23/10/2025
Ho chiesto ad un paziente di poter raccontare la sua storia e lui era felice di poter rappresentare per altri uno sguardo diverso, magari una nuova prospettiva.
L., 40 anni, racconta che gli attacchi di panico iniziarono durante un viaggio di lavoro. “Ero in treno, improvvisamente ho sentito che stavo per morire.”
Nel percorso emerge una storia di attaccamento evitante: infanzia con genitori distanti, dove mostrare fragilità non era permesso. Da adulto ha imparato a contare solo su di sé finché il corpo ha iniziato a “tradire” quel controllo perfetto.
In terapia esploriamo la possibilità di stare nel corpo senza reagire, usando la mindfulness come pratica di osservazione gentile: notare il battito accelerato, il respiro corto, e accorgersi che, anche così, può restare presente.
Col tempo, scopre che la paura non è il nemico, ma una richiesta di contatto. Nelle sedute impara a condividere la sua vulnerabilità, sperimentando una nuova forma di sicurezza: quella che nasce nel permettersi di non controllare tutto.
Il panico, così, diventa una porta di accesso al sé più autentico e relazionale.
Nelle persone con uno stile di attaccamento insicuro, la separazione, l’ambiguità o la distanza emotiva possono riattivare antiche paure di abbandono o perdita. Il corpo reagisce come se fosse in pericolo: cuore che accelera, respiro corto, senso di svenimento...
Ora L. è tornato a viaggiare ed a relazionarsi in modi diversi.
In terapia, il lavoro non è solo “gestire l’ansia”, ma riconoscere la matrice relazionale che la sostiene e costruire nuovi modi di sentirsi al sicuro, prima dentro di sé e poi nelle relazioni.
Questa sera mi dice di aver ripreso il treno...riprende il proprio viaggio e la sua voglia di vivere, in maniera più presente e consapevole ❤️🫂