26/06/2023
Anticipo di qualche ora (sto scrivendo la sera del 24). Perché è doveroso.
Il 25 giugno del 1982 usciva Blade Runner.
Per farvi capire l’importanza storica e culturale di questo film, vi dico solo che alla Scuola di Cinema sono riusciti a farci una lezione INTERA di un’ora solo sull’inquadratura dell’occhio che apre il film.
Con Blade Runner inizia ufficialmente l’era del cinema post-moderno, che vive di citazioni, omaggi, riferimenti, richiami rivolti direttamente - su più livelli - agli appassionati, agli esperti, agli addetti ai lavori.
Blade Runner ci parla di un futuro in cui la tecnologia sostituisce l’umanità in modo talmente perfetto da dover richiedere cacciatori esperti come Deckard (Harrison Ford) per stanarli e test complessi per confermarne la natura.
Nel momento in cui le macchine non sanno di essere macchine, l’ordine naturale delle cose viene sovvertito. Rachael (Sean Young) è l’emblema di come la manipolazione dell’uomo che gioca a fare Dio finisca sempre e comunque per ferire qualcuno. Perfino qualcuno che avrebbe potuto essere creato senza sapere cosa fosse la sofferenza.
Quindi cos’è che ci rende davvero umani? Il dolore?
No: l’empatia.
E oggi - a 41 anni dal debutto cinematografico del capolavoro di Ridley Scott, entrato di diritto nella storia culturale di tutto il mondo - Blade Runner e le sue modernissime riflessioni su cosa significhi essere UMANI, sono più attuali che mai.
Il mondo consumato e consumistico di Deckard da una parte e di Batty (il grande, indimenticato Rutger Hauer) dall’altra si pone e ci pone un interrogativo che avrebbe dovuto ormai essere risolto, a metà 2023.
E invece, l’involuzione che sembra aver preso il controllo della nostra specie - se possibile, oggi ancora più autodistruttiva di 40 anni fa - continua a richiedere una risposta.
Sperando che sia finalmente quella giusta.
E che non vada perduta… Come lacrime nella pioggia.