28/10/2025
Sul Giornale di Sicilia di oggi, un'intervista alla Presidente dell'Ordine della Regione Siciliana, a proposito di una terribile storia di violenza e di abusi, venuta solo ora alla luce, a Palermo.
La vicenda della bambina che ha chiesto aiuto alla chat del Telefono Azzurro, riferendo degli abusi subiti, rappresenta una ferita collettiva, che interroga la coscienza civile e le responsabilità educative di tutti.
Non è soltanto un fatto di cronaca, ma un segnale che rivela il fallimento di una rete di protezione, la solitudine di chi non trova adulti capaci di vedere, ascoltare e intervenire.
Ogni volta che unə bambinə deve trovare in se stessə le risorse per chiedere aiuto a degli estranei (seppure professionisti competenti), su una chat, significa che la rete di cura — famiglia, scuola, servizi, comunità — non ha funzionato.
Per questo è fondamentale il lavoro svolto dal Telefono Azzurro e da realtà similari.
Non intendiamo entrare nel merito del caso specifico, poiché le indagini sono tuttora in corso e la priorità assoluta deve essere quella di tutelare le persone, soprattutto se minorenni, coinvolte, evitando ogni diffusione di dettagli inutili o potenzialmente lesivi.
Tuttavia, come esperti della salute mentale, sentiamo la responsabilità di comprendere e spiegare il fenomeno dell'abuso intra familiare e della violenza in generale, non per giustificare, ma per prevenire, per impedire che l’orrore possa ripetersi.
Parallelamente, è essenziale che la giustizia segua il suo corso: il riconoscimento della colpevolezza degli autori di abusi rappresenta un passaggio fondamentale nel percorso di recupero psicologico delle vittime, poiché restituisce senso, dignità e fiducia nel mondo adulto.
Come Ordine degli Psicologi non interveniamo sui singoli casi giudiziari, ma abbiamo il compito di contribuire a costruire un sistema di prevenzione fondato su formazione, cultura psicologica e collaborazione tra istituzioni.
Contrastare la violenza significa anche contrastare le condizioni di invisibilità che la rendono possibile: l’omertà, l’indifferenza, la normalizzazione del dolore.
La psicologia è chiamata a restituire parola e ascolto là dove il silenzio ha cancellato significati e relazioni.
Quando un genitore assiste o partecipa alla violenza, si produce una frattura profonda del legame di cura, la negazione stessa della funzione genitoriale.
Ma questi fenomeni non nascono nel vuoto: sono l’esito di storie di trascuratezza, povertà relazionale e distorsioni affettive che si trasmettono nel tempo.
Dietro ogni abuso c’è quasi sempre una cecità collettiva: qualcuno che ha visto, intuito, sospettato, ma ha preferito tacere.
È qui che si radica la cultura dell’omissione, terreno fertile per ogni forma di violenza.
Un trauma come quello vissuto da un minore abusato incide in profondità sulla struttura dell’identità: il corpo diventa luogo di dolore, la fiducia nell’adulto si spezza, il mondo perde senso.
Tuttavia, la psicologia insegna che la ricostruzione è possibile, se la persona incontra relazioni affidabili, continue e competenti.
La cura richiede tempo, protezione e una rete che sostenga, senza esporre di nuovo al silenzio o al giudizio.
Laddove vi sono povertà educativa, isolamento e mancanza di servizi, la violenza trova spazio per radicarsi.
Per questo è fondamentale continuare a investire su una cultura della cura e della presenza, sull'educazione sessuo-affettiva nelle scuole, a partire dalla tenera età, rafforzando i legami tra scuola, servizi e comunità.
Solo così potremo evitare che il grido di unə bambinə resti inascoltato.