Psicologa Psicoterapeuta Valentina Seghini

Psicologa Psicoterapeuta Valentina Seghini Studio di Psicologia Clinica, Psicodiagnosi, Psicoterapia, Analisi Transazionale, Psicotraumatologia

- Visita psicologica.
- Consulenze e colloqui psicologico-clinici.
- Valutazione psicodiagnostica.
- Psicoterapia, individuale, di coppia e di gruppo.
- Valutazione e riabilitazione neuropsicologica (demenze, disturbi della memoria, agnosie, aprassie, linguaggio).
- Progettazione sociale.
- Psicologia scolastica. Attività clinica:

problematiche della relazione;
problematiche dell'adolescenza;
problematiche dell'età senile;
sostegno alla genitorialità;
problematiche della coppia (separazioni, divorzi, lutti);
disturbi post-traumatici;
disturbi psicosomatici;
depressione;
ansia e attacchi di panico;
problematiche della sessualità;
identità di genere;
dipendenze patologiche (gioco d'azzardo; internet, ecc...);
disturbi alimentari;
disturbi di personalità.

A volte gli altri ci attribuiscono emozioni, intenzioni o caratteristiche che non ci appartengono.Ci accusano di essere ...
29/10/2025

A volte gli altri ci attribuiscono emozioni, intenzioni o caratteristiche che non ci appartengono.
Ci accusano di essere “freddi”, “egoisti”, “troppo sensibili” o “sbagliati” — e può capitare che una parte di noi vacilli, inizi a crederci.

In Analisi Transazionale, diremmo che in quel momento si attiva una parte interna, spesso il Bambino Adattato, che tende a credere all’altro pur di mantenere il legame o evitare il rifiuto.
È così che la proiezione dell’altro trova terreno fertile: una zona di vulnerabilità già esistente dentro di noi.

Imparare a distinguere tra ciò che ci appartiene e ciò che è dell’altro è un lavoro di consapevolezza profonda.
Richiede la capacità di ascoltare le proprie emozioni, ma anche di osservarle senza fonderci con esse.

I confini non servono a separare, ma a proteggere l’integrità del Sé.
A ricordarci che possiamo restare empatici senza diventare il contenitore del mondo emotivo altrui.

Il confine psicologico serve proprio a questo:
a riconoscere ciò che ci appartiene e restituire ciò che è dell’altro, senza chiuderci né confonderci.

Quando manteniamo un confine chiaro, possiamo restare in relazione senza farci invadere.
Possiamo accogliere ciò che l’altro comunica, ma anche scegliere di non prenderlo come verità assoluta.

Il percorso terapeutico aiuta a rafforzare questo senso di sé adulto — il Genitore Affettivo e l’Adulto Integrato — capace di osservare le proiezioni e dire, con calma:
“Questo non è mio.”

✨️L’uso del sogno in una prospettiva di Analisi Transazionale (AT) può essere molto produttivo, soprattutto se integrato...
28/10/2025

✨️L’uso del sogno in una prospettiva di Analisi Transazionale (AT) può essere molto produttivo, soprattutto se integrato in un percorso terapeutico volto a modificare il “copione di vita” (life-scirpt) del cliente.

🔷️Nei sogni, secondo alcuni autori AT, possono emergere tracce dello script, delle decisioni iniziali, delle paure infantili, dei copioni difensivi. Ad esempio: si parla di “script-dreams” (sogni dello script), cioè sogni ricorrenti che contengono paure primarie e scelte difensive fatte dallo stato dell’Io Bambino. Il terapeuta insieme al cliente esplora: chi agisce, chi è spettatore, quale Stato dell'Io sembra dominare, quali emozioni emergono, quali decisioni implicite si trovano nel sogno.

🔷️In AT si può usare il sogno per amplificare l’esperienza: “Se tu fossi uno dei personaggi del sogno, quale stato dell’Io staresti rappresentando? E quale messaggio l’altro personaggio o la situazione ti sta dando?”
Una volta che il sogno è esplorato, può essere usato come laboratorio simbolico: il cliente può “rientrare” nel sogno (in immaginazione) e modificare l’esito, agire diversamente, sperimentare un nuovo copione.

🔷️In seguito, in sedute successive, si può verificare se emergono nuovi sogni, o se i sogni cambiano insieme al processo della terapia. Si lavora affinché il sogno non resti solo “fenomeno”, ma entri nel contratto terapeutico come segnale di che cosa il paziente“vuole cambiare”.

👉Il sogno è un simbolo personale: le associazioni che il cliente ha con i sogni sono centrali (in stile più junghiano ma integrato nell’AT).Il lavoro sui sogni in AT non sostituisce il lavoro sul copione nella vita reale: il sogno è uno strumento, ma la trasformazione avviene anche (e soprattutto) attraverso azioni concrete, scelte e cambiamenti di comportamento.

🔎Il terapeuta deve rimanere attento a contesti traumatici, dissociativi, in cui i sogni (o gli incubi) possono richiedere modalità specifiche di trattamento. La recente letteratura AT include questo riconoscimento.

📍Valentina Seghini - Psicoterapeuta

🫀 Prenditi un momento per ascoltarti.Non è solo una frase fatta: è un invito difficile! Ascoltarsi significa fermarsi e ...
27/10/2025

🫀 Prenditi un momento per ascoltarti.
Non è solo una frase fatta: è un invito difficile! Ascoltarsi significa fermarsi e accogliere ciò che emerge, anche quando non ci piace.

Nel mio lavoro incontro spesso persone che hanno imparato a “tenere duro”, a non sentire troppo, a non fermarsi mai.
Ma il corpo e la mente si parlano continuamente — e il corpo, quasi sempre, (come ormai sanno i miei pazienti 😊) sa prima della mente.
Sa attraverso una tensione, un nodo allo stomaco, un battito accelerato.

🧠 Le neuroscienze oggi confermano quello che la clinica ha sempre intuito:
le aree cerebrali che elaborano le emozioni e le sensazioni corporee (come l’amigdala, l’insula e il sistema limbico) si attivano prima delle aree cognitive della corteccia prefrontale.
In altre parole, il corpo registra prima che la mente capisca.

Quando impariamo ad ascoltare quei segnali, non siamo solo "sensibili", stiamo leggendo il linguaggio più autentico del nostro sistema nervoso.
A volte serve silenzio.
Altre volte serve qualcuno che accompagni in quell’ascolto, con rispetto e presenza.

🌿 Ascoltarsi è cura. È integrazione tra ciò che sentiamo e ciò che comprendiamo. In questo senso, la mente merita attenzione quanto i segnali del corpo e...viceversa!

— Valentina Seghini, Psicoterapeuta
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📍Oscillare è umano⌚️Ogni anno, quando cambiamo l’ora, molti di noi avvertono qualcosa di strano:un po’ più di stanchezza...
26/10/2025

📍Oscillare è umano

⌚️Ogni anno, quando cambiamo l’ora, molti di noi avvertono qualcosa di strano:
un po’ più di stanchezza, irritabilità, o quella sensazione indefinita di “fuori ritmo”.

Dormiamo male, siamo più irritabili, più malinconici o distratti.
E qualcuno dice: “È solo un’ora, non può fare tanta differenza.”
E invece sì, può eccome.

Non è pigrizia. Non è instabilità.
È che siamo sistemi delicati, sintonizzati su ritmi precisi: luce, buio, abitudini, relazioni, temperatura emotiva.
Quando uno di questi cambia, anche il nostro “campo interno” si muove.

Perché il nostro umore non vive in un vuoto individuale: è parte di un campo relazionale e corporeo che risponde a tutto ciò che lo circonda.
Ogni spostamento, anche minimo, mette in moto una danza interna fatta di adattamenti, micro-sbalzi, nuove sintonie da trovare.

Ci sono giorni in cui ci sentiamo pieni di energia, aperti, curiosi.
E altri in cui tutto sembra più pesante, come se il mondo avesse perso colore.

Molti chiamano questo “sbalzo d’umore”.
Io preferisco chiamarlo oscillazione.

Oscillare non significa essere instabili.
Significa essere vivi.

È il movimento naturale della psiche che cerca un equilibrio, come un pendolo che torna sempre verso il centro dopo aver esplorato i suoi estremi.

Nella prospettiva del campo, ciò che proviamo non nasce mai nel vuoto: è l’effetto di una relazione viva tra ciò che accade dentro di noi e ciò che accade fuori.
Ogni oscillazione racconta qualcosa del nostro campo affettivo: una tensione, un bisogno, anche una trasformazione in corso.

🌿 A volte l’oscillare è una forma di dialogo:
il bisogno di silenzio dopo un eccesso di stimoli.

Non è un difetto del carattere, ma un linguaggio del corpo e della mente.

E forse, più che cambiare l’ora, dovremmo imparare a darci il tempo⏳️💚

📍Quando da piccoli impariamo che l’amore arriva solo se siamo “bravi”, “forti”, “perfetti” o “utili”, interiorizziamo un...
22/10/2025

📍Quando da piccoli impariamo che l’amore arriva solo se siamo “bravi”, “forti”, “perfetti” o “utili”, interiorizziamo un messaggio profondo: così come sono non basta.
Da lì nasce la ferita narcisistica — una frattura sottile tra il sé autentico e il sé adattato, tra il bisogno di essere visti e la paura di mostrarsi davvero.

Alla base di questa ferita c’è spesso la vergogna, un’emozione silenziosa e corrosiva che nasce quando il bambino sente di non poter essere amato nella propria verità. La vergogna non riguarda qualcosa che ha fatto, ma ciò che è.
Per proteggersi, costruisce un’immagine ideale di sé: forte, brillante, ineccepibile.
È così che si struttura la vulnerabilità narcisistica — la continua tensione tra il desiderio di essere ammirati e la paura di essere scoperti “difettosi”.

Il genitore della persona con ferita narcisistica è spesso ambivalente: può essere svalutante o iper-esigente, oppure seduttivo e invischiante.
In entrambi i casi, lo sguardo del genitore non incontra davvero il bambino, ma lo usa per confermare la propria immagine o per colmare un vuoto.
Il bambino, allora, impara a essere ciò che serve per non perdere l’amore, rinunciando lentamente alla spontaneità e al contatto emotivo autentico.

Nella vita adulta, questa ferita può manifestarsi come bisogno di controllo, paura del rifiuto, ricerca di perfezione o difficoltà a tollerare la vulnerabilità.

Nel percorso terapeutico, questi pazienti possono vivere la relazione con il terapeuta come potenzialmente minacciosa: il contatto emotivo, la dipendenza sana, il riconoscimento dei propri limiti riattivano la stessa vergogna antica.
Per questo, spesso fuggono dalla terapia proprio nel momento in cui il legame comincia a diventare più autentico.
Altre volte mettono in atto tentativi di controllo o manipolazione, cercando inconsapevolmente di gestire la relazione terapeutica per non sentirsi vulnerabili o rifiutati.
Non è un atto di malafede, ma un modo appreso di sopravvivere a un amore condizionato.

🌱La guarigione non passa dal diventare “migliori”, ma dal poter essere visti — e restare — anche quando emergono fragilità, rabbia o vergogna.

📍Come nasce il sintomo ossessivo e la personalità orientata in senso ossessivo🔷️Nella prospettiva psicodinamica, la pers...
21/10/2025

📍Come nasce il sintomo ossessivo e la personalità orientata in senso ossessivo

🔷️Nella prospettiva psicodinamica, la personalità ossessiva si struttura intorno a un conflitto primario tra impulso e controllo.
Il bambino cresce in un contesto in cui l'espressione spontanea delle emozioni (soprattutto rabbia, desiderio, piacere) è vissuta come pericolosa, inaccettabile o colpevole; l'amore e la sicurezza sono condizionati alla correttezza, all’ordine, alla padronanza.

👉 L’Io, per sopravvivere, sviluppa una difesa: tenere tutto sotto controllo.
Il pensiero diventa uno strumento per gestire l’angoscia, una barriera contro la confusione affettiva.
Il mondo interno viene regolato attraverso la mente, non più attraverso il corpo o la relazione.

🛡 Difese principali:

Isolamento dell’affetto: la persona può parlare di emozioni senza provarle.

Razionalizzazione e intellettualizzazione: la mente analizza, ma non sente.

Formazione reattiva: rigidità morale o perfezionismo per tenere a bada pulsioni “inaccettabili”.

👉L’ossessivo vive così una continua tensione tra l’ordine e la paura del disordine interno.
Il sintomo — pensieri intrusivi, rituali, controllo — serve a tenere chiuse le porte del desiderio e della colpa.

🔹L’Analisi Transazionale (A.T.) aiuta a leggere questa struttura come parte di un copione di vita, appreso in risposta ai messaggi genitoriali interiorizzati.

🗣Messaggi tipici:

“Sii perfetto.”

“Sii forte.”

“Pensa, non sentire.”

“Fai quello che è giusto.”

🗣Il Bambino interiore riceve il messaggio implicito: “Ti amerò solo se sarai impeccabile, controllato e irreprensibile.”

👉 Il sintomo ossessivo rappresenta così un modo di restare al sicuro nel copione:
controllare, ordinare, prevedere = evitare la colpa, la perdita di controllo, o l’abbandono.

🔹Al centro del funzionamento ossessivo c’è l’angoscia di separazione:la paura inconscia che l’autonomia o il desiderio possano distruggere il legame con l’oggetto amato.

⚠️Molti giovani adulti stanno sempre più sviluppando forme subcliniche di ossessività funzionale, dove l’ipercontrolloe l’analisi continua mascherano il vuoto identitario o la paura di sbagliare.

18/10/2025

🌱 “La terapia non è solo parlare, ma trasformare ciò che vive nel corpo e nella memoria.”

🪡Nel mio lavoro clinico, integro Analisi Transazionale (AT) ed EMDR, mantenendo uno sguardo costante alle scoperte neuroscientifiche che spiegano l’efficacia di questi approcci.

🔎Con l’Analisi Transazionale esploriamo i copioni di vita, quei pattern interiori che spesso limitano le scelte, generano ansia o inibiscono l’autenticità del sé. Identifichiamo le parti del Sé (Bambino, Genitore, Adulto) e aiutiamo a rafforzare l’Io Adulto, capace di osservare, scegliere e integrare le esperienze.

👁✌️Con l’EMDR lavoriamo sulle memorie emotive bloccate, spesso alla base di ansia, paure, vissuti di rifiuto o perdita. La stimolazione bilaterale facilita l’integrazione tra memoria implicita ed elaborazione cosciente, riducendo reazioni automatiche di stress, paura o senso di colpa.

🧠Le neuroscienze spiegano che questi percorsi rinforzano i circuiti dell’autoregolazione, della presa di decisione e della tolleranza emotiva, rendendo il cambiamento concreto e duraturo.

🔷️Disturbi e difficoltà trattabili

Il mio approccio integrato è particolarmente efficace per:

Ansia generalizzata e attacchi di panico

Disturbi post-traumatici e traumi precoci

Paure e fobie specifiche

Difficoltà relazionali e legate alla separazione

Depressione e stati di vuoto emotivo

Problemi legati a stress cronico e burn-out

Oscillazioni identitarie e difficoltà nel costruire un sé coerente

📍L’obiettivo è aiutare la persona a sviluppare un sé integrato, capace di riconoscere e accogliere le proprie emozioni, rielaborare il passato, e agire nel presente con autonomia e consapevolezza.
Un lavoro che unisce narrazione, memoria e corpo.

📍Molte persone oggi vivono in una forma di dissociazione silenziosa, funzionale, quasi invisibile.Non perdono il contatt...
18/10/2025

📍Molte persone oggi vivono in una forma di dissociazione silenziosa, funzionale, quasi invisibile.
Non perdono il contatto con la realtà, ma con la vitalità.
Il corpo si ritira, la mente prende il comando, e la vita diventa un copione efficiente ma svuotato.

La dissociazione sottile non è una patologia evidente, ma un modo adattivo di separarsi parzialmente da sé per tollerare stress, dolore emotivo o sovraccarico.
È frequente in pazienti “funzionanti”, capaci di gestire la vita quotidiana, ma che riferiscono un senso di vuoto interno, distanza emotiva o perdita di autenticità.

Spesso la dissociazione sottile nasce da esperienze precoci di non riconoscimento emotivo: quando esprimere i propri stati interni non era sicuro o accolto.
Il soggetto impara allora a separarsi da sé per adattarsi all’altro.
Nel tempo, questa strategia diventa uno schema stabile, interiorizzato: una “sospensione controllata” del contatto emotivo.

Nella teoria polivagale (Porges), corrisponde a una dominanza del sistema vagale dorsale, cioè una risposta di “spegnimento” o freeze per ridurre la minaccia percepita.
Il corpo resta apparentemente calmo, ma è in uno stato di ipo-arousal: ridotta energia, emozioni appiattite, percezione rallentata.

🔹 Segni clinici tipici

Sensazione di “vivere in automatico”, come se le giornate scorressero senza essere davvero vissute.

Difficoltà a riconoscere o nominare le emozioni (“so cosa penso, ma non cosa sento”).

Tendenza all’iper-razionalizzazione come difesa dal sentire.

Riduzione della memoria affettiva: gli eventi sembrano neutri o privi di risonanza.

Distacco corporeo: scarsa consapevolezza delle sensazioni fisiche o dell’affaticamento.

Capacità di “funzionare” anche in condizioni di forte disagio, fino al burnout.

🔷️ In terapia, il lavoro è delicato:
non “riattivare” di colpo, ma accompagnare la persona a riabitare il proprio sentire, a piccole dosi, con sicurezza.
A riconoscere che dietro l’apatia c’è spesso un corpo che aspetta di essere ascoltato.

📍Il sintomo spesso rappresenta il compromesso tra due spinte opposte: il bisogno di sicurezza, che ci àncora ai legami e...
15/10/2025

📍Il sintomo spesso rappresenta il compromesso tra due spinte opposte: il bisogno di sicurezza, che ci àncora ai legami e alle abitudini conosciute, e il desiderio di libertà, che spinge verso l’autonomia e il cambiamento.
Nel modello psicodinamico, il sintomo non è solo un “errore” da correggere, ma un tentativo inconscio di mantenere coesione psichica di fronte a un conflitto interno.
Le neuroscienze confermano questa tensione: la rete della salienza e i circuiti limbici si attivano per mantenere l’omeostasi emotiva, mentre la corteccia prefrontale tenta di bilanciare controllo e spinta esplorativa.

Quando questo equilibrio si incrina, il cervello — e la psiche — producono un “adattamento” che chiamiamo sintomo: un modo per restare al sicuro anche se a caro prezzo.

❓️Quale parte di te cerca sicurezza, e quale invece libertà?
A volte il sintomo parla proprio di questo dialogo sospeso.

Quando un bambino o un adulto vive qualcosa di troppo grande da gestire e non trova un testimone empatico, una figura ch...
29/09/2025

Quando un bambino o un adulto vive qualcosa di troppo grande da gestire e non trova un testimone empatico, una figura che lo veda e lo accompagni, la sofferenza resta congelata, dissociata, e diventa ferita traumatica.

In altre parole: non è solo l’urto dell’evento, ma il vuoto relazionale che lo segue a rendere il dolore intollerabile.

Il terapeuta, co-regola, offre al paziente la possibilità di sentirsi accompagnato dentro ciò che prima era insopportabile da vivere da soli.
È questo passaggio che apre la strada...

Quando l’accesso al ricordo è troppo difficile si utilizzano le tecniche sensomotorie. Queste lavorano sul corpo, senza bisogno di “ricordare tutto a parole”, e aiutano a sciogliere le tracce del trauma rimaste nella memoria implicita.

Alcuni esempi:

-notare le sensazioni fisiche presenti qui e ora e imparare a modularle;

-lavorare su posture e movimenti interrotti (es. un gesto di difesa mai completato) per dare al corpo la possibilità di “finire l’azione bloccata”;

-esercizi di radicamento e confine corporeo, che rafforzano la percezione di sicurezza.

L’EMDR, integrato con l’approccio sensomotorio, consente poi di rielaborare i ricordi congelati: non serve riviverli per intero, ma gradualmente trasformarli da frammenti traumatici a memorie integrate.

In questo modo, la terapia non forza mai il paziente ad affrontare da solo il trauma, ma lo accompagna passo dopo passo: dal corpo alla mente, dal silenzio alla parola, dalla solitudine alla relazione.

Nel trauma complesso, vergogna e dissociazione sono due facce della stessa ferita.La dissociazione nasce come difesa: il...
28/09/2025

Nel trauma complesso, vergogna e dissociazione sono due facce della stessa ferita.
La dissociazione nasce come difesa: il bambino che subisce abusi o trascuratezza cronica non può tollerare la piena consapevolezza di quello che accade. Divide allora l’esperienza: una parte vive l’evento, un’altra lo “mette via”, per sopravvivere.

Ma questa scissione non è neutra. A tenerla insieme si insinua la vergogna:
👉 “Se è successo a me, vuol dire che sono sbagliato.”
👉 “Se mi hanno trattato così, è perché non valgo.”

La vergogna diventa quindi il filo rosso che unisce le parti dissociate: non lascia ricordare tutto, ma lascia sentirsi difettosi. Non si limita ad accompagnare l’esperienza, ma diventa una sorta di marchio identitario. Non ricordiamo tutto quello che è accaduto, ma resta la sensazione costante di non valere, di essere difettosi, di meritare in qualche modo ciò che si è subito. Come se la mente avesse sacrificato la memoria per salvare il legame con l’altro, lasciando però una voce interiore che continua a ripetere: “Se è successo a me, vuol dire che sono io il problema.”

Judith Herman lo descrive come un senso di indegnità che imprigiona; Bessel van der Kolk spiega che il corpo trattiene quelle esperienze sotto forma di sensazioni e reazioni che non trovano parole; Giovanni Liotti ci ricorda che nei legami disorganizzati il bambino impara a pensarsi “sbagliato” pur di non perdere la vicinanza della figura di accudimento.

Una storia clinica:
Una giovane donna in terapia racconta di “non provare nulla”. Quando ripensa alla sua infanzia, dice:
“So che succedevano cose brutte, ma è come se fossero scene di un film. Non sento niente… tranne la sensazione costante di essere sbagliata.”

Questa è la dissociazione in azione: il ricordo resta “lontano”, mentre la vergogna diventa il sentimento dominante, quello che si incarna nell’identità.

Il lavoro terapeutico, allora, non è forzare la memoria, ma creare uno spazio sicuro in cui le parti dissociate possano essere riconosciute e integrate. Solo così la vergogna smette di essere una condanna silenziosa e può trasformarsi in un segnale che porta alla cura.

Non possiamo più stare in silenzio!!!Ogni bambino ucciso non è solo “una vittima della guerra”, è l’annientamento di una...
19/09/2025

Non possiamo più stare in silenzio!!!
Ogni bambino ucciso non è solo “una vittima della guerra”, è l’annientamento di una possibilità di futuro. Ogni madre, ogni padre che piange non è “un danno collaterale”, è un grido che dovrebbe scuotere le nostre coscienze. E se fossero i nostri figli? E se gli "altri" fossimo noi?
Da ieri Gaza in blackout e i civili in esodo. È straziante!!!

Eppure, di fronte a questa distruzione, molti preferiscono il silenzio.
Forse perché parlare di Thanatos, è troppo scomodo.
Forse perché ci ricorda che dentro ogni società, dentro ogni individuo, esiste questa tentazione di annientare, di distruggere.
Ma il silenzio non ci salva: ci rende complici!!!
Io ci metto la faccia!!!

La guerra a Gaza non è solo geopolitica. È psiche collettiva ferita, è umanità dissociata.
Restare neutrali davanti a massacri e bombardamenti significa lasciar crescere la parte più oscura della psiche umana.

Chi lavora con il dolore umano lo sa: il trauma non è mai neutro, lascia cicatrici che passano di generazione in generazione. Oggi, in Palestina, si sta generando un trauma transgenerazionale globale.

Non possiamo fermare le bombe da soli. Ma possiamo scegliere di non restare zitti, di denunciare, di rifiutare questa narrazione disumanizzante. Possiamo opporci! Bloccando l'economia di chi vuole questa distruzione!

Chiediamoci quale parte vogliamo nutrire, in noi e nel mondo: pulsioni di vita o pulsioni di morte?!!!

Non basta indignarsi a metà. Non basta abbassare lo sguardo.
Il silenzio è già una scelta!!!

Sono amareggiata, angosciata dalle immagini che ci colpiscono ogni giorno di questo crimine contro l'umanità. Non possiamo stare zitti. Tutta questa indifferenza è preoccupante. Le nostre azioni di oggi determineranno il futuro come esseri umani etici ed empatici, stiamo perdendo tutto...in questo senso... senza Gaza non c'è futuro!

Indirizzo

Via Imperatore Federico II, 44
Bagheria
90011

Orario di apertura

Lunedì 15:00 - 20:00
Martedì 15:00 - 20:00
Mercoledì 15:00 - 20:00
Giovedì 15:00 - 20:00
Venerdì 15:00 - 20:00
Sabato 15:00 - 20:00

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