29/11/2025
Talvolta uno degli spazi familiari vissuti in maniera più COMPLESSA E FATICOSA è il momento in cui i figli entrano in contatto con i genitori per studiare, per 'fare i compiti' .
Gli scenari che si prefigurano sono molteplici.
Se ci pensiamo accuratamente, nel mezzo di questa condizione che spesso diventa 'VALUTATIVA' da parte del genitore che si dedica a questa pratica così difficile, ci si giocano un sacco di cose che non riguardano affatto i compiti lasciati dalla maestra.
La partita si intesse sulle ASPETTATIVE , le PRETESE del genitore, il TIMORE da parte del figlio di DELUDERE, di non rivelarsi all'altezza.
L' ANSIA che si innesca voracemente fa certamente saltare, spesso, gli equilibri.
Il NON VERBALE GIUDICANTE crea un clima teso che non permette di incontrare il compito con lucidità.
Il bambino si sente STUPIDO e non può entrare in contatto con l'apprendimento perché si sente monitorato con un'urgenza che destabilizza e impaurisce bloccando il pensiero.
Al contempo, il genitore si sente INCASTRATO in questa postura che vive con ambivalenza. Il suo essere stato figlio, forse anche pressato e atteso nelle aspettative, si ripete capovolgendo le parti e a posteriori riflettendo sui propri modi e incontrando la REAZIONE di pathos del figlio, con una COLPA divorante.
Quel genitore è stato un figlio guardato come?
Se proviamo a farci questa domanda nel mentre dell'impulso irrefrenabile di ripetere la scena della propria vita, certamente la DEPOTENZIAMO, la STANIAMO.
In questo teatro che sollecita sofferenza, in quella scrivania che mette in atto un mondo di vissuti, si declina il patimento di tutte le parti e ci si sente RISUCCHIATI senza tempo nelle ferite di sempre.
Il punto di svolta accade quando si incontra la propria parte di figlio sofferente e spesso umiliato.
Il nodo si stringe proprio in quel punto nevralgico e può sciogliersi attraverso un incontro delicato e comprensivo con il proprio antico vissuto emotivo
GG