01/12/2025
La vicenda di Mariangela Attolico, giovane ragazza di Bari, laureata in ingegneria biomedica e dotata di robusta determinazione ci ha colpito due volte. Di sicuro perché conosciamo Mariangela da molto tempo, e le abbiamo dato una mano nella costruzione della sua traettoria di vita coniugando studio, tempo libero e risorse pubbliche che ti aiutano ad essere indipendente. Ma ci ha colpito perché ci ha ricordato che nonostante sforzi e impegno i luoghi comuni sono come l’erba cattiva: duri a morire.
Questa vicenda che vede Mariangela assieme a tanti e tante altre ci ricorda quanto il cammino verso un lavoro, figuriamoci poi se dignitoso e con il giusto compenso, sia ancora pieno di ostacoli ingiustificabili.
Mariangela ha ricevuto solo rifiuti. Non per mancanza di competenze, non per carenza di motivazione, ma per una disabilità che, invece, non le ha impedito di laurearsi brillantemente.
I no sono sempre più facili dei si. Si accordano con straordinaria rapidità. L’ultimo “no” è arrivato perfino per un ruolo da centralinista, con la motivazione che “se la disabilità supera il 75% non possiamo assumerla”. Una risposta che racconta forse qualcosa di più dei pregiudizi di chi la pronuncia che delle reali possibilità di Mariangela.
Come impresa sociale, siamo ogni giorno dentro e a fianco a questi scenari: lavoriamo per rimuovere barriere, creare opportunità e supportare persone che, come Mariangela, chiedono solo ciò che spetta a tutti: un’occasione.
Non la pietà, non la concessione, ma il riconoscimento del proprio valore.
Condividiamo questo articolo perché crediamo che la storia di Mariangela sia ancora la storia di tanti e tante.
È la storia di un mondo del lavoro sempre meno accessibile.
Perché il collocamento non si misura sempre in percentuali di disabilità, ma in capacità, impegno e potenzialità.
Mariangela te lo diciamo in inglese: don’t give up the fight.
Disposta a tutto, anche a volare basso, pur di lavorare. Ma finora Mariangela Attolico, 24enne di Bari, ha fatto soltanto incetta di “no”. E il motivo è da ricercarsi – o meglio: tale è la ragione addotta da chi di dovere – nella sua condizione di disabilità, che la obbliga alla carrozzina e le rende necessaria una forma di assistenza. Ma che di fatto non le è stata da ostacolo nel conseguimento di una laurea, in ingegneria biomedica, anche in tempi brevi, che ben altre prospettive le aveva offerto in dote. Certo qualcosa di diverso dalla candidatura come centralinista, presentata all’esito di un muro di rifiuti, e pure respinta al mittente. “Se la disabilità supera il 75 per cento non possiamo assumerla”, la risposta dell’azienda, lapidaria, ma non meno delle altre.
L'articolo completo di Vincenzo Pellico su Repubblica