19/11/2025
21 Novembre 2025:
Dove il Sud Brucia: “Il Prezzo che Paghiamo” - Documentario a cura di ReCommon e GreenPeace Italia
*Dopo la proiezione del documentario “Il prezzo che paghiamo” (a cura di ReCommon e Greenpeace Italia), che si terrà presso la nuova sede del Comitato Liberi e Pensanti in via Dante, 74 a partire dalle 18:30, ci ritroveremo tuttə insieme dalle 21:00 al Comitato di Paolo VI per un momento di socialità e condivisione.
Pettole, vin brulè e comunità: continuiamo a costruire insieme percorsi di partecipazione, lotta e immaginazione collettiva.
Sono mesi che la popolazione tarantina è tornata nelle piazze, provando a tessere nuove relazioni, a disegnare nuove visioni fra istanze vecchie e catastrofi nuove che si profilano, con calcolo o indifferenza della politica, all’orizzonte cittadino.
La vicenda ex-ilva, perno che non si vuole schiodare da questa terra, ottiene sempre la centralità mediatica, grazie all’interesse politico e sindacale che lo ha piantato in profondità nelle nostre famiglie.
Ma l’avidità di chi persegue il modello economico estrattivista non ha limite.
La scellerata abitudine a sottrarre risorse comuni per il tornaconto di pochi, si estende anche dove c’è più disattenzione da parte dei media e della stessa cittadinanza.
Succede quindi che, continuando a difendere i nostri diritti insieme a quelli della natura che ci ospita, dobbiamo vigilare e denunciare altre grandi e piccole nefandezze che, se attuate, continueranno a spremere la vita dai nostri corpi.
Parliamo di un possibile rigassificatore, che il paese vuole piazzare da qualche parte, meglio a sud, anche se abbiamo più gas di quello che ci serve.
Parliamo di un dissalatore che apparentemente deve risolvere esigenze idriche per la popolazione ma di fatto sottrae una fonte rigeneratrice ad un territorio già massacrato e per scopo utili ad un’industria ipotetica dell’idrogeno.
Parliamo di una discarica, a meno di 900 metri da un quartiere popoloso e desertico allo stesso tempo, una periferia che ospita il polo oncologico ospedaliero a pochi ettari dal polo industriale, con un disegno urbano che anela la rigenerazione di aree verdi, con una politica sociale che costantemente penalizza ogni opportunità di aggregazione e socializzazione, trascurando i trasporti, il tanto acclamato decoro urbano, le impensabili biblioteche o i campi da gioco e ogni “infrastruttura” che favorisca l’emancipazione ad ogni età, di qualsiasi tessuto sociale.
Ma che c’entra la crisi del clima a livello mondiale
con le difficoltà con cui ci scontriamo quotidianamente nelle nostre vite?
Questo è il criterio di distanza che l’informazione mainstream, asservita alle lobby del potere, vorrebbe che resistesse alla nostra sempre maggiore consapevolezza.
Anni e anni di sfruttamento hanno reso, invece, perfettamente chiaro il disastro provocato dal modello industriale che estrae e ci sottrae risorse.
Il nostro territorio è prova dolorosa delle ricadute sociali dello sfruttamento violento da parte delle industrie del fossile.
Nella nostra città, accanto, letteralmente, al siderurgico più grande e obsoleto d’Europa, insiste la più grande raffineria italiana di Eni,
alle cui attività si sono affiancate da qualche anno altre multinazionali del fossile che, in affari con la stessa Eni, estraggono petrolio dalle viscere della Basilicata e lo portano nella nostra città, trasformandola in una polveriera soffocante.
Eni, da noi, gode di un permesso di soggiorno particolare, valutazioni ambientali ridotte, come le spiegazioni da fornire nei casi in cui le torce di sicurezza si accendono, solitamente per fuoriuscite di combustibili, quasi fosse una presenza aliena scollegata dal circostante.
Naturalmente non è così e l’attuale contesto storico richiede la puntualizzazione dei legami dell’impianto che ospitiamo, sia con i grandi interessi globali, quelli di Israele e dell’America in primis, sia con i territori a noi vicini, Basilicata e alto Salento, che subiscono le nostre stesse vessazioni.
Prospettive che sembrano sfuggire entrambe all’attenzione generale, con grande beneficio dei governi e della politica che condividono insieme l’agenda e la logica del profitto delle multinazionali.
L’indifferenza e la minimizzazione degli effetti plurimi di questo modello economico e industriale , da parte dell’informazione mainstream contribuisce parecchio a mantenere nascosti tanto i rischi ai quali le nostre viste vengono esposte quotidianamente, tanto le connessioni con gli eventi climatici e ambientali tragici ai quali assistiamo ormai costantemente anche nelle nostre regioni.
Tanto negazionismo va contrastato e siamo proprio noi, le vittime sacrificabili all’altare profitto, a doverlo smascherare, denunciando ovunque le conseguenze che subiamo direttamente e i legami ormai innegabili con l’industria più grande di questo tempo, quella della guerra.
Supportati delle ricerche scientifiche e del giornalismo che hanno il coraggio di prendere posizioni chiare, mettendosi a disposizione delle nostre collettività militanti, per sostanziare l’esperienza subita dai nostri corpi proponiamo la visione del Documentoario “Il prezzo che paghiamo” prodotto da Greenpeace Italia e ReCommon, realizzato dal collettivo FADA e diretto da Sara Manisera, con la partecipazione di attiviste ed attivisti che come noi vogliono far valere la competenza acquisita sul campo.
Campo che non esistiamo a chiamare di battaglia e nel quale abbiamo deciso di attuare la nostra resistenza, con ogni mezzo pacifico ma senza timore di alzare il livello di conflitto con le istituzioni che anche a livello locale consentono di continuare violare la terra che abitiamo.
Dopo l’incontro, dal quale emergeranno trasversalmente le esperienze collettive dei quartieri, attraverso la vita quotidiana quale spazio delle nostre resistenze, invitiamo tutt3 a un momento di comunità collettivo presso il quartiere Paolo Sesto per continuare a stare insieme tra pettole e vin brûlé.