09/11/2025
L’amore tossico non nasce da sé.
Lo impari. Lo assorbi. Ti ci abitui.
Succede da piccoli, quando vedi che l’amore arriva solo se fai qualcosa.
Se sei abbastanza. Se non disturbi.
Lo impari quando qualcuno ti ama a intermittenza e tu lo aspetti lo stesso.
Se un genitore ama così, tu cresci pensando che sia normale.
Che l’amore sia fatica, rincorsa, silenzio.
E quando incontri qualcuno, lo riconosci.
Non perché ti fa bene. Ma perché ti è familiare.
Ludovica questo lo sa, anche se non se lo dice.
Si lega a Loris come si legava ai sogni da bambina: con la speranza che qualcuno la veda.
Che resti. Che scelga lei.
Ma lui non resta. Va via. Ritorna a intermittenza. Apre per vedere se lei c’è ancora, poi è ancora lui a richiudere.
E lei si spezza un po’. Poi capisce.
Capisce che anche il modo in cui si ama si eredita.
Che l’amore non è una lingua universale, ma una grammatica emotiva. E che a volte bisogna disimpararla, per cominciare davvero.
Dal mio libro 📖
Ludovica, la protagonista del mio libro, ha paura di essere abbandonata. Non lo direbbe mai ad alta voce, ma è così. Ogni volta che qualcuno si avvicina troppo, si prepara già a quando se ne andrà. E non perché pensa che sia una persona cattiva, ma perché immagina che, alla fine, vedrà quello che vede lei: che non vale abbastanza.
davvero così. Gli addii intossicano, ma intossicano di più le presenze assenti.
È come continuare a tenere in casa una pianta morta: la annaffi per abitudine, sposti il vaso vicino alla finestra, le parli piano, ma dentro di te sai che non tornerà verde.
Rimandi il momento di buttarla via solo perché ti sembra di compiere un gesto troppo definitivo, come se insieme alla pianta buttassi via anche la parte di te che ci aveva creduto.
Ma intanto l’acqua marcisce nel sottovaso, e l’odore che senti non è vita: è ciò che resta di qualcosa che non hai avuto il coraggio di lasciare andare. 🎈