Stefano Borioni - Psicologo

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28/11/2025

🫙 La fragilità tossica del narcisismo covert

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28/11/2025

Talvolta mi incuriosisco a seguire reel di parrucchieri e barbieri che mostrano i loro lavori in modalità “prima e dopo il taglio”. Alcuni sono buoni, altri meno ma, al di là della qualità delle acconciature, mi colpisce come il criterio di giudizio non sia mai “stai bene” o “stai male”, ma se la persona - dopo il taglio - dimostri più o meno anni.
Sembri più giovane quindi stai bene, dimostri più anni e quindi stai male.

Sempre, senza eccezioni e senza valutare che esistono quarantenni o, perché no, cinquantenni che magari hanno pure una ruga in più, ma hanno anche maggiore fascino di una ragazza più giovane (che avrà altri pregi, per ca**tà).

Però se il criterio di bellezza non passa attraverso un parere soggettivo e sfaccettato, ma attraverso l’occhio dell’uomo in crisi di mezza età che cerca la ragazzina - perché così si sente più giovane attraverso l’altro, esercita un senso di potere e controllo che compensa apparentemente le sue insicurezze e si vive un ruolo più “didattico”/protettivo che gli evita l’esposizione emotiva - capite che il ragionamento è fallato in partenza.

👉🏻 La frase più infelice della giornata credo sia della ministra Roccella. Dire “Ogni donna che viene uccisa è troppo, m...
25/11/2025

👉🏻 La frase più infelice della giornata credo sia della ministra Roccella. Dire “Ogni donna che viene uccisa è troppo, ma bisogna fare anche l’inverso: ogni donna che non viene uccisa è un fatto positivo” rappresenta una pericolosa distorsione concettuale.

🫀 Ridurre la violenza di genere al semplice fatto che una donna resti viva significa abbassare l’asticella al minimo biologico: la sopravvivenza. Ma sopravvivere – ed è penoso doverlo specificare – non è ovviamente un traguardo, quanto casomai un punto di partenza. È il livello zero, non il successo di una politica pubblica.

🔥 Detto questo si potrebbe andare poi più in profondità e ricordare che la violenza sulle donne non riguarda solo i femminicidi ed è inaccettabile anche quando violenta, picchia, controlla, isola, umilia e logora.

🧩 Pensare che il non morire sia già un risultato rischia di normalizzare tutto quel che precede il femminicidio: cioè quel ciclo tossico di potere, paura, dipendenza e svalutazione che segna migliaia di donne e che un ministero della famiglia dovrebbe mettere al primo posto nell’elenco dei problemi.
Poi ci ricordiamo essere la stessa ministra ad aver detto che “Non c’è correlazione tra educazione socio-affettiva e violenza contro le donne” e capiamo tante cose.

🚫 Però no, non basta non morire per essere al sicuro. Non basta non morire per essere libere. Non basta non morire per dire che “va tutto bene”.

🔄 Le donne non devono essere “salvate” dal femminicidio: è piuttosto importante che vengano messe nella condizione di non entrarci nemmeno in quel ciclo di violenza che sfocia nel femminicidio. E di questo sarebbe importante cominciare a parlarne nelle scuole, quando le dinamiche tossiche apprese in famiglia cominciano ad essere messe in atto nei primi rapporti di coppia.

🐍 Perchè il punto non è contare le donne vive, quanto garantire che le loro vite siano libere, dignitose e svincolate da dinamiche velenose come serpenti.

23/11/2025

🤔E se l’ex narcisista fosse stato sincero?

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14/11/2025

🛡️Se l’ex narcisista è anche il padre dei tuoi figli
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07/11/2025

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05/11/2025

🧑🏼‍🚀| Il disturbo schizoide

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24/10/2025

💔 Che significa quando il partner con disturbo narcisistico di personalità ti dice “basta, è finita”?

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Il filtro della felicità Da qualche giorno seguo con curiosità una pagina Facebook dove la gente chiede piccoli miracoli...
22/10/2025

Il filtro della felicità

Da qualche giorno seguo con curiosità una pagina Facebook dove la gente chiede piccoli miracoli digitali.
Non proprio Lourdes, ma quasi: “Ecco una mia foto, mi fareste con gli addominali a tartaruga?”, “Potreste mettermi alla guida di una Ferrari?”, “Raccolgo funghi, mi riempireste il cestino di porcini?”.
È una specie di confessionale laico, dove invece dell’assoluzione ricevi un filtro, un ritocco e - forse - qualche like.

All’inizio sembra tutto innocuo, una giostra di ironia e leggerezza. Ma a guardare bene questa fiera dell’immagine, si capisce che dietro c’è una piccola grande fame. E non di funghi, ma di sguardi.

C’è chi vuole sembrare un riccone in barca, chi una star da copertina, chi al tavolo di un ristorante stellato. Qualcuno che insomma - quantomeno secondo gli standard di chi esprime il desiderio - valga la pena guardare due secondi in più.

Poi ci sono i desideri più oscuri o preoccupanti.
“Mio fratello ha una macchina nuova, per favore fatemela vedere distrutta. È solo per uno scherzo”.
“La mia amica ha un nuovo ragazzo, createmi una foto realistica in cui lui tiene un’altra per mano. È per ridere, tranquilli”.
O peggio: “Il mio ex mi stalkera da settimane, mi fate una foto con un uomo che mi tiene la mano sulla gamba? Così la vede e mi lascia stare”. Come se non bastasse dire: non ti voglio più. Bisogna far credere che un altro mi possieda, per essere libera.
O magari: “Non ho amici ed ho passato il compleanno da solo. Se vi mando una foto, mi mettete davanti una bella torta ed intorno tanta gente che mi festeggia?”.

A questo punto il terapeuta che è in me si aggiusta gli occhiali e sospira. Perché dietro ogni immagine che chiediamo di costruire, c’è un’immagine interiore che non vogliamo - o riusciamo - più a guardare e sostenere.

E quanto è difficile lottare per guardarsi dentro, quanto è difficile iniziare una psicoterapia, quanto è difficile combattere per raggiungere un obiettivo. E poi lo voglio ottenere davvero, o in fondo mi basta che gli altri pensino che l’ho ottenuto?
È come se il vero non servisse più, basta avere in tasca che un verosimile gli somigli.

E così, a forza di costruire mondi verosimili, diventiamo registi di noi stessi, spettatori stanchi del nostro film.
Cerchiamo conferme come caramelle, e più ne riceviamo, più abbiamo fame.
Perché ogni “mi piace” dura meno di un respiro, e nessuno ci insegna più ad ascoltare il nostro.

E allora succede che anche il dolore, quello vero, venga ritoccato attraverso il filtro di un meccanismo di difesa.
Si mette un filtro pure sulla solitudine, si alleggerisce l’ombra sotto gli occhi e si finge che tutto vada bene.
Ma dentro, il cuore resta da scaricare: non compresso, non salvato, ancora in attesa di uno sguardo che non giudichi la forma ma riconosca la sostanza.

Forse la vera modifica che ci servirebbe non è quella della foto, ma dello sguardo.
Quello con cui ci guardiamo quando non ci guarda nessuno. Quello che non ha bisogno di like per il verosimile, perché si mette in discussione per quel potrebbe essere. Nonostante tutte le apparenti imperfezioni.

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