04/10/2025
Questa mattina mi è caduta di mano la tazza preferita di mia madre. Quella che usava ogni singolo giorno per il caffè al mattino e per il tè alla sera.
Da quando se n’è andata, tre anni fa, l’ho usata io. Era diventata un piccolo rituale, quasi un modo per sentirla ancora vicina in quei momenti silenziosi della giornata.
Quando mi è scivolata, ho trattenuto il respiro. Non solo per la paura di vederla andare in frantumi, ma perché sapevo quanto dolore mi avrebbe dato ritrovarla in pezzi sul pavimento.
E invece, guardando giù, ho visto qualcosa che mi ha lasciato senza parole.
La tazza si era rotta in due parti perfette, ma era rimasta in piedi. Non si era scomposta del tutto: il manico la teneva ancora unita, come se sfidasse le leggi della gravità.
Era impossibile. Eppure era lì, davanti a me.
Ho avuto la netta sensazione che non fosse un caso. Come se mia madre avesse voluto dirmi qualcosa attraverso quella rottura “bella” e pulita. Sapeva che non l’avrei mai buttata, qualunque fosse stato il danno. E allora ha scelto di farmela trovare così: spezzata, sì, ma ancora in piedi.
Ora non so cosa fare. Una parte di me vorrebbe lasciarla così com’è, perfetta nella sua imperfezione. Un’altra parte invece sente che lei avrebbe voluto che io la trasformassi in qualcosa di nuovo. Un piccolo vaso, magari, o un portapenne: un oggetto che, pur cambiando forma, continui a vivere e a portare bellezza.
Forse è proprio questa la lezione: anche le cose che si spezzano possono rinascere in un’altra forma.
Proprio come le persone che amiamo continuano a vivere nei gesti, nei ricordi, nei piccoli simboli che ci lasciano.
Piccole Storie.