Dott. Antonio Marasco Psicologo

Dott. Antonio Marasco Psicologo Psicologo e Sessuologo Clinico
Esperto in
- Terapia Narrativa e Solution Building

01/11/2025

💥 IL CACTUS DI BELÉN: La Prova Lampante che, in Italia, la Violenza è "Di Genere", Ma Solo Quando Conviene.
(Attenzione, mettete il casco. Stiamo per far arrabbiare i paladini della doppia morale.)
Dunque, siamo qui. Dopo aver digerito l'ultima performance televisiva di Belén Rodriguez, tra lacrime in clinica, manzi e rivelazioni che hanno tenuto incollata l'Italia al divano. Ma c'è un dettaglio, buttato lì con la nonchalance di chi chiede un caffè, che non solo non possiamo ignorare, ma che deve diventare il punto centrale della nostra discussione sull'ipocrisia sociale.
Il momento clou? Quello in cui la showgirl, disarmante nella sua sincerità (o sfrontatezza, scegliete voi), ammette candidamente:
«Quando mi parte "la sudamericana" I miei fidanzati li ho menati tutti. Stefano De Martino è quello che ne ha prese di più. A uno gli ho lanciato un cactus!»

La Teoria del Cactus Comico
Ora, guardatevi attorno. Sentite l'aria. Cosa succede? Assolutamente nulla.
Il silenzio è assordante. È un silenzio di connivenza, di spallucce collettive. La violenza di un uomo su una donna è un reato gravissimo, è una piaga sociale, è l'apertura di ogni telegiornale. Giustissimo, sacrosanto. Ma la violenza di una donna su un uomo? Ah, quella diventa un simpatico aneddoto da bar, una gag divertente da raccontare in prima serata.
Proviamo a fare un giochino. Lo Switch del Genere.
Se De Martino si fosse seduto su quello sgabello, avesse strizzato l'occhio e avesse detto: "Quando mi parte 'il maschio alfa', le mie fidanzate le ho menate tutte. Belén è quella che ne ha prese di più. A una le ho tirato un vaso in testa!"
Voi cosa avreste fatto? Avreste chiesto l'immediata revoca della cittadinanza italiana per direttissima. Avreste organizzato una fiaccolata con le telecamere dietro. Avrebbe perso tutti i contratti, e sarebbe stato condannato mediaticamente a vita come il peggiore dei criminali. E avreste fatto bene!
Ma siccome a colpire è Belén—un'icona di bellezza, fragilità e forza, secondo la narrativa—allora il pugno, la violenza fisica, l'atto di lanciare un oggetto contundente (un cactus, santo cielo, con le spine!) si trasforma magicamente in:
* "Carattere." (Sì, un "carattere" da codice penale, ma vabbè).
* "Passionalità." (Che è come chiamare la mafia "gruppo di imprenditori con spirito d'iniziativa").
* "Una reazione a un amore tossico." (Quindi, lei vittima prima, e aggressore "autorizzato" dopo? Ottima logica circolare).

📣 L'Isteria a Senso Unico e il Lutto del Patriarcato
Il fatto che questa confessione sia stata accolta con una risatina è la prova più schiacciante della nostra doppia morale tossica. E sapete perché succede?
Perché ammettere che una donna possa essere la violenta, l'abusiva, la manesca (parole sue), fa crollare il comodo castello di carte su cui abbiamo costruito l'intera narrazione della "violenza di genere".
Siamo pronti ad accettare solo lo schema: Uomo = Lupo, Donna = Agnello. Se l'Agnello tira un morso, noi facciamo finta che stia scherzando, perché altrimenti dovremmo ammettere che l'Agnello è un po' più Lupo di quanto ci piaccia credere. E questo, per certi attivisti, è peggio di una bestemmia.
Il risultato? Gli uomini che subiscono in silenzio vengono ridicolizzati due volte: la prima dall'aggressore, la seconda da una società che dice loro: "Stai zitto. Sei un uomo, non puoi essere una 'vittima vera'. Ti ha lanciato un cactus? E beh, che maschio sei che non riesci a disarmare una donna?"
Ecco il vero scandalo: non il cactus, ma il silenzio complice che lo ha coperto. Fino a quando non saremo capaci di condannare la violenza a prescindere da chi la commette e chi la subisce, smettetela di parlare di parità. Siamo solo un circo di ipocriti che applica la legge e la morale con il bilancino del sesso. E questo, amici miei, è tragicamente ridicolo.
E ora, non stupitevi se sotto questo post compariranno i soliti commenti: "Sì, ma lei era in crisi..." o "Avrà esagerato un po'...". Quei commenti sono il vero monumento alla sconfitta del buon senso.
Fatemi sapere: il cactus era concimato bene o era di plastica? (Domanda retorica: è il nostro cervello che è di plastica).

31/10/2025

🛑 Sesso a Scuola: L'Elefante Nella Stanza Che Tutti Fingono di Non Vedere (E Perché Siamo Ridicoli)
Diciamocelo chiaramente, no? L'ostacolo più grande all'insegnamento dell'educazione sessuale a scuola non sono i programmi ministeriali. Non sono le ore nel piano didattico. E, onestamente, non sono nemmeno i "valori" delle famiglie – che spesso si riducono al panico da conversazione imbarazzante, diciamocelo.
L'ostacolo siamo noi. La nostra ipocrisia collettiva.
Guardatevi intorno un attimo: viviamo nell'era della p*rnografia a portata di click, dove i ragazzini assorbono una visione distorta, mercificata e spesso violenta della sessualità prima ancora di imparare a farsi la barba o a mettere il primo reggiseno. E cosa facciamo noi, gli adulti "responsabili"?
Facciamo la cosa più geniale che ci viene in mente: tappiamo le orecchie.

La Grande Farsa del "Non Ne Parliamo, Così Non Succede"
Il meccanismo è subdolo, ma prevedibile. Metti un genitore o un insegnante davanti al dilemma: "Dovremmo parlare apertamente di consenso, orientamento, piacere e salute riproduttiva in classe?"
La risposta non detta è sempre la stessa: "Mio Dio, no! E se poi gli diamo idee?"
Idee. Scusate se rido, ma... di quali idee stiamo parlando? Che la loro sessualità è normale? Che i loro corpi non sono tabù? Che un rapporto dev'essere consenziente, divertente e soprattutto, sicuro?
Davvero crediamo che non parlarne sia la soluzione? È come credere che, nascondendo la bolletta, il conto si paghi da solo. È una strategia che sfiora il ridicolo cosmico.
I Tre Pilastri della Nostra Codardia (Diciamolo Proprio Così)
Analizziamo i veri, imbarazzanti, veri motivi per cui questa roba non decolla seriamente nelle scuole:
1)L'Imbarazzo Adulto Come Barriera Istituzionale: Quanti insegnanti si sentono davvero a loro agio a gestire domande scomode come: "Prof, cosa succede se uno è intersessuale?" o "Come si fa a dire di no senza farla arrabbiare?" Pochi. Molto pochi. E invece di formarli bene, li lasciamo là, a sudare freddo e a rifugiarsi in uno sterile Bignami di biologia.
2) La Morale Contro la Scienza (E il Buon Senso): Appena si accenna a un programma serio, salta fuori qualcuno (sempre) a urlare alla "distruzione della famiglia" o all' "indottrinamento". Il fatto che stiamo parlando di salute pubblica – prevenire abusi, gravidanze indesiderate e malattie – viene sistematicamente ignorato a favore di una crociata etica fuori tempo massimo. Sai cosa ottieni con questo approccio? Ignoranza a livello istituzionale.
3)L'Assenza di Autorevolezza "Vera": Spesso, chi insegna la materia è delegato, svogliato o non ha la preparazione per uscire dalla diapositiva del pr********vo. Un ragazzino – e sono svegli, credetemi – capisce subito quando l'adulto sta recitando una parte o è a disagio. E se l'insegnante non ha autorevolezza sull'argomento, non ha una storia da raccontare, non ha passione, il messaggio non arriva. Fine della storia.
Ecco perché siamo bloccati. Non perché i ragazzi non vogliano sapere. Non perché il mondo sia troppo complicato.
Siamo bloccati perché abbiamo deciso che è più facile mantenere la testa sotto la sabbia e lasciare che i nostri figli imparino le cose importanti da siti web pieni di pop-up, piuttosto che assumerci la responsabilità di parlare con la verità, la scienza e, soprattutto, la serenità che meriterebbero.
E se questo non è un ostacolo insormontabile, beh, ditemi voi cos'è.

30/10/2025

🤯 "Dallo psicologo? Ma va' là, ci vanno solo i pazzi."

Ok, fermi tutti un attimo. Seriamente?
Ancora con 'sta storia nel 2025? E ogni volta che sento questa frase, "Dallo psicologo ci vanno solo i pazzi", non riesco a non trattenere una risata nervosa.
È una roba talmente vecchia, talmente sbagliata, che quasi mi viene il mal di testa. Ma capisco il punto, eh. È il classico copione che ci siamo portati dietro dalla nonna, dal film drammatico, dal cugino che "sa tutto". Un'etichetta grossolana, appiccicata sopra a una questione che è, boh, l'abc dell'essere umano?
Sai qual è la verità, detta tra noi, schietta schietta?
Il vero 'pazzo' – e usiamo questo termine vetusto e fuori luogo solo per capirci – non è chi ci va.
Il vero pazzo è chi non ci va, pur avendone un bisogno f...to.
Pensaci bene. Chi è l'individuo davvero fuori fase? Quello che ammette, con una dignità pazzesca, che la vita a volte è un casino ingestibile, che le sue dinamiche interiori sono un labirinto e che forse, dico forse, un navigatore esperto farebbe comodo? O quello che, con una testardaggine che rasenta il ridicolo, si lascia divorare dall'ansia, dalle relazioni tossiche, dalla rabbia repressa, e intanto ripete il suo mantra: "Io sono forte, non ne ho bisogno, sono loro i matti"?
Dai, su. Siamo seri.
Andare in terapia non è la prova che sei rotto. È la prova che sei intelligente. Che hai capito che la tua salute mentale è importante quanto (se non di più) quella fisica. Nessuno si vergogna di andare dal dentista quando ha un'infiammazione o dal fisioterapista quando si spacca un ginocchio, giusto? E allora perché cavolo dovremmo auto-sabotarci quando è la nostra testa a far cilecca?
Quindi la prossima volta che qualcuno ti spara fuori 'sta bo**ta del "solo i pazzi", fagli un sorriso. Un sorriso un po' così, tra l'ironico e il compatimento, e rispondigli: "Guarda, magari il vero coraggio non è quello di far finta che vada tutto bene. Magari il vero coraggio è mettersi in gioco. E sai una cosa? Quelli che lo fanno, di solito, sono i più sani di tutti. Anche se non lo sembrano... ancora."
È un cambio di prospettiva, tutto qui. E fa maledettamente riflettere.

29/10/2025

"Tu che sei psicologo dovresti saperlo/capire (e quindi essere d'accordo con me)."

Analisi di una frase LEGGERMENTE fastidiosa.

Cari colleghi psicologi, dedico anche a voi questi pensieri

👑 L'Onere della Convalida Suprema: L'Editoriale Sulla Trappola Psicologica da Salotto
Dai, quante volte l’avete sentita? Quella frase lì. Quella che, nel mezzo di una chiacchiera, o peggio, di un mezzo litigio, ti viene sparata addosso come un proiettile di saggezza popolare: "Tu che sei psicologo dovresti saperlo (e quindi dovresti essere d’accordo con me)."
Click. Scatta la trappola.
Io, appena sento quelle parole, mi chiedo: ma che film si fanno in testa? L'interlocutore, chiunque sia – il cugino alla cresima, l'amica troppo spirituale, il collega che ha letto un solo articolo su Wikipedia – non sta cercando un dialogo. Sta cercando un sigillo di garanzia notarile per la propria opinione. Non ti sta chiedendo di capire, ti sta chiedendo di convalidare.
E qui sta il capolavoro della manipolazione da gente comune: non solo devi decifrare il loro caos emotivo (il famoso "dovresti capirlo"), ma devi anche, automaticamente, chiudere la tua bocca e il tuo pensiero critico, annuendo come un bobblehead da cruscotto. Perché se non sei d'accordo con la loro tesi—che, diciamocelo, è spesso una semplificazione brutale di un meccanismo complesso—allora scatta il ricatto finale: sei difettato.
Certo che lo so! So che l'essere umano ha un bisogno patologico di sentirsi giusto. So che è molto più facile attaccare l'autorità che ammettere che il proprio ragionamento ha delle falle. E so che, in quel momento preciso, se non mi schiero, non sono più un buon psicologo (nella loro percezione), ma un nemico che non ha letto i manuali o, peggio, non ha cuore.
Il fatto è che la psicologia è una scienza critica. È fatta di dissenso costruttivo, di dibattiti su teorie diverse, di dati che sconfessano le convinzioni popolari. Se fossi d'accordo con tutti, sempre, e incondizionatamente, non sarei uno psicologo; sarei un facilitatore d'ego, un influencer delle emozioni che ti vende l'illusione del comfort mentale.
E non è questo il mio lavoro.
Il mio lavoro, e quello di ogni persona che usa il cervello per mestiere, non è quello di farti sentire semplice e giusto. È quello di aiutarti a vedere chiaro, anche quando vedere chiaro significa ammettere che la tua idea è limitata.
Quindi, la prossima volta che vi sentite costretti in quel bivio, ricordatevelo: la vostra validità professionale non dipende dal consenso emotivo di chi vi sta di fronte, ma dalla vostra capacità di mantenere il rigore, l'analisi e, sì, anche il sacro diritto di dissentire.
E se la risposta è: "Allora non sei un buon psicologo," beh... la traduzione clinica è: "Mi hai tolto il free pass emotivo e mi hai costretto a pensare con la mia testa. Me la pagherai."

Indirizzo

CENTRO HUMANS Via Europa 260
Brescia
25062

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