14/12/2025
Era nata a Milano, una bambina che parlava poco ma SENTIVA tutto. Troppo sensibile, troppo emotiva, troppo viva. Vedeva oltre le apparenze, capiva le emozioni degli altri con una precisione quasi dolorosa. La sua sensibilità venne scambiata per debolezza e in famiglia fu sempre incompresa. A quindici anni, un critico importante — Giacinto Spagnoletti — notò le sue poesie. Scrisse una recensione entusiasta. Alda era felicissima!
Suo padre la strappò. La fece a pezzi sul tavolo della cucina. Le disse che era una sciocca e che una donna non doveva montarsi la testa. Si sposò giovanissima con un uomo che non la amava e non la capiva. Il matrimonio non le portò la libertà ma sofferenza. E un giorno, nel pieno di una lite, suo marito decise di farla internare. E così finì in MANICOMIO. Contro la sua volontà. Senza difese. Senza voce. E allora iniziò a scrivere. La sua anima era troppo grande per essere rinchiusa — persino da chi l’aveva messa dietro le sbarre. Scrisse ovunque: su fogli rubati, sul retro delle cartelle cliniche, nella sua mente quando non le davano carta. I muri che avrebbero dovuto zittirla diedero le ali sue parole.
Parole che un giorno sarebbero diventate rifugio per chi soffre, specchio per chi è spezzato, ABBRACCIO per chi ha paura. Quando uscì, non era più la stessa. Era una donna che aveva visto l’inferno e aveva trovato un modo per raccontarlo. E continuò a farlo: parlava dell’amore come di una ferita, della follia come di un dono, della vita come di una tempesta.
E il mondo — finalmente — la vide: una donna sensibile che era stata rinchiusa, ferita, ignorata. Eppure era sopravvissuta. Oggi i suoi versi sono ovunque. È citata, letta, condivisa. Ma la sua storia, quella autentica, spesso rimane nell’ombra. Alda Merini non è un’icona fragile. È la prova vivente che il CUORE di una donna è una luce che nessuno può spegnere. ❤️
Guendalina Middei.