29/10/2025
A volte gli altri ci attribuiscono emozioni, intenzioni o caratteristiche che non ci appartengono.
Ci accusano di essere “freddi”, “egoisti”, “troppo sensibili” o “sbagliati” — e può capitare che una parte di noi vacilli, inizi a crederci.
In Analisi Transazionale, diremmo che in quel momento si attiva una parte interna, spesso il Bambino Adattato, che tende a credere all’altro pur di mantenere il legame o evitare il rifiuto.
È così che la proiezione dell’altro trova terreno fertile: una zona di vulnerabilità già esistente dentro di noi.
Imparare a distinguere tra ciò che ci appartiene e ciò che è dell’altro è un lavoro di consapevolezza profonda.
Richiede la capacità di ascoltare le proprie emozioni, ma anche di osservarle senza fonderci con esse.
I confini non servono a separare, ma a proteggere l’integrità del Sé.
A ricordarci che possiamo restare empatici senza diventare il contenitore del mondo emotivo altrui.
Il confine psicologico serve proprio a questo:
a riconoscere ciò che ci appartiene e restituire ciò che è dell’altro, senza chiuderci né confonderci.
Quando manteniamo un confine chiaro, possiamo restare in relazione senza farci invadere.
Possiamo accogliere ciò che l’altro comunica, ma anche scegliere di non prenderlo come verità assoluta.
Il percorso terapeutico aiuta a rafforzare questo senso di sé adulto — il Genitore Affettivo e l’Adulto Integrato — capace di osservare le proiezioni e dire, con calma:
“Questo non è mio.”