13/11/2025
Ci sono persone che non sono cresciute:
si sono costruite.
Mattone dopo mattone, con quello che avevano.
A volte solo silenzi, altre volte briciole d’affetto.
Ma abbastanza per non crollare.
Non hanno avuto un fondamento sicuro,
hanno imparato a reggersi
su equilibri fragili e incostanti.
A leggere i volti, a intuire i cambi d’umore,
a sentire quando l’aria di casa diventava pesante.
Diventano sismografi emotivi:
rilevano le scosse anche quando gli altri
non se ne accorgono.
Chi cresce in terreni instabili
non mette radici nel terreno,
ma nelle esperienze, nelle persone,
nelle piccole cose che riesce a costruire da sé.
Ha imparato che l’amore, a volte,
bisogna imparare a darselo da soli,
perché niente può essere dato per scontato,
perché anche il calore più vicino
può sparire senza preavviso.
C’è una stanchezza sottile
in chi ha dovuto essere forte troppo presto.
Una fatica che non si vede ma pesa dentro.
Come una fame antica che non si sa nominare.
E così si cresce imparando a sopravvivere
più che a fidarsi,
a proteggersi più che a lasciarsi andare.
Ogni legame è un campo minato,
ogni gesto un possibile disequilibrio.
Crescere senza radici non prepara alla gioia, prepara alla cautela.
Non insegna a fiorire,
insegna a restare in piedi su un terreno
che non sostiene.
Ma ogni volta che qualcuno riesce a farlo,
mostra che la fragilità non è debolezza,
è vita che insiste, che resiste, che prova ancora.
E in quella resistenza silenziosa,
spesso, comincia una forma di cura:
non quella che cancella il dolore,
ma quella che insegna a camminarci dentro,
finché il passo torna a essere proprio,
autentico, vivo.
Emanuele V.