Studio di fisioterapia di rosannarusso

Studio di fisioterapia di rosannarusso rieducazione funzionale

25/06/2025
20/06/2025
20/06/2025
20/06/2025

NON È SOLO STRESS!

Benvenuti ad un nuovo episodio di “Commenta che ti passa.. dove i tuoi commenti trasformano i nostri post!”

Francesca è seduta al tavolo della cucina. È mattina presto. Davanti a lei, la tazza del caffè si è già raffreddata. Tiene una mano sulla spalla, appena sotto il collo. Ha lo sguardo basso. Si sfiora quella zona che da settimane le dà fastidio, come se volesse sciogliere qualcosa che non si lascia prendere.

“Non lo so. Ho fatto risonanza, RX, visite neurologiche. Tutti mi dicono che è solo stress. Ma io lo sento: qualcosa tira. Come un peso tra scapola e orecchio. E a volte mi gira anche un po’ la testa.”

Questa storia non è solo di Francesca. È di tante persone che sentono un dolore “che non si vede”. Che non lascia tracce chiare sugli esami, ma che incide sul modo in cui cammini, guidi, lavori, dormi. Una tensione sottile, ma sempre presente.

E allora iniziamo da qui. Non dai referti, ma da ciò che senti.

Prova a fare questo semplice test.

Siediti bene, con la schiena dritta.
Inspira. Ora gira lentamente la testa verso destra, poi abbassa il mento come se volessi annusare l’ascella destra.

Senti ti**re a sinistra? Una tensione che parte dal collo e scende verso la scapola?

Ora prova dall’altro lato.

Se senti un fastidio profondo, come un “filo teso” che non molla.. potresti aver appena incontrato l’elevatore della scapola.

Un muscolo di pochi centimetri. Che però può mandarti fuori asse. Letteralmente.

Si attacca alle prime vertebre cervicali (C1–C4) e si inserisce sulla scapola. Il suo lavoro è quello di sollevare e stabilizzare quella parte del corpo che chiamiamo “spalla”, ma che in realtà è molto di più: è parte di un intero sistema posturale.

L’elevatore della scapola non ama gli sforzi eccessivi. Ma ancor meno ama le tensioni croniche. Quelle emotive, quelle da scrivania, quelle da guida nel traffico, quelle da “sopportazione”.

Perché lui, come altri muscoli profondi del collo, si accende quando la mente si chiude. Si attiva quando trattieni il respiro. Quando serri la mandibola. Quando alzi le spalle.. senza nemmeno accorgertene.

Ecco perché spesso viene ignorato: perché è l’effetto di qualcosa di più grande. Ma proprio per questo, va ascoltato. Va trattato. Va rieducato.

Loredana lo ha capito dopo 18 mesi di dolore cervicale. Ha provato di tutto: fisioterapia, infiltrazioni, ozonoterapia. Ma il dolore tornava. Poi ha iniziato a respirare. A lavorare sul corpo con lentezza, consapevolezza, ascolto.

E il dolore ha cominciato a mollare.

Salvatore, invece, faceva l’OSS. Giorni interi a sollevare, girare, accompagnare pazienti.

“Mi fa male dietro la spalla, mi prende anche il deltoide e a volte mi punge sul pettorale. Possibile?” Sì. Possibile. Se chi dovrebbe sostenerti è sempre in trazione.

E poi c’è Rosa, che ha scoperto l’esistenza dei trigger point: nodi muscolari iperattivi, capaci di generare dolore irradiato anche in zone distanti. Non sono lesioni. Ma sanno essere debilitanti quanto un’ernia.

Il bello è che questi problemi non richiedono soluzioni complesse, ma un piano semplice e strutturato. Un approccio funzionale, non improvvisato. Personalizzato, non standard. Un lavoro su respiro, postura, carico e attenzione.

Se ti sei ritrovato in tutto questo, allora forse è il momento di fare qualcosa di diverso. Non qualcosa di complicato o straordinario. Ma qualcosa di essenziale.
Come ritrovare il gesto semplice di piegare il collo senza sentire un gancio tra scapola e testa. Come respirare senza che il torace si sollevi come una corazza ogni volta che l’aria entra. Come stare in piedi senza sentire di dover sempre “tenere tutto su”, anche quando non c’è nulla da reggere.

Francesca, la protagonista di questa storia, ha iniziato con poco. Si sedeva ogni mattina sul divano, appoggiava i piedi per terra, chiudeva gli occhi. Ruotava lentamente la testa, provava a inclinarsi, sentiva ti**re. Ma stavolta non si fermava al dolore. Ci entrava dentro. Lo ascoltava. E poi lo allungava. Un po’ per volta.
Come si fa con una corda che ha fatto il nodo.

Loredana, invece, teneva una pallina da tennis nello zaino. Ogni pausa al lavoro era buona per appoggiarsi al muro e fare qualche piccolo movimento, come per dire al suo corpo: “Lo so che ci sei. Ti sento. Ci lavoro”. Non erano manovre miracolose.
Erano atti di consapevolezza, ripetuti con costanza.

E poi c’era quel momento della sera. Quando si sdraiava. Le mani sull’addome, gli occhi chiusi, il cellulare spento. Provava a respirare non con il petto, ma con la pancia. Le prime volte era difficile. Era abituata a trattenere. Ma piano piano, con ogni espirazione, sentiva che qualcosa si abbassava. Non solo il diaframma. Anche la soglia di allerta.

Perché il corpo non vuole prestazioni. Vuole presenza. Vuole che qualcuno si fermi e gli dica: “Ok. Ho capito. Non sei rotto. Sei stanco. Ti rimetto in ascolto.”

E da lì, comincia il cambiamento vero.

Non con il miracolo, non con la bacchetta magica. Non con la manipolazione fine a se stessa. Ma con la rieducazione dolce e potente del gesto quotidiano. Il gesto di voltarti senza paura. Di stare seduto senza crollare. Di dormire senza svegliarti rigido.

È questo il trattamento che funziona.
Non quello che toglie il sintomo, ma quello che ti insegna a non farlo tornare.

E allora, se anche tu hai vissuto questo dolore invisibile, se hai sentito quella tensione che gli altri non vedono.. Forse è tempo di cambiare la domanda.

Non più: “Che cos’ho?”
Ma: “Cosa posso fare, oggi, per stare meglio?”

E magari, come Francesca, potrai scoprire che a volte, bastano piccoli gesti ripetuti per sciogliere un peso che sembrava impossibile da portare, per eliminare il dubbio di avere un male difficile da curare, quando in realtà si trattava solo di ascoltare meglio il tuo corpo.

La scienza ci conferma che il coinvolgimento dell’elevatore della scapola può mimare una patologia cervicale o addirittura una nevralgia. Può creare dolore retro-auricolare, occipitale, scapolare. Può alterare il tuo schema posturale.
Ma la clinica, più degli esami, a raccontarci la verità.

Ecco perché la fisioterapia non deve limitarsi a “rilassare il muscolo”. Deve riconfigurare il tuo modo di stare nel corpo. Ti insegna a non tornare più al punto di partenza.

Forse oggi non hai scoperto una nuova malattia. Ma hai riconosciuto un vecchio schema. E questo, credimi, è molto più importante.

Ti va di raccontare anche tu quel “filo teso” che nessuno vede ma tu senti ogni giorno? Quel peso strano, quel dolore che non appare da nessuna parte.. ma c’è?

Scrivilo nei commenti. Le vostre parole non sono solo testimonianze: sono il motore di questa rubrica. E magari, la tua storia sarà la prossima da cui partire.

20/06/2025
14/04/2025
04/04/2025

Scopri consigli pratici e approfondimenti sul benessere fisico e la fisioterapia. Leggi i nostri articoli su EduCare Fisio.

01/04/2025

Dolore al piede interno? Non è la fascite plantare… È LUI IL COLPEVOLE!
Post educativo, clinico e illuminante (che pochi ti fanno davvero).

Hai dolore alla parte interna della caviglia o del piede, specie dopo lunghe camminate, salite o dopo una giornata in piedi? Potresti avere una disfunzione del TENDINE DEL TIBIALE POSTERIORE.

Cosa fa questo tendine?

Il muscolo tibiale posteriore è uno dei principali stabilizzatori dell’arco plantare.
Il suo tendine passa dietro il malleolo mediale e si inserisce su più ossa del piede, principalmente sul navicolare.

La sua funzione? Sorreggere l’arco longitudinale mediale (cioè impedire che il piede “collassi” verso l’interno), partecipare alla supinazione e all’inversione del piede, stabilizzare ogni singolo passo

E quando fa male?

Quando è sovraccaricato, infiammato, stirato o degenerato, ecco cosa puoi percepire: dolore interno alla caviglia o al mesopiede, piede che tende a “cedere” verso l’interno, arco plantare che si abbassa progressivamente, gonfiore nella zona tra malleolo e navicolare, difficoltà nei movimenti monopodalici (alzarti su un piede solo ad esempio?)

Ecco la parte sconvolgente!

Molte diagnosi di “fascite plantare” sono in realtà tendinopatie del tibiale posteriore. Sì, il dolore è più avanti. Ma l’origine del problema è più in alto.
Se non tratti il vettore biomeccanico corretto, il dolore torna… sempre.

Cosa provoca la disfunzione del tibiale posteriore?

Piede piatto

Calzature inadeguate (scarpe troppo morbide o consumate)

Allenamenti eccessivi senza recupero

Debolezza dell’arco plantare e del core

Disfunzioni più alte: anche il bacino e l’anca influiscono!

Ti svelo un segreto clinico che pochi considerano: il tibiale posteriore è il miglior amico del medio gluteo. Se non alleni e coordini insieme piede e anca, il problema non lo risolvi mai.

E quindi? Ho dolore al piede interno, che devo fare? Prima di correre a fare plantari o fare stretching all’arco… fatti valutare il tendine giusto. Magari non è la fascia che urla, ma un tendine stanco di fare da solo il lavoro di tutto il piede.

Se ti riconosci in questa descrizione, faccelo sapere. Potrebbe non essere solo una tendinopatia… ma un errore posturale che ti accompagna da anni. 😉

E se vuoi approfondire, ecco un articolo sul tibiale posteriore!

https://educarefisio.com/2016/05/19/il-muscolo-tibiale-posteriore/

31/03/2025

Ed eccoci di nuovo insieme in questo lunedì di “Anatomia Spassosa: esploriamo il corpo umano con un sorriso!” 🎉

Oggi esploriamo un tunnel nascosto nel retro del malleolo interno, una sorta di “passaggio segreto” per nervi e vasi che attraversano la caviglia: il tunnel tarsale! È come il cugino meno famoso del tunnel carpale, ma lavora s**o per tenere attiva e sensibile tutta la pianta del piede. Pronti a scoprire come? 😊

Cos’è e dov’è?

Il tunnel tarsale è uno stretto passaggio situato sotto il malleolo mediale (la “pallina” interna della caviglia), formato da:

- Osso astragalo e calcagno (parete ossea)
- Retinacolo dei flessori (una banda fibrosa che fa da “tetto”)

Al suo interno scorrono:

- il nervo tibiale posteriore
- l’arteria e la vena tibiale posteriore
- i tendini dei muscoli flessore lungo dell’alluce, flessore lungo delle dita e tibiale posteriore

Curiosità divertente:

Il tunnel tarsale è come un condotto di servizio per il piede! Un po’ come quei passaggi sotterranei nei film d’azione, nascosti ma fondamentali. Se qualcosa si incastra o si gonfia là dentro, il nervo si irrita… e il piede inizia a “protestare” con formicolii e bruciori! 🔥😅

Funzionamento buffo

Immagina il tunnel tarsale come una galleria a senso unico, dove passano fili elettrici (il nervo), tubi dell’acqua (le arterie e vene) e cavi di traino (i tendini). Se lo spazio si restringe, tutto rallenta o si inceppa. Il piede può diventare “intorpidito” come un cavo telefonico piegato! 📞🧠

Il tunnel tarsale nella vita di tutti i giorni

Ogni volta che cammini, salti o stai in piedi a lungo, il tunnel tarsale si adatta al movimento della caviglia. Ma se lo metti sotto stress continuo (scarpe strette, sovraccarico, pronazione eccessiva…), può irritarsi e causare dolori o formicolii nella pianta del piede. 👣

Parole complicate, spiegate semplici

- nervo tibiale posteriore: èil nervo che attraversa il tunnel e si ramifica nella pianta del piede, portando sensibilità e comandi muscolari.

- retinacolo dei flessori: una struttura fibrosa che “copre” il tunnel, mantenendo tendini e nervi in posizione.

- sindrome del tunnel tarsale: è una compressione del nervo tibiale, simile alla sindrome del tunnel carpale, ma nel piede.

Come può soffrire?

Sindrome del tunnel tarsale: quando il nervo tibiale viene compresso, puoi avvertire:

- bruciore o scosse elettriche nella pianta del piede
- intorpidimento delle dita
- dolore che peggiora camminando o stando in piedi

Le cause? Scarpe inadeguate, traumi, piedi piatti, ritenzione idrica o cisti nel tunnel.

Momento educativo leggero

Per prenderti cura del tuo tunnel tarsale:

- scegli scarpe comode e ben ammortizzate
- lavora sulla mobilità della caviglia e del piede
- esegui esercizi di rafforzamento e stretching del tibiale posteriore
- se senti formicolii persistenti… è il caso di farlo valutare da un professionista sanitario!

Curiosità scientifica

Il tunnel tarsale è stato descritto come l’equivalente plantare del tunnel carpale, ma è spesso sottodiagnosticato! Uno studio pubblicato su Foot & Ankle International ha evidenziato che una corretta diagnosi richiede spesso un mix di esame clinico, test provocativi (come il Tinel test sul malleolo mediale) e risonanza magnetica.

Conclusione

La prossima volta che i tuoi piedi si fanno sentire con strani formicolii o fastidi, pensa al tunnel tarsale: è lì che tutto passa e può bloccarsi! Prenditene cura e continuerà a fare il suo lavoro silenziosamente.

Ci vediamo la settimana prossima per esplorare un’altra meraviglia del corpo umano, sempre con il sorriso! 😊

30/03/2025

La pubalgia, nota anche come sindrome retto-adduttoria, è una delle patologie più temute da calciatori, runner e atleti che eseguono movimenti esplosivi con gli arti inferiori. Si manifesta con dolore nella regione pubica, inguinale o sulla parte interna della coscia, spesso peggiorando con l’attività fisica e compromettendo le prestazioni sportive.

Anatomia coinvolta

Il problema nasce dall’interazione tra muscoli adduttori e retti dell’addome. Questi due gruppi muscolari si inseriscono sul p**e e, in caso di squilibrio, possono creare sovraccarichi e infiammazione sulla sinfisi pubica.

I principali responsabili sono:

Muscoli adduttori (Adduttore lungo, breve e grande, pettineo, gracile) → Sollecitati nei movimenti di chiusura delle gambe e nei cambi di direzione.

Muscoli retti dell’addome → Importanti per la stabilizzazione del core e il trasferimento di forza tra tronco e gambe.

Muscolo ileopsoas → Se troppo rigido, altera la dinamica del bacino e può contribuire alla disfunzione biomeccanica.

⚠️ Perché si manifesta la pubalgia?

Le cause principali includono:

- squilibrio tra muscoli adduttori e retti dell’addome → Se gli adduttori sono troppo contratti o i retti addominali troppo deboli, il p**e diventa il punto di compensazione.

- sovraccarico funzionale e microtraumi ripetuti → Sport come il calcio, il rugby o il tennis richiedono movimenti esplosivi e improvvisi cambi di direzione, aumentando il rischio.

- deficit di mobilità dell’anca e del bacino → Un’alterata biomeccanica può creare tensioni eccessive sui tessuti molli della regione pubica.

- rigidità lombare e instabilità del core → Se la stabilità del tronco è compromessa, gli adduttori vengono sovraccaricati per compensare la mancanza di controllo.

Valutazione e strategie di trattamento

📌 Test clinici per la diagnosi:

Test di squeeze → Il paziente stringe le ginocchia contro resistenza, evocando dolore pubico.

Test di resistenza adduttoria → Valutazione della forza e del dolore sugli adduttori.

Palpazione della sinfisi pubica → Per identificare infiammazione o sensibilità locale.

📌 Trattamento e prevenzione:

Rieducazione posturale e core stability → Rinforzare gli addominali profondi e migliorare il controllo del bacino.

Stretching e mobilità dell’anca → Migliorare la flessibilità degli adduttori e del comparto anteriore del bacino.

Tecniche di terapia manuale → Per ridurre tensioni miofasciali e migliorare la funzione muscolare.

Potenziamento graduale e ritorno allo sport → Rinforzare progressivamente i gruppi muscolari coinvolti per evitare recidive.

Conclusione

La pubalgia non è un semplice fastidio, ma un campanello d’allarme biomeccanico. Ignorarla significa rischiare di aggravare la situazione e allungare i tempi di recupero. L’approccio giusto prevede un lavoro mirato su mobilità, stabilità e forza per garantire una ripresa completa e duratura.

⚠️ Se avverti dolore pubico persistente, non aspettare! Un’analisi biomeccanica approfondita e una strategia di trattamento personalizzata sono fondamentali per risolvere il problema alla radice.

18/01/2025
30/01/2024

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