09/10/2020
🧪 Esistono tre tipologie di test sierologici: qualitativi, semi-quantitativi, quantitativi.
La sostanziale differenza sta nella metodologia di analisi:
nei test qualitativi si stabilisce solo se una persona ha sviluppato o meno degli anticorpi, secondo una logica positivo/negativo;
nei test quantitativi vengono dosate le quantità di anticorpi.
Anche la modalità con cui si effettuano cambia:
i test qualitativi sono test rapidi, in cui è sufficiente una goccia di sangue, che viene esaminata in un kit portatile e si ottiene riscontro immediato, esattamente come avviene nel caso del test autodiagnostico di gravidanza che rileva l'ormone hCG nell'urina.
I test sierologici quantitativi, invece, richiedono un prelievo di sangue e uno specifico analizzatore in dotazione alle strutture sanitarie.
Affidabilità dei test sierologici
Differente sembrerebbe anche il grado di affidabilità dei test: “Sui test qualitativi, i cosiddetti test a cassetta - spiega il Prof. Corsi Romanelli -, non siamo in grado di definire i livelli di affidabilità e accuratezza, perché hanno grandi limitazioni in base al cut-off che viene definito, ovvero la soglia che stabilisce il limite di separazione tra positività e negatività al test.
I test quantitativi, che hanno un elevato grado di affidabilità e accuratezza, utilizzano sistemi di rilevazione con chemiluminescenza (CLIA) oppure sistemi immunoenzimatici (ELISA).
A oggi sono diversi i test sierologici quantitativi che hanno ottenuto l’EUA (Emergency use authorization) dalla Food and Drug Administration americana e possono essere utilizzati in tutto il mondo”.
La misurazione degli anticorpi IgM e IgG
A prescindere dalla modalità di rilevazione, i test sierologici vanno a indagare la presenza degli anticorpi del virus SARS-CoV-2 nel sangue.
Esistono cinque tipologie di anticorpi prodotti dal sistema immunitario (IgM – IgG – IgA – IgD – IgE), ma nelle diverse fasi dell’infezione virale le più considerate sono:
IgM: prodotti nella fase iniziale, solitamente appaiono al 4°-6° giorno dalla comparsa dei sintomi della malattia e, dopo qualche settimana, scompaiono;
IgG: prodotti più tardi (9°-12° giorno), rimangono all’interno dell’organismo per periodo più lungo.
Sono gli anticorpi IgG a essere indicativi dell’immunità, la cui durata è ancora un tema dibattuto e poco chiaro.
“Anche la quantità di anticorpi presenti è variabile - continua il Prof. Corsi Romanelli-. Dai primi test sierologici realizzati al Policlinico San Donato, abbiamo osservato grandi differenza tra chi è stato ammalato molto gravemente e chi ha avuto la malattia in forma lieve o paucisintomatica.
In questi pazienti la sieroconversione porta alla presenza di IgG anche al 35° giorno dalla positività al tampone. Inoltre, alla fine del percorso clinico hanno una presenza di IgG molto più bassa rispetto ad altri che hanno avuto forme gravi della malattia”.
Immunità da coronavirus: quanto dura?
L’espressione “patente di immunità” è stata ampiamente utilizzata dai media per certificare una persona guarita dalla malattia, che ha sviluppato una risposta immunitaria e non può né essere fonte di contagio né a rischio di nuova infezione.
In realtà, le conoscenze sul virus sono ancora scarse per cui la realtà è più complessa. Ciò che è certo, però, è che non stiamo parlando di una malattia che garantisce l’immunità per tutta la vita. Non succede come quando si contrae il morbillo o la rosolia, ovvero la certezza che la malattia non tornerà più o che un vaccino salverà per sempre dall’infezione.
“Il test sierologico ha quindi una validità temporanea. Confrontandomi con i colleghi che si occupano dell'argomento in tutto il mondo, siamo tutti d’accordo nello stimare la validità della presenza anticorpale non per anni, ma per mesi, come successe già con il SARS-CoV-1.
Essendo il SARS-CoV-2 un betacoronavirus, come per altri betacoronavirus, l’immunità è solo momentanea – spiega il Prof. Corsi Romanelli –.
Non c’è memoria di immunità, non sappiamo come si comporterà, se ci sarà un’altra ondata o se chi ha già contratto il virus potrà ricontrarlo”.
Un altro aspetto da prendere in considerazione è l’interferenza immunologica: alcune persone sono più protette perché esposte ‘naturalmente’ ad agenti patogeni o vaccinate per il virus influenzale. L’organismo ha scatenato una risposta adattativa e ha prodotto delle specifiche molecole (interferoni). Studi in questo campo sono stati avviati in diversi paesi”.