30/01/2021
IL POTERE DELLE EMOZIONI.....
"QUANDO IL TEMPO È VUOTO RIEMPILO DI EMOZIONI"
Considerazioni
Quotidianamente mi trovo la realtà del mondo socio-sanitario davanti agli occhi.......
Essere professionisti nella relazione di cura è sempre più complesso e le persone che convivono con la Demenza o con malattie cognitive degenerative sono spesso accolte in servizi diretti dal tecnicismo didattico e formativo esasperato unito a modelli organizzativi basati solo sui compiti e sui tempi.
La difficoltà sta nell’assumersi la responsabilità del proprio livello di stress. Semplice a dirsi ma gli studi dimostrano che lo stress prolungato o ripetuto può ostacolare l’organismo in diversi modi ed è fondamentale che ognuno di noi sviluppi un’abilità imprescindibile per svolgere qualsiasi professione in ambito socio-sanitario. Anche essere familiari comporta dedizione alla cura e si comprende l’urgenza di costruire il proprio ben-essere e la propria felicità, ma siamo consapevoli delle emozioni che proviamo?
La consapevolezza è la porta verso il cambiamento e quando viviamo situazioni nelle quali percepiamo stress eccessivo ci troviamo spesso a correre incessantemente senza sapere in quale direzione si sta portando la propria vita. Se trasformiamo i valori che predominano nel nostro cuore, cambierà in nostro modo di vivere la relazione con la persona e la malattia. Spesso sentiamo parlare della demenza come un ladro di memorie, di linguaggio, una casa dentro alla quale tutte le luci si spengono, una nebbia che avvolge la persona impedendole di tornare ad essere lì.
Ma se non fosse solo questo? Se fosse anche un viaggio dentro all’essenza del nostro essere, dentro a forme di comunicazione speciali ma efficaci? Nonostante la malattia esiste una strada coraggiosa per ascoltare, ma è necessario superare il concetto “Cogito ergo sum” di Cartesio. Penso dunque esisto ed è questo il paradigma dualistico tra mente e corpo che ci porta a guardare le persone con la demenza come “De-menti” o “fuori dalla loro mente”, ma siamo certi che l’esistere è strettamente collegato al pensiero?
In realtà studi scientifici dimostrano come le persone che convivono con la demenza provano emozioni fino al loro ultimo respiro e dimostrano come non esiste una senilità emozionale (Feeling without memory, 2014). La scienza conferma che il "sentire" è un'intelligenza da sviluppare quindi De-mente?No!
Viene spontaneo cambiare in Sente-mente
, perché le persone con demenza non solo sentono le loro emozioni ma riconoscono anche quelle delle persone che gli stanno accanto.
Sarebbe opportuno guardare con occhi nuovi alla malattia per vivere le grandi sfide della vita.
Il "complesso vivere "dopo la diagnosi non è solo tempo di fatiche ma può diventare l’inizio di un percorso di possibilità. Sarebbe importante, come spesso affermo ,una presa in carico o perlomeno un 'indirizzare affinché si possano svelare le opportunità che ancora sono presenti, nonostante il dolore, le fatiche, perché la vita non finisce con la diagnosi. Ma ahimè
"Ho il timore che in questa cultura spesso è come se andassimo all'indietro. Onoriamo il pensiero, mentre sentire non è ritenuto importante. Viene dato per scontato che tutti sentiamo, ma è triste constatare che la maggior parte delle persone sente solo in superficie e non in profondità. Abbiamo paura della tristezza che spesso si trasforma in disperazione, paura della collera che può diventare rabbia, paura dell'amore perché può finire con il crepacuore. Pensare è facile, ma ci vuole coraggio per sentire profondamente. E per sentire profondamente dobbiamo tornare a respirare profondamente (A. Lowen).
Le emozioni non sono una malattia, ma sono l’espressione dell’intelligenza emotiva che può essere il ponte a nostra disposizione per vivere le possibilità nonostante la malattia.
Il mondo socio-sanitario ha bisogno di imparare modi nuovi che ci consentano di vincere lo stress e l’impotenza diventando giocolieri della relazione, maghi del con-tatto, creatori di vita e di possibilità, moltiplicatori di istanti felici, distillatori di sorrisi, costruttori instancabili di modelli di vita. È importante portare avanti nuovi progetti per la residenzialità ,per i servizi domiciliari, attivare nuovi ambienti terapeutici ma sopratutto lavorare per un modello organizzativo per i servizi capace di creare risposte alla complessità assistenziale; un progetto rivolto a tutti coloro che sono coinvolti nella relazione di cura e a tutti coloro che vogliono fare della relazione un'esperienza capace di "cambiamento".
In quest’ottica nascono i nostri progetti per l'intera triade assistenziale, aiutando i servizi e le persone a passare dallo stato di impotenza a quello di autoefficacia, dalla disperazione all'opportunità, dalla idea della diagnosi come fine a all'ipotesi che #lavitanonfinisceconladiagnosi.
Il mio messaggio conclusivo… Siate fiammiferi di nuove possibilità!”.
Umanizzazione delle cure non significa solo prestare più attenzione alle esigenze e ai bisogni di chi viene assistito, ma anche coltivare la straordinaria bellezza dell’essere umano, a partire da chi le cure intende offrirle. Evitare le emozioni personali mina il processo di aiuto stravolgendone i significati e crea distacco freddo che non è mai terapeutico nella costruzione della relazione.
Sorge spontanea la proposta formativa di tipo tecnico emozionale, sia personale che organizzativa, caratterizzata da competenze, innovazione e motivazione.