Dott.ssa Luisa Dipino. Psicologa-psicoterapeuta

Dott.ssa Luisa Dipino. Psicologa-psicoterapeuta Psicoanalista appassionata di storie e gentilezza. Esercito a Busto Arsizio (VA), nel Gentil Centro da me fondato

Diciamolo chiaro come fa Freud: la rimozione non elimina le rappresentazioni, le confina in un posto. La polvere, insomm...
26/11/2025

Diciamolo chiaro come fa Freud: la rimozione non elimina le rappresentazioni, le confina in un posto. La polvere, insomma, pur sotto il tappeto, rimane.
Di più. Ciò che viene confinato nell’inconscio non diventa inerme: continua a spingere verso la coscienza. E proprio questa spinta è ciò che Freud chiama “tendenza al ritorno del rimosso”.

Cerchiamo di capire tecnicamente cosa accade. Affetto e rappresentazione vengono “staccati”: con la rimozione, la rappresentazione cade nell’inconscio e diventa quindi inaccessibile. L’affetto invece viene viene convertito, deviato, trasformato in angoscia o legato ad altro.
Facciamo un esempio tanto banale quanto chiaro: mentre aspetto il bus, mi morde un cane. Per via della rimozione, non ricordo più la scena del morso, ma mi resta la paura terribile di salire sull’autobus.
Clinicamente, quindi, ciò che ritorna è sempre qualcosa di deformato, da interpretare.

Poiché la rimozione è instabile e il rimosso è magma incandescente, il rimosso torna attraverso vie diverse: le formazioni dell’inconscio. Cioè sogni, lapsus, atti mancati, sintomi. Ma anche ripetizioni e ossessioni.

In analisi, il lavoro non è forzare il ritorno del rimosso, ma rendere possibile la sua traduzione: riconoscere la rappresentazione dietro il sintomo, l’affetto dietro la deviazione, la storia dietro la difesa. A partire da qui, il ritorno del rimosso diventa trasformazione:
non più qualcosa che assedia l’Io, ma qualcosa che può finalmente essere pensato. Quindi lavorato, e finalmente sciolto.

Questo lo sappiamo: non ricordiamo tutto. Alcune cose le dimentichiamo (cioè le smarriamo perché non superflue), altre l...
24/11/2025

Questo lo sappiamo: non ricordiamo tutto. Alcune cose le dimentichiamo (cioè le smarriamo perché non superflue), altre le rimuoviamo. Ma che cos’è la rimozione?
Quando Freud parla di rimozione (Verdrängung), intende un’espulsione attiva dalla coscienza. È il meccanismo cardine che dà origine all’inconscio.

Freud lo descrive per la prima volta in modo sistematico ne “L’interpretazione dei sogni” (1900): ciò che è incompatibile con l’Io – affetti, rappresentazioni, desideri – viene respinto. Bandito. Ma non scompare: continua ad agire “da sotto”, trasformandosi in sogni, sintomi, lapsus.

Nel saggio del 1915, “La rimozione”, Freud distingue tre tempi fondamentali:
1. Rimozione originaria
È il primo atto, quello che crea l’inconscio.
Una rappresentazione inaccettabile non viene mai lasciata entrare nella coscienza.
È il “no” iniziale dell’apparato psichico.
2. Rimozione propriamente detta
Quando un contenuto già cosciente diventa “troppo”, la psiche lo espelle.
Qui nasce il conflitto: ciò che abbiamo vissuto, ma non possiamo pensare.
3. Il ritorno del rimosso
Ed è la parte che incontriamo più spesso in analisi.
Il rimosso vuole tornare alla coscienza, ma solo mascherato.
Freud scrive che ritorna come “compromesso”: sintomi, sogni, atti mancati, ripetizioni.

Ecco perché non si tratta di “liberarsi” di qualcosa: la rimozione è stata, al tempo, una difesa vitale.
Un modo per non crollare.

Nella stanza d’analisi non forziamo il ritorno del rimosso: creiamo le condizioni perché ciò che è stato escluso possa affacciarsi in un’altra forma — simbolizzabile, pensabile, dicibile.
Il lavoro analitico è questo: trasformare ciò che un tempo era intollerabile in qualcosa che può essere pensato. Una conquista della propria storia, un atto di libertà.

Leggendo i testi, lo si coglie bene: Freud era un uomo arguto. FrSpiritoso, anche. C’è però questa idea diffusa che Freu...
21/11/2025

Leggendo i testi, lo si coglie bene: Freud era un uomo arguto. FrSpiritoso, anche. C’è però questa idea diffusa che Freud fosse un tipo cupo. Che vedesse l’essere umano come una creatura condannata ai propri conflitti, ai propri desideri impossibili, alle proprie ferite infantili.

“Freud è pessimista”, si sente.

Francamente non direi.
Freud non era pessimista: era onesto.
È diverso.

Freud non ha inventato l’ambivalenza, la gelosia, la paura di perdere chi amiamo, la difficoltà di crescere, la tendenza a ripetere.
Ha solo avuto il coraggio di guardarli in faccia.

E proprio perché li ha guardati, ha potuto dire qualcosa di rivoluzionario: dove c’è sintomo, può arrivare il senso.

Questo non è pessimismo. È fiducia nel fatto che l’essere umano, quando gli si offre uno spazio per pensarsi, può sorprendere se stesso.

Freud non ci ha raccontato una storia triste.
Ci ha dato gli strumenti per riscriverla

(Oggi il diabete di mio figlio compie quattro mesi. Quattro mesi complicati, giornate su e giù al ritmo delle glicemie i...
08/11/2025

(Oggi il diabete di mio figlio compie quattro mesi.
Quattro mesi complicati, giornate su e giù al ritmo delle glicemie imbizzarrite. Notti bianche, a volte. Cuori in gola, spesso. Facce tirate, occhi stanchi. Tante decisioni da prendere, frustrazione quanto basta, un passo avanti e due indietro. Crescere tutti, grandi e piccoli, nostro malgrado, facendo i conti con il fatto che poi in fondo davvero non si controlla gran che, al massimo si mette una pezza.

Quattro mesi di amore, più di prima. Ho la fortuna di essere nata con un fiuto speciale per l’amore: lo sento sempre quando c’è, anche quando è sepolto, anche quando è lontano. Anche quando si traveste da altro.

Il diabete di mio figlio mi ha fatto conoscere la gentilezza di chi non mi deve nulla, il buon cuore di chi tende una mano gratis. Tante persone — e io mica lo credevo — mi hanno avvolta come un’onda buona e calda, un grande utero che mi ha tenuto al sicuro dal credere che la vita poi fosse tutta lì, in una stupida curva glicemica.
La vita toglie, poi dà, sempre, come una glicemia un po’ pazza, che sale e scende e sale ancora… basta non fermarsi mai.

Quattro mesi di gratitudine, di cui — random — pubblico qualche scatto. Il resto è tutto nel cuore, nel sangue e nell’anima.)

Freud, alla fine della sua ricerca, alza bandiera bianca: la femminilità, lo dice chiaro, resta per lui “un oscuro conti...
08/11/2025

Freud, alla fine della sua ricerca, alza bandiera bianca: la femminilità, lo dice chiaro, resta per lui “un oscuro continente”, la donna è un enigma. Già, perché delle cose proprio non tornano.
Intanto, il parallelismo del percorso edipico maschile e femminile non è sostenibile, non c’è simmetria tra i due sessi. Per questo, come abbiamo visto, a partire dal 1923 Freud mette a fuoco per la donna un percorso diverso e non complementare a quello maschile.

Ma ancora più radicalmente, va detto: il tentativo di Freud di far girare tutto intorno alla castrazione, cioè al non avere il fallo, scricchiola. L’invidia del pene, la maternità (che realizza per la donna il raggiungimento, attraverso il figlio, del fallo) sono infatti conseguenze logiche un implicito ma chiarissimo assunto freudiano, per cui la donna non è che, passatemi il termine, “un uomo castrato”.
Traduco: per Freud, insomma, la donna non può che essere in posizione rivendicativa. Pesta i piedi per riuscire ad avere, in un modo o nell’altro, ciò che non ha. Il suo destino è quello di chiedere di essere risarcita.

Un po’ riduttivo, non trovate? Freud stesso, con moltissima onestà intellettuale, ammette che ciò non sia proprio sostenibile. Nel 1932, quindi, Freud arriva a capitolare: la femminilità per lui resta un mistero.

E rilancia ai colleghi: della donna qualcuno forse ci ha capito qualcosa di più? 😀

(Seguitemi e vedremo come andrà a finire!)

Freud non ha mai cercato mostri fuori.I mostri per lui sono dentro: nel lapsus, nei sogni, nella fantasia proibita, in q...
31/10/2025

Freud non ha mai cercato mostri fuori.
I mostri per lui sono dentro: nel lapsus, nei sogni, nella fantasia proibita, in quella parte di noi che vorremmo nascondere anche a noi stessi.

È qui che il suo pensiero freudiano diventa vertiginoso: il mostruoso non è ciò che ci è estraneo. Ma è Unheimliche: è ciò che ci spaventa perché è familiare e estranea allo stesso momento.
Quello che abbiamo messo in cantina, convinti che chiudere una porta bastasse.

E invece ritorna.

Freud ci ha insegnato che il mostro non va eliminato.
Va ascoltato.
Perché lì, proprio lì dove ci fa più paura guardare, c’è un pezzo di verità.

Non si diventa più liberi negando ciò che ci abita.
Si diventa più interi quando possiamo tollerarlo.

La psicoanalisi comincia così:
non nel respingere ciò che è oscuro,
ma nel restare accanto — senza scappare — a quello che credevamo inaccettabile.

C’era una volta l’isteria. Una malattia strana, che colpiva pressoché solo le donne, con sintomi a dir poco “spettacolar...
28/10/2025

C’era una volta l’isteria. Una malattia strana, che colpiva pressoché solo le donne, con sintomi a dir poco “spettacolari”: paralisi senza causa medica, svenimenti inspiegabili, cecità improvvise… ma gli esami medici dicevano che non c’era nulla che non andasse in questi corpi.
Insomma, qualcosa non tornava.

Freud entrava in scena qui: guardò ciò che gli altri archiviavano come finzione, manipolazione, “roba da donne isteriche”… e si accorse che lì c’era un linguaggio. Un linguaggio che non usava parole, ma sintomi.

Freud si accorse di qualcosa di rivoluzionario per l’epoca: il corpo di queste donne stava gridando una storia che nessuno ascoltava

Non era finzione. Non era capriccio. Era dolore psichico travestito da sintomo.

Freud iniziò ad ascoltare davvero queste donne, a collegare i punti, a dare dignità al non detto. L’inconscio prendeva forma. La psicoanalisi nacque proprio da quei corpi che non si sottomettevano al sapere medico, da quelle parole bloccate in gola.

E se oggi l’isteria ottocentesca è scomparsa come categorie diagnostica, la cosa interessante è che la logica sottostante non è scomparsa. La troviamo oggi nei disturbi psicosomatici, negli attacchi di panico, nel corpo che si ammala quando è l’unico modo per farsi ascoltare.

Il messaggio resta lo stesso:
il corpo parla, soprattutto quando la parola tace.

Si chiamava Bertha Pappenheim, ma nella storia della psicoanalisi è rimasta come Anna O.Siamo nel 1880: Anna O. ha ventu...
27/10/2025

Si chiamava Bertha Pappenheim, ma nella storia della psicoanalisi è rimasta come Anna O.

Siamo nel 1880: Anna O. ha ventun anni e soffre moltissimo. Paralisi, amnesie, sintomi ovunque nel corpo e da nessuna parte. La medicina non ci si raccapezza.
Ma Anna O. comincia a raccontare, scoprendo così che il dolore può trasformarsi in parola… e sciogliere così i sintomi che, inspiegabilmente, scompaiono. È lei a chiamarla “talking cure”, la cura parlata: non sa che sta inaugurando un modo nuovo di pensare la mente umana.

Al suo fianco c’è Josef Breuer, medico curioso, attento, che ascolta per davvero. Anna O. parla, Breuer ascolta. Freud (che non incontra mai Anna O) ha un’intuizione: in quelle parole slegate, nei sintomi, nei lapsus, c’è un senso nascosto, quello dell’inconscio.

La psicoanalisi nasce da qui. Anna O. quindi non è stata solo una paziente: è statala prima analista inconsapevole, la donna che ha aperto la strada a tutti quelli che, da allora, hanno trovato nella parola un luogo dove cominciare a guarire.

L’amore fa questione per tutti… anche per Sigmund Freud.Dietro la sua figura austera, dietro i saggi e i casi clinici, c...
17/10/2025

L’amore fa questione per tutti… anche per Sigmund Freud.
Dietro la sua figura austera, dietro i saggi e i casi clinici, c’è un uomo attraversato dal desiderio, dalla colpa e da un bisogno profondo di legame.

Con Martha Bernays, la futura moglie, visse un lungo fidanzamento a distanza. Le scriveva ogni giorno lettere appassionate, gelose, a volte con toni che sconfinavano nel’autoritario. In quelle parole già si intravedevano i conflitti tra Eros e controllo, tra amore e bisogno di possesso, che poi avrebbe messo su carta nei suoi studi.

Accanto a Martha, nel tempo, entrò Minna, la sorella.
Colta, arguta, inquieta. Si rifugiò in casa Freud dopo la morte del fidanzato, e lì nacque un’intimità profonda, forse anche un amore taciuto.
Un legame proibito, mai dichiarato: il desiderio che si nasconde dietro le regole, la tensione tra la Legge e ciò che la infrange.

E poi Lou Andreas-Salomé.
Intellettuale, libera, inafferrabile. Freud la stimò e ne fu affascinato: rappresentava una femminilità che non si lascia possedere.
Forse fu proprio lei, più di ogni altra, a mostrargli che l’amore può anche essere distanza, riflesso, elaborazione.

Tra Martha, Minna e Lou si disegna l’intera mappa dell’Eros freudiano: il bisogno di legame, la colpa, il desiderio che spinge oltre il limite.

Così, l’ultima parola di Freud sulla femminilità fu sull’enigma: l’essenza di una donna, intuiva Freud, non la si acciuffa mai, scivola via come l’acqua, come l’aria. Come tutto, come niente.

Per Freud, maschio e femmina seguono percorsi differenti, non simmetrici: per la bambina, il complesso di Edipo comincia...
15/10/2025

Per Freud, maschio e femmina seguono percorsi differenti, non simmetrici: per la bambina, il complesso di Edipo comincia dove per il bambino finisce. Se infatti, come abbiamo visto, il bambino esce dall’Edipo con la castrazione, la bambina con la castrazione vi entra. Diciamolo ancora più facile: il bambino esce dall’Edipo quando si accorge che può perdere qualcosa, la bambina quando si accorge di mancare di qualcosa.

La bambina scopre la differenza sessuale e sposta il suo investimento d’amore: dal primo oggetto – la madre – al padre. Ecco qui, per Freud, la ragione per cui vediamo tante bimbe dire di voler sposare il loro papà.
Ma questo passaggio non è lineare né indolore. Freud lo descrive come un movimento segnato da perdita, invidia, senso di mancanza. I rapporti con la mamma spesso si fanno complicati: la mamma è considerata dalla bambina colpevole di non averla dotata del fallo — ecco qui la radice incoscia assai frequente dei rimproveri delle figlie anche adulte verso le madri.

Secondo Freud, l’uscita dall’Edipo per le bambine è più complicata di quella dei bambini. Tre sono i destini possibili. La bambina può mollare il colpo, rinunciando alla sessualità. Per lei, insomma, partita chiusa. Oppure può identificarsi con chi il fallo ce l’ha: l’uomo. Cade così in quello che Freud definisce “complesso di virilità”, ribellandosi al suo non avere il fallo esagerando i suoi tratti mascolini.
L’ultima soluzione, per Freud, è quella della maternità: accettare di sostituire l’avere il fallo (che non si ha) con un bambino.

Per Freud, insomma, le cose vanno così… e a noi, più di un secolo dopo, non può non ve**re da stortare il naso. Si pone infatti più di una questione, la prima: possiamo forse ridurre la donna alla madre?
Per Freud evidentemente si. Ma c’è chi, all’interno della psicoanalisi, questa cosa l’ha durante contestata.

Nei prossimi post, vediamo come va a finire. 😉

Se ogni tanto capitate sul mio profilo, l’avrete notato: ultimamente vi parlo di Freud. Il format è quello (un po’ boome...
14/10/2025

Se ogni tanto capitate sul mio profilo, l’avrete notato: ultimamente vi parlo di Freud. Il format è quello (un po’ boomer, lo ammetto 😉) di Onde Psi: con parole facili, ma senza approssimazioni, provo a ripercorrere i concetti che costituiscono la base della psicoanalisi, ma anche le curiosità, i punti opachi, gli inciampi.
Un passo per volta, senza fretta.

Vi racconto la psicoanalisi, insomma. Vediamo se riesco a farvici innamorare 😃.

Parlo a tutti, certo, ma soprattutto a chi studia Psicologia, alle superiori, all’università o da autodidatta. Agli allievi delle scuole di psicoterapia, psicoanalitiche e non. Ai futuri colleghi e a chi già pratica, ai tirocinanti, ai giovani e ai più navigati. Mettiamoci in gioco: creiamo ponti, non muri.

E se vi piace quello che sto provando a fare, mettete un like, chè questo non è che l’inizio.
Ogni viaggio, ce lo insegna Freud, inizia con un sogno.

Prima di diventare Freud, quello che tutti conosciamo, Sigmund era un giovane medico affascinato da un fenomeno misterio...
13/10/2025

Prima di diventare Freud, quello che tutti conosciamo, Sigmund era un giovane medico affascinato da un fenomeno misterioso: l’isteria, la malattia delle donne, il cui corpo misteriosamente sfidava le leggi della medicina.
Per capirci qualcosa, Freud partì per Parigi e andò a studiare da Jean-Martin Charcot, il grande neurologo della Salpêtrière.

Era il 1885. Charcot mostrava i suoi casi davanti a una platea: aveva scoperto che attraverso l’ipnosi era possibile provocare sintomi ritenuti di origine puramente organica.

Fu lì, in quell’aula gremita, che Freud intuì per la prima volta che il corpo può dire ciò che la mente tace.
Un’idea che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, e che avrebbe dato origine alla psicoanalisi.

Ogni rivoluzione comincia così: da un allievo che guarda il maestro… e ci mette del suo.

Indirizzo

Viale Venezia 11/D
Busto Arsizio
21052

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Dott.ssa Luisa Dipino. Psicologa-psicoterapeuta pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Contatta Lo Studio

Invia un messaggio a Dott.ssa Luisa Dipino. Psicologa-psicoterapeuta:

Condividi

Share on Facebook Share on Twitter Share on LinkedIn
Share on Pinterest Share on Reddit Share via Email
Share on WhatsApp Share on Instagram Share on Telegram

Digitare