23/06/2025
É attraverso il mio corpo che sento. Ciò che c’è, ciò che non c’è, ciò che non c’è stato. La mia pelle vibra insieme allo stomaco quando sente vibrare qualcun altro con lei. Sì crea una specie di onda che fa sentire che ci sei anche se non ci si tocca. É uno spazio impercettibile tra me e te, tra noi. É in quello spazio che si gioca la partita. Una invasione di campo è pericolosa e squalificante, troppa distanza non permette di prendere le misure per il punto. A volte è necessario toccarsi per far risuonare più forte quel “tra”. Ma tutto si gioca lì, su quel confine dove i giocatori si spalleggiano e si fanno spazio per difendere la rete dall ‘attacco. Ma in tutte le partite ci sono delle regole, dei confini, un perimetro di gioco, oltre i quali si è fuori, o quantomeno ammoniti. La mia pelle come linea di campo, un campo in cui sono io a stabilire le regole del gioco. Non si è mai vista una partita senza un arbitro che controlli che tutte le regole siano state rispettate.
È barriera e soglia, custode silenziosa dell’intimità. Unica porta tra sé e Il mondo. Tutto ciò che sentiamo – caldo, freddo, dolore, carezza – passa da lì. Ma non è solo materia: è anche segno, identità e storia.
il limite tra me e l’altro è già scritto nel mio corpo. La pelle racconta chi sono, nel colore, nelle cicatrici, nella porosità che assorbe e respinge.
È il mio modo di essere e in un tempo in cui si costruiscono confini artificiali – geografici, culturali, linguistici –ci ricorda che ognuno è già portatore di una propria soglia. Che siamo tutti “altro” per qualcuno, e che ogni incontro è, inevitabilmente, un attraversamento.
Questo può avvenire solo se prima chiedono il permesso di entrare.