27/10/2025
Sintesi del testo
1. Dal Big Bang all’osservazione clinica
L’autore apre con una metafora cosmologica: il Big Bang come immagine dell’origine e della complessità dell’alto potenziale cognitivo (APC).
L’idea è che, come l’universo, anche la mente di questi bambini nasca da un’esplosione di energia e connessioni. Tutto si espande rapidamente: pensieri, domande, interessi. Ma questa stessa espansione può generare caos e sovraccarico.
Galli invita a vedere l’APC non come un “dono” lineare, ma come una condizione di complessità. Un sistema ricco e instabile, che richiede di essere compreso nella sua dinamica interna, non solo misurato nel suo rendimento.
2. Dalla misura del QI alla comprensione del funzionamento
Nel testo, l’autore distingue con chiarezza tra “alto potenziale cognitivo” e “plusdotazione”.
L’APC non è solo un punteggio sopra 130, ma un modo di funzionare caratterizzato da:
• pensiero rapido e divergente;
• intensità emotiva;
• curiosità precoce e desiderio di senso;
• forte sensibilità agli stimoli e alle incongruenze.
Queste caratteristiche possono convivere con fragilità e dis-sincronie (tra maturità cognitiva e affettiva, tra intuizione e capacità di esecuzione).
L’autore insiste: più che “quantificare” l’intelligenza, occorre osservarne la forma e il ritmo.
3. L’era digitale e il paradosso della scuola
Una parte importante del testo affronta la frattura tra i giovani APC e la scuola contemporanea.
La scuola, dice Galli, “è una lumachina sulle autostrade della comunicazione”: procede in modo lineare, mentre i ragazzi si muovono in modo reticolare, per connessioni e salti associativi.
Questo disallineamento produce:
• noia e disinvestimento;
• difficoltà relazionali e incomprensione reciproca;
• confusione tra “disattenzione” e “iperattenzione diffusa”.
Il pensiero arborescente, tipico dell’APC, si scontra con un sistema che richiede convergenza e controllo.
4. Le “finestre” del pensiero complesso
L’articolo è costruito come una serie di finestre di approfondimento, in cui Galli mostra come l’APC costringa a rivedere i nostri paradigmi conoscitivi.
Richiama concetti come epistemologia della complessità, flessibilità mentale e pensiero sistemico.
L’APC diventa così un laboratorio vivente per comprendere la mente umana: ci insegna come il pensiero non sia lineare, ma plurale, aperto, instabile.
In questo senso, gli APC non sono “fuori norma”, ma piuttosto anticipatori di un nuovo modo di pensare, più adatto ai tempi che viviamo.
5. “I vestiti nuovi dell’imperatore”: la cecità istituzionale
Nella parte finale, Galli richiama la fiaba di Andersen come metafora dell’invisibilità dell’APC.
Molte istituzioni fingono di vedere ciò che non c’è (ad esempio, la normalità adattata) e non vedono ciò che è sotto gli occhi di tutti: la differenza cognitiva ed emotiva degli APC.
Il rischio è duplice:
• da un lato, patologizzare la differenza;
• dall’altro, idealizzarla.
L’autore propone invece una via di riconoscimento complesso, capace di cogliere la tensione tra vulnerabilità e risorsa, tra bisogno e competenza.
6. Verso un’educazione della complessità
In conclusione, Galli suggerisce una prospettiva pedagogica e clinica fondata sulla cura delle differenze epistemiche.
Capire un bambino APC significa:
• entrare nel suo modo di conoscere;
• modulare il contesto più che “adattare” lui;
• valorizzare la sensibilità, l’ironia, la curiosità come strumenti di crescita.
La figura dell’adulto – genitore, insegnante, terapeuta – è chiamata a essere interprete e ponte: qualcuno che non misura, ma ascolta il ritmo del pensiero e della vita psichica di questi soggetti.