BEP BenEssere Persona - Dott.ssa Sara Loffredo Psicologa Psicoterapeuta

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BEP BenEssere Persona - Dott.ssa Sara Loffredo Psicologa Psicoterapeuta Il Ben-Essere diventa una realtà concreta quando passa per la cura complessiva di sé.

Il Ben-Essere diventa una realtà concreta quando passa per una cura globale di sé, che intreccia il corpo, la mente e le relazioni col mondo.

03/11/2025

Nel campo di concentramento, gli diedero un numero: 119104.
Ma ciò che cercarono più di tutto di spezzare… fu proprio ciò che finì per salvare milioni di vite.

1942 Vienna.

Viktor Frankl aveva trentasette anni. Psichiatra rispettato, carriera promettente, un manoscritto quasi terminato e una moglie, Tilly, il cui sorriso era capace di riempire una stanza.

Aveva un visto per l’America. Un biglietto per la salvezza.
Ma i suoi genitori anziani non potevano seguirlo.
E così rimase.

Pochi mesi dopo, i nazisti vennero per tutti loro.
Theresienstadt. Poi Auschwitz. Poi Dachau.

Il manoscritto a cui aveva dedicato anni — cucito con cura nella fodera del cappotto —
gli fu strappato via appena arrivato.
La sua opera. Il suo scopo. Ridotti in cenere.

I suoi vestiti furono presi. I capelli rasati. Il nome cancellato.
Sulle carte d’ammissione restava solo un numero: 119104.

Ma c’è una cosa che i carcerieri non avevano capito:
puoi togliere a un uomo tutto — il nome, i beni, il futuro.
Ma ciò che sa… non glielo puoi rubare.

E Viktor Frankl sapeva qualcosa sulla mente umana.
Qualcosa che gli avrebbe salvato la vita.
E cambiato per sempre la storia della psicologia.

Nei lager, notò un pattern.
I prigionieri non morivano solo di fame, freddo o malattia.
Morivano quando perdevano il loro “perché”.

Quando un uomo smetteva di credere in qualcosa — una persona da rivedere, una promessa da mantenere, un lavoro da finire —
il suo corpo crollava in pochi giorni.
I medici avevano perfino un termine per questo: give-up-itis, la malattia dell’abbandono.

Ma chi restava ancorato a un senso —
resisteva. Anche all’indicibile.

Frankl cominciò un esperimento.
Non in un laboratorio. Ma nelle baracche.

Si avvicinava ai prigionieri sul punto di cedere e sussurrava:
“Chi ti aspetta?”
“Qual è il lavoro che ti resta da finire?”
“Cosa diresti a tuo figlio, per sopravvivere a tutto questo?”

Non poteva offrire cibo, né libertà.
Ma poteva offrire qualcosa che nemmeno i nazisti potevano confiscare:
una ragione per vedere il domani.

Uno sopravvisse pensando alla figlia.
Un altro per finire una teoria scientifica.

Frankl, invece, sopravvisse riscrivendo mentalmente il suo libro.
Pagina dopo pagina. Nella notte delle baracche.

Aprile 1945. La liberazione.

Pesava 38 chili. Le ossa sporgevano sotto la pelle.
Tilly era morta. Sua madre. Suo fratello. Tutto ciò che amava, distrutto.

Avrebbe avuto ogni motivo per arrendersi.
Ma non lo fece.

Si sedette.
E cominciò a scrivere.

Nove giorni.
Tanto gli bastò per riscrivere, solo con la memoria, il libro che i nazisti gli avevano bruciato.

Ma questa volta, dentro c’era qualcosa che mancava all’originale:
la prova.

La prova che la sua teoria non era solo filosofia. Era sopravvivenza.

La chiamò Logoterapia — la terapia del significato.
Un’idea semplice, ma rivoluzionaria:
l’essere umano può sopportare quasi tutto… se ha un perché per farlo.

“Chi ha un perché abbastanza forte, può sopportare quasi ogni come.”
(Le parole erano di Nietzsche, ma Frankl le aveva dimostrate all’inferno.)

1946 Il libro viene pubblicato.

In tedesco: Trotzdem Ja zum Leben sagen — Dire sì alla vita, nonostante tutto.
In inglese: Man’s Search for Meaning.

Gli editori inizialmente lo rifiutano.
“Troppo cupo”, dicono.
“Chi vorrebbe leggere dei campi di concentramento?”

Ma piano piano, il libro si diffonde.
Terapisti piangono leggendolo.
Prigionieri vi trovano speranza.
Persone distrutte da malattie, perdite, divorzi, fallimenti…
capiscono che anche il dolore può avere un senso.

L’impatto è immenso.

Tradotto in più di 50 lingue.
Oltre 16 milioni di copie vendute.
La Biblioteca del Congresso lo inserisce tra i 10 libri più influenti d’America.

Ma ciò che conta davvero è altro.
È chi, nella sua notte più buia, l’ha letto
e ha deciso di resistere ancora un giorno.

Perché Viktor Frankl ha dimostrato ciò che i nazisti non sono riusciti a distruggere:
puoi togliere tutto a un essere umano — la libertà, la famiglia, il futuro, la speranza —
ma resta sempre una libertà finale:
quella di scegliere il significato da dare a ciò che ci accade.

Non possiamo controllare ciò che ci succede.
Ma possiamo sempre scegliere cosa farne.

Oggi, Viktor Frankl non è più tra noi.
Ma nelle corsie degli ospedali, negli studi dei terapeuti, nelle carceri,
nei momenti silenziosi in cui qualcuno si chiede se valga la pena andare avanti —
le sue parole risuonano ancora:

“Quando non possiamo più cambiare una situazione, siamo chiamati a cambiare noi stessi.”
“Si può togliere tutto a un uomo, tranne una cosa: la libertà di scegliere il proprio atteggiamento davanti a qualsiasi circostanza.”

I nazisti gli diedero un numero.

La Storia gli ha dato l’immortalità.

Perché l’uomo che ha perso tutto…
ha insegnato al mondo che il senso è l’unica cosa che nessuno potrà mai portarci via.

Il prigioniero 119104 non si è solo salvato.

Ha trasformato la sofferenza in guarigione.

E da qualche parte, stanotte, qualcuno sul bordo del baratro leggerà le sue parole
e deciderà di restare. Ancora un giorno.

Questa non è semplice sopravvivenza.

È una vittoria sulla morte stessa.

-𝑅𝑎𝑐𝑐𝑜𝑛𝑡𝑜 𝑖𝑠𝑝𝑖𝑟𝑎𝑡𝑜 𝑎 𝑒𝑣𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑖𝑐𝑖 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑎𝑐𝑐𝑎𝑑𝑢𝑡𝑖, 𝑐𝑜𝑛 𝑎𝑙𝑐𝑢𝑛𝑖 𝑒𝑙𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑛𝑎𝑟𝑟𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖 𝑡𝑟𝑎𝑡𝑡𝑖 𝑑𝑎 𝑓𝑜𝑛𝑡𝑖 𝑏𝑖𝑜𝑔𝑟𝑎𝑓𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑒 𝑡𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑜𝑛𝑖𝑎𝑛𝑧𝑒 𝑜𝑟𝑎𝑙𝑖.

𝗩𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗦𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮

25/10/2025
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16/10/2025

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01/10/2025

Smartphone sì, smartphone no? E a quale età è giusto regalarlo ai propri figli? È una domanda alla quale la scienza prova a rispondere da tempo, e gli studi sono concordi nell'affermare che sia meglio più tardi piuttosto che troppo presto.
Ora una nuova ricerca sostiene che dare in mano a un minore di tredici anni un cellulare potrebbe compromettere la sua salute mentale, e che dunque la scelta migliore sia attendere (almeno) oltre quell'età. 👉 https://bit.ly/SmartphoneBambini

10/09/2025
...perchè non è detto che la relazione "giusta" sia quella che intendono gli altri
21/08/2025

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LA SOLUZIONE MAGICA Negli ultimi tempi mi sono ritrovata spesso di fronte alla richiesta, da parte dei miei pazienti, di...
07/08/2025

LA SOLUZIONE MAGICA

Negli ultimi tempi mi sono ritrovata spesso di fronte alla richiesta, da parte dei miei pazienti, di "dire loro qualcosa", che implicitamente significa dare una risposta, offrire una soluzione, fornire esattamente ciò di cui l'altro ha bisogno e che noi, come maghi potenti o sciamani, certamente sappiamo e abbiamo in serbo da ti**re fuori, quasi come un coniglio dal cilindro di un prestigiatore.

Più vado avanti ascoltando storie, esplorando le profondità dell'animo insieme ai pazienti, scambiando riflessioni sulle cose, e più mi rendo conto - e mi convinco - che questa verità ultima non è assolutamente nelle nostre tasche, quelle del professionista che, al massimo, al loro interno possono portare un lanternino (metaforicamente parlando) utile a rischiarare la strada che si sta percorrendo, insieme, ma che resta ignota ad entrambi.
Una immagine che amo molto e che, ogni volta che la riporto alla mente, mi restituisce rinnovato il senso di questo percorso, è quella del compagno di viaggio: due viandanti, che procedono lungonun sentiero che nessuno dei due ancora conosce; l'unica differenza fra i due sta nell'esperienza di cammino acquisita.

Per cui, la risposta che in tanti anelano non sta in una destinazione di arrivo che può essere indicata, ma nella sicurezza - incontestabile - che, da qualche parte, una meta c'è.
Si tratta solo di scoprirla, e di mantenere costante la curiosità e la pazienza necessarie a trovarla.

05/08/2025

Una mia paziente, 15 anni, entra in seduta e mi dice:
“Il mio ragazzo mi ha fatto Banksying.”
Io resto un attimo in silenzio.
“Cosa?”
E lei mi spiega, con una lucidità che spaventa:

“Non mi ha lasciata. È sparito. Ha tolto la foto insieme, non risponde più. Ma ha lasciato una frase nelle storie. Una di quelle citazioni strane. E un cuoricino nero. E niente. Basta.”
Banksying.

Sì, perché ora non si fa più ghosting.
Ora si sparisce con stile.
Si lascia un segno, un messaggio in codice, qualcosa di ambiguo.
Ma non si parla.
Non si guarda in faccia.
Non si dice: “Sto finendo.”

Banksying è il nuovo modo “elegante” di evitare la fatica emotiva.
Un addio che sembra arte, ma è solo evitamento.
Un gesto che ti fa sembrare profondo, mentre in realtà stai solo scappando.

Da psicoterapeuta ti dico questo:
chi fa Banksying non sta comunicando.
Sta cancellando.
Sta togliendo la propria presenza lasciando in cambio un rebus.
E chi lo subisce rimane lì: a cercare il significato di un silenzio che non ha avuto il coraggio di diventare parola.

E no, non è romanticismo.
È confusione.
È immaturità.
È la pornografia dell’ambiguità emotiva.

La maturità è dire: “È finita.”
La vigliaccheria è lasciare che l’altro lo intuisca.

19/07/2025

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Immagine di Vincent Van Love

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