14/12/2025
A volte mi capita di dover tornare a frequentare la scuola per lavoro. Quando succede, cerco di arrivare sempre in anticipo: mi concede il lusso di fare il flâneur tra quei corridoi liminali. Mi piace perdermi a osservare cosa hanno da raccontarmi i muri degli istituti, come fossero capsule del tempo.
Oggi ero in commissione d’esame, ma prima di entrare nel ruolo di esaminatore ho camminato in un corridoio qualunque, guardando pareti qualunque, nel ruolo di esploratore. In questi panni è facile imbattersi in reperti di 20 o 30 anni fa.
Appesi alle pareti ho trovato alcuni manifesti. F***a all’anima: chi, come me, è cresciuto negli anni ’90 li riconoscerà subito. Quelle grafiche, quei tratti un po’ ingenui, quei messaggi orientati all’amore e all’uguaglianza. Questa era l’aesthetic scolastica dei millennials.
Trent’anni fa le scuole erano letteralmente tappezzate di parole come equità, sobrietà, rispetto. Scorgo una citazione di Don Milani che campeggia su un cartellone verde: “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali fra disuguali”. C’è la critica al consumismo sfrenato, definito un “saccheggio”. C’è l’invito a non essere “eterni lattanti che strillano per il poppatoio” (chissà in quanti oggi avrebbero droppato un ❤️ a Erich Fromm).
Una strana commistione di nostalgia e disagio si sono impadronite di me.
Ho realizzato che oggi, in molte scuole, questi poster non ci sono più. Al loro posto trovo inni alla "performance", al "successo", alla "competizione", o quella che Galimberti definirebbe la "dittatura della Technè": la tecnica non più come mezzo, bensì come fine ultimo. L'efficienza a discapito dell'essenza. Ma la tecnica senza etica è solo potenza. E la potenza, senza cuore, è solo un' altra forma elegante di violenza.
Il punto è che il cervello impara anche “lateralmente”: per esposizione, per apprendimento implicito, per priming. Ciò che vedi ripetutamente diventa normale, possibile, pensabile. E a forza di essere pensabile, diventa agibile. Forse è anche per questo che, da bambino cresciuto negli anni ’90, bulli, prepotenza e disuguaglianza ho imparato a riconoscerli subito. Per noi Sid Phillips faceva il cattivo e andava sconfitto, punto.
E poi un’altra domanda mi ha scosso: cosa accadrebbe se questi manifesti venissero stampati e appesi oggi?
Diverrebbero quasi certamente un caso mediatico. Sarebbero immediatamente etichettati. Strumentalizzati. Attaccati. Concetti universali come “amore”, “uguaglianza” e “rispetto per il diverso” sono stati sequestrati dalla polarizzazione politica. Quello che trent’anni fa era educazione civica e umana, oggi diventa terreno di scontro ideologico. In pratica non puoi criticare le falle di un sistema senza passare per “polemico perdigiorno”, senza rischiare di sentirti dire da qualche prepotente raccomandato: “povero comunista”.
Perché stiamo permettendo tutto questo?
La psicologia ci aiuta a capire il fenomeno. Esiste un meccanismo primitivo che chi lucra su attenzione, paura e controllo (tecnocapitalisti sto guardando voi) conosce benissimo: il cosiddetto sequestro amigdaleo. Viviamo bombardati da messaggi di minaccia. Quando il cervello resta in stato di allerta (survival mode), l’amigdala prende il sopravvento sulla corteccia prefrontale: la sede del ragionamento, dell’empatia, della pianificazione a lungo termine. In altre parole: si riduce l’inibizione corticale e diventiamo più reattivi, più impulsivi, più governati da emozioni e istinti.
Il risultato?
Siamo meno capaci di processare la complessità. La sfumatura ci spaventa. Abbiamo bisogno di nemici, non di soluzioni. Se mi parli di “equità”, un’amigdala iper-stimolata dalla narrazione mediatica non sente “giustizia”: sente “minaccia al mio status”.
Se mi parli di “sobrietà”, non sente “sostenibilità”: sente “privazione della mia libertà di esprimermi”.
Poi ci chiediamo perché si diventa “più duri”, più cinici, più anestetizzati.
Perché la devianza scende di età.
Perché l’umiliazione diventa intrattenimento.
Perché il bisogno di appartenenza, se non trova valori, si attacca a un branco. E il branco, spesso, si nutre di dominio.
Bandura ci ha insegnato che impariamo osservando e imitando. Se togliamo dai muri (e dagli schermi) i modelli di cooperazione, sobrietà e rispetto, e li sostituiamo con modelli di prevaricazione, successo facile e narcisismo, cosa pensiamo di ottenere tra 30 anni?
Guardate queste foto. Guardate come un tempo avevamo il coraggio di dire ai ragazzi che il denaro non si mangia e che l'economia non deve uccidere. Oggi abbiamo paura di dirlo, per non offendere il "mercato" o per non sembrare faziosi.
Da quando avere buonsenso è diventata una posizione politica?
Io voglio potermi dire a favore dei deboli senza per questo essere definito buonista o comunista, e non perchè non voglia avere niente a che fare con questi termini, d'altronde preferirei mille volte essere definito "comunista" che "fascista", semplicemente perchè non voglio che sia leso il mio diritto all'espressione *apartitica* della decenza umana.
Quei cartelloni non erano moralismo.
Erano prevenzione.
Un promemoria quotidiano che ti diceva: “Ricordati che, prima di essere produttivo, sei umano. Ricordati che la vita vale più della performance. Ricordati che il mondo non è un all you can eat.”
E allora penso che la nostra mente somigli un po’ a quei corridoi.
Chissà tra trent’anni cosa raccoglieremo, se alle pareti che abbiamo nella testa lasceremo appesi soltanto i cartelloni con su scritto: risultati, competenze, ranking e non quelli con su scritto: amore, uguaglianza, rispetto.