Pantos Terapia

Pantos Terapia Centro de Psicología y Psicoterapia: Especialistas en Servicios Terapéuticos y de Desarrollo Comunitario, con Adultos, Niño/as, Adolescentes y Familias.

QUIÉN ES PANTOS? PANTOS es un Centro orientado al Desarrollo Humano Integral

Desarrollo Comunitario- Clínica- Formación; con una larga trayectoria de funcionamiento desde el año1982. Nos avala una gran experiencia en el abordaje de problemas y dificultades personales de salud en el tratamiento con Adultos, Niños/as y Grupos. Somos un Equipo de Profesionales expertos en: Psicología Perinatal- Psicología Infantil- Psicoterapia- Orientación Familiar y Parentalidad Positiva. Nuestra tarea fundamental, dar respuesta a las necesidades que la población tiene planteadas en Salud, Desarrollo Personal y Social. SERVICIOS:

ÁREA CLÍNICA:
- Psicoterapia Individual de Adultos
- Psicoterapia de Niños/as
- Psicoterapia de Pareja
- Psicoterapia Familiar

ÁREA COMUNITARIA:

- Preparación Maternal y Paternal
- Orientación Familiar
- Grupos de Padres
- Estimulación Temprana (0-3a)
- Grupos de Niños/as (4 a 12a)
- Grupos de Adolescentes (13-16a)
- Grupos de padres y niños/as

DOCENCIA E INVESTIGACIÓN:

- Formación para Profesionales de la Salud, Educación y Servicios Sociales
- Supervisión de las tareas clínicas y comunitarias
- Investigación de los patrones vitales y los modos de vida, pautas de relación intergeneracionales, indicadores diagnósticos de población. EQUIPO PROFESIONAL:

- Isabel Aja : Orientación Familiar, Trabajadora Social, Antropóloga

- Pilar García Merayo: Psicoterapeuta, Directora de Pantos

- Otros colaboradores

10/11/2025

Marco Aurelio tenía un maestro llamado Junio Rústico.
Fue él quien le enseñó la lección que más lo marcó: “no intentes parecer virtuoso… sé virtuoso”.

Rústico le prohibió hablar como los filósofos de moda, usar frases rebuscadas o adoptar poses para impresionar a otros.
Le enseñó a ser simple, directo y honesto consigo mismo.
A vivir su filosofía, no a exhibirla.

Años más tarde, ya como emperador, Marco escribió en sus Meditaciones que de Rústico aprendió “a no actuar nunca para quedar bien”.

Esa fue su mayor fuerza: ser auténtico incluso cuando el mundo esperaba teatro.

Si quieres profundizar en este tipo de enseñanzas y llevarlas a tu vida diaria, aquí tienes mi libro completo sobre estoicismo:
👉 mybook.to/LegadoEstoico

10/11/2025
07/11/2025
07/11/2025

Violence doesn’t stop at the school gate — it follows learners online.

On 6 November, the world marks the International Day against Violence and Bullying at School, including Cyberbullying, under the theme “Screen smart: Learning to be safe in the digital era.”

Every month, 1 in 3 learners experiences bullying and at least 1 in 10 faces cyberbullying. Children who are bullied are twice as likely to feel lonely or have trouble sleeping. Some even have thoughts of su***de. Online abuse creates a 24/7 loop of fear that follows learners from screens into classrooms. The risks are even greater for some learners: 58 % of girls and young women have faced online harassment, and LGBTQI+ learners are about 50 % more likely to be cyberbullied than their peers.

Online violence is not just a digital safety issue, it strikes at the very heart of education, undermining learners' health, well-being and participation, threatening their future and that of societies.

Education must be our frontline defence. UNESCO works with governments, schools and teachers to foster safe learning environments free from violence, train educators to recognize and respond to online violence, and strengthen policies so that learning spaces — physical and digital — are safe and healthy for all. Learn more: https://shorturl.at/aQMgA

07/11/2025

I miei dubbi sull’educazione affettiva e sessuale nelle scuole
la Repubblica – 2 novembre 2025

Il movimento del Sessantotto e la rivoluzione sessuale che ha generato hanno avuto il grande merito storico di infrangere le catene di una morale sessuofobica che imprigionava il nostro rapporto con il desiderio e che faceva della sessualità un vero e proprio tabù. La parola “liberazione” ha trovato nel corpo un suo teatro decisivo: liberazione dal peccato, dalla vergogna, dal silenzio, dalla discriminazione che per secoli aveva avvolto la sessualità nella spessa nebbia della colpa. Il desiderio ha potuto finalmente essere pronunciato, esplorato, vissuto fuori dalla clandestinità austera del confessionale. Un nuovo illuminismo ha dissolto l’oscurantismo moralistico della condanna nei confronti di un diritto al godimento sessuale fine a se stesso, dunque sganciato dalle finalità riproduttive dettate dall’istinto.
E, tuttavia, come spesso accade, ogni liberazione porta con sé nuove forme di cattività. Se allora il nemico era l’interdizione sessuofobica, oggi il rischio è, almeno ai miei occhi, un nuovo tipo di oscurantismo. Mi riferisco alla riduzione della sessualità a fenomeno da spiegare, classificare, amministrare. Ma anche alla sua colonizzazione da parte di ideologie diversamente identitarie che pretendono di racchiudere il suo mistero all’interno di categorie fatalmente rigide. È in questo scenario più generale che dobbiamo collocare l’attuale dibattito politico sull’educazione affettivo-sessuale nelle scuole. È una questione seria che non può essere liquidata né con un moralismo rovesciato – condannare la sessualità eterosessuale come rigidamente binaria e normativa di fronte ad altre forme di sessualità che sarebbero più libere ed espressive -, né con l’ingenuità scientista di chi crede che basti un modulo formativo per educare al mistero irriducibile del desiderio sessuale e della vita affettiva.
Il punto cruciale è che tale educazione non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita. L’educazione affettivo-sessuale dovrebbe essere un obbiettivo trasversale dell’intera vita scolastica, un suo effetto educativo essenziale più che una materia a sé stante. Ogni insegnante, ogni adulto che abita la Scuola, è già — volente o nolente —, se si vuole proprio usare questa br**ta espressione, un “educatore sessuale-affettivo”. Il modo in cui si parla, si ascolta, si guarda l’altro, il modo con il quale si riconosce pienamente la sua differenza, costituisce già una forma di educazione in atto.
Freud ci ha insegnato che la sessualità umana è, sin dalla sua origine, perversa-polimorfa. Con questa formula egli non intendeva affatto descrivere una patologia, ma l’eccedenza della sessualità umana da ogni forma di regola istintuale e di norma morale. L’animale umano è, per definizione, sregolato, non ha istinti sessuali programmati, ma desideri che devono trovare una forma di soggettivazione singolare. Come ricordava uno straordinario Giuseppe Ungaretti a Pasolini in Comizi d’amore, la sessualità ci rende tutti poeti, ovvero soggetti obbligati ad un esercizio di invenzione creativa. Da questo punto di vista l’educazione sessuale e affettiva non può che essere una educazione alla propria libertà e a quella dell’altro. Non esiste una sessualità “normale”, così come non esiste una vita affettiva armoniosamente perfetta. Esistono solo tentativi più o meno riusciti di dare una forma umana alla forza anarchica e sempre instabile del desiderio.
Essere eterosessuali, omosessuali, lesbiche, bisessuali, liquidi o altro non garantisce in alcun modo una vita sessuale e affettiva realizzata e gioiosa. L’identità sessuale, qualunque essa sia, non salva dal rischio dell’infelicità, del fallimento, del disagio e della solitudine. È un errore e una grave illusione pedagogica pensare che basti riconoscere un’etichetta per risolvere il mistero del desiderio. La psicoanalisi ci ricorda che il desiderio non è mai completamente trasparente a se stesso, che resta sempre in esso un resto opaco, un enigma irrisolvibile. Ecco perché ogni vera educazione alla sessualità dovrebbe essere, prima di tutto, un’educazione al mistero. Che cosa significa amare? Che cosa significa desiderare? Perché possiamo fare delle scelte sessuali o amorose che anziché aprire la nostra vita alla pienezza della vita, la offendono e la feriscono? Perché dovremmo sempre sottrarci a rapporti che assomigliano a delle catene e perché a volte invece li ricerchiamo morbosamente? Perché non è così facile unire e non opporre il desiderio all’amore?
Ma siamo sicuri che un programma ministeriale o un’educazione famigliare possano davvero pretendere di dare risposte a questi interrogativi così cruciali che accompagnano da sempre la vita umana? È la Scuola come comunità vivente che deve incaricarsi non tanto di rispondere a questi interrogativi ma di educare quanto meno alla libertà, al rispetto delle differenze e al mistero. Innanzitutto attraverso i poeti, la letteratura, il cinema, il teatro, insomma, attraverso la cultura che già si insegna. In secondo luogo, nel favorire nella vita scolastica di tutti i giorni la lotta contro ogni forma di discriminazione, l’accoglienza della differenza, il riconoscimento del pieno diritto di ciascuno alla propria libertà sessuale. Un dubbio: tutto questo si ottiene facendo della sessualità e dell’affettività una materia di studio?

[Cover: W. Allen, "Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete mai osato chiedere) (1972)]

06/11/2025

Tracy Chapman

Mi madre me dijo
porque dice que ella lo aprendió por las malas
dice que quiere proteger a los niños
dice que no vendas ni entregues tu alma
porque todo lo que tienes es tu alma.
No te dejes tentar por la manzana brillante.
No comas del fruto amargo.
Ansía solo saborear la justicia.
Ansía solo un mundo de verdad.
Porque todo lo que tienes es tu alma.

06/11/2025

“La ternura es la forma más modesta de amor (…)
Aparece donde miramos de cerca y con cuidado a otro ser, a algo que no es nuestro «yo». La ternura es espontánea y desinteresada; va mucho más allá del sentimiento de empatía. Es en cambio el compartir consciente, aunque quizás un poco melancólico, del destino común. La ternura es una profunda preocupación emocional por otro ser, su fragilidad, su naturaleza única y su falta de inmunidad al sufrimiento y los efectos del tiempo. La ternura percibe los lazos que nos conectan, las similitudes y la similitud entre nosotros. Es una forma de mirar que muestra al mundo como vivo, interconectado, cooperando y codependiente de sí mismo.”
Olga Tokarczuk: "El narrador tierno". Discurso al recibir el Premio Nobel de Literatura 2018.

🎨Ilustración de "Fiesta del té dedo meñique"
psicopedagogia






03/11/2025
22/10/2025

LOS DIENTES DEL ODIO
Irene Vallejo

«(…) Fabricar enemigos es uno de los sectores económicos más rentables y con mayor demanda. Las vísceras cotizan en bolsa. El oficio de comentarista furibundo vive un momento dulce. Los magnates de las redes sociales aman nuestras fobias: atizan rencores que nos mantienen absorbidos, crispados y cautivos. Moldean el resentimiento con mensajes que masajean nuestros victimismos y transforman el enfado en capital. Los inversores en el ramo de la furia recogen beneficios. Tu rabia es su riqueza. Las explosiones de enojo, el previsible y sereno crecimiento del negocio. Tu insomnio febril arrulla sus sueños.

El círculo se estrecha, ya no basta recelar del otro. Los algoritmos buscan cebarse en nuestras inseguridades. La publicidad se filtra por las grietas de nuestra autoestima: nos empuja a odiar lo que somos para vendernos soluciones individualistas y perfecciones envasadas, desde la cirugía plástica a la autosuperación. Al final, necesitamos creer en nosotros mismos para creer en los demás. Frente a los accionistas de la ira, podemos fortalecer los vínculos y decidir que confiamos en nuestros vecinos. Urge usar las palabras no como arma, sino como argamasa: cultivar el debate frente al combate. No podemos permitirnos tener más odios que ideas».

*En el País el texto completo solo está disponible para suscriptores de pago, pero os he puesto la alternativa gratuita en el primer comentario.

Pasen y lean

22/10/2025

¿Nacemos para pelear o aprendemos a hacerlo?

Por Redacción Nota Antropológica

La pregunta sobre si el ser humano nace con la capacidad de hacer daño o la aprende al vivir en sociedad ha acompañado a la ciencia por décadas. Yves Christen, biólogo de origen francés, propone que la agresividad no es un defecto moral, sino una parte natural de la vida. Según su análisis, cada impulso humano tiene raíces biológicas que se transforman mediante la cultura. La manera en que nos relacionamos con ese impulso define si se convierte en violencia o si se mantiene como una forma de defensa o regulación social.

Christen distingue entre agresividad y violencia. La primera es una reacción que comparten muchos animales para conservar su territorio o establecer jerarquías. Es una herramienta de supervivencia. La segunda es un fenómeno humano que surge cuando esa energía se organiza culturalmente para dominar, castigar o eliminar a otros. La violencia es, entonces, el uso simbólico y aprendido del daño.

Durante siglos, la idea del “buen salvaje” llevó a pensar que el ser humano era pacífico por naturaleza y que la civilización lo había corrompido. Las investigaciones sobre comportamiento animal y humano demuestran lo contrario. Los enfrentamientos, las disputas por recursos y la defensa del grupo existen desde los primeros homínidos. Incluso en comunidades consideradas pacíficas se han registrado agresiones o muertes entre sus miembros. No es la cultura la que inventa el conflicto, pero sí la que lo convierte en arma.

El autor explica que la agresividad puede servir para mantener el orden. Permite reconocer límites, equilibrar tensiones y establecer liderazgos sin llegar al exterminio. En cambio, la violencia rompe esos equilibrios. Nace cuando la cultura legitima el daño, cuando la tecnología lo amplifica o cuando las ideologías lo justifican. El paso de un impulso biológico a un acto destructivo ocurre cuando la razón humana convierte la defensa en estrategia.

El dilema surge porque esa capacidad de agresión no puede eliminarse. Está inscrita en el cuerpo, en las emociones, en los reflejos. Lo que puede transformarse es su sentido. La cultura decide si canaliza la energía agresiva hacia la cooperación o si la usa para reproducir el poder y la desigualdad. El problema, entonces, no es la existencia del impulso, sino su dirección.

Christen advierte que la violencia organizada —como la guerra, la represión o el castigo— es una creación cultural que utiliza una base biológica para fines sociales o políticos. Se apoya en símbolos, discursos y mecanismos de legitimación que hacen que el daño parezca necesario o incluso justo. La biología explica el origen del impulso, pero la cultura decide su destino.

La investigación invita a pensar que el ser humano vive en una frontera constante entre naturaleza y cultura. La agresividad puede mantener la vida o destruirla, según el contexto en que se exprese. Lo que hace la diferencia no es el instinto, sino la forma en que aprendemos a controlarlo o a justificarlo.

Entonces, ¿tú qué piensas? ¿La violencia es una herencia inevitable de nuestro cuerpo o una construcción que podríamos desaprender si cambiamos nuestras costumbres y creencias?

Fuente:
Christen, Y. (1989). El hombre biocultural: De la molécula a la civilización. Madrid: Cátedra.

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