06/11/2025
Spesso si parla di amore per se stessi come di qualcosa di separato dall’amore per gli altri.
Come se volersi bene significasse pensare solo a sé, mettere distanza, costruire confini rigidi.
In realtà, nella mia esperienza clinica, ho visto che accade l’esatto contrario: più impariamo a volerci bene, più diventiamo capaci di amare in modo sano.
Amarsi non è egoismo, è radicamento.
È la capacità di riconoscere i propri limiti, i propri bisogni, e di rispettarli senza colpa.
Chi non riesce a volersi bene, spesso cerca nell’altro una conferma continua di valore, una compensazione che diventa presto fragilità, dipendenza o paura di perdere.
E così l’amore smette di essere incontro, e diventa tentativo di riempire un vuoto.
Quando invece iniziamo un lavoro di autocompassione, cambia tutto.
Essere compassionevoli verso noi stessi significa accogliere anche le parti imperfette, quelle che ci fanno vergognare o che vorremmo nascondere.
E proprio da questa accoglienza nasce un’energia nuova: la capacità di guardare anche gli altri con più comprensione e meno giudizio.
Le neuroscienze e la mindfulness ce lo confermano: gli atteggiamenti compassionevoli, verso sé e verso gli altri, attivano le stesse aree cerebrali legate al benessere, alla connessione e alla sicurezza emotiva.
Essere gentili, dentro e fuori, fa bene al cuore — in senso psicologico e letterale.
💬 Volersi bene e volere bene sono due movimenti dello stesso respiro.
Il primo ci ancora, il secondo ci apre.
E insieme creano un equilibrio fatto di autenticità, empatia e presenza.
Amare se stessi non significa escludere il mondo.
Significa portarci dentro al mondo in modo più integro, più vero e più libero.