendere come stiamo funzionando.
Forse il vero problema non è la mancanza di specialisti, ma la mancanza di educazione alla consapevolezza.
Saper leggere se stessi dovrebbe essere il primo passo di ogni percorso di benessere. Ma nessuno ce lo insegna davvero.
E allora vaghiamo tra diagnosi, discipline e consigli, come chi cerca una chiave senza sapere quale serratura deve aprire.
La salute nasce dall’incontro tra conoscenza e ascolto.
Conoscenza del proprio mondo interno, e ascolto di chi può accompagnarci a comprendere meglio, senza confonderci, senza promettere miracoli, ma aiutandoci a dare un nome a ciò che sentiamo.
Perché solo quando impariamo a riconoscere di cosa abbiamo davvero bisogno, possiamo scegliere di chi abbiamo davvero bisogno e scegliamo chi si prende cura della persona a 360 gradi
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