Dott.ssa Luisa Dipino. Psicologa-psicoterapeuta

Dott.ssa Luisa Dipino. Psicologa-psicoterapeuta Psicoanalista appassionata di storie e gentilezza. Esercito a Busto Arsizio (VA), nel Gentil Centro da me fondato

(Oggi il diabete di mio figlio compie quattro mesi. Quattro mesi complicati, giornate su e giù al ritmo delle glicemie i...
08/11/2025

(Oggi il diabete di mio figlio compie quattro mesi.
Quattro mesi complicati, giornate su e giù al ritmo delle glicemie imbizzarrite. Notti bianche, a volte. Cuori in gola, spesso. Facce tirate, occhi stanchi. Tante decisioni da prendere, frustrazione quanto basta, un passo avanti e due indietro. Crescere tutti, grandi e piccoli, nostro malgrado, facendo i conti con il fatto che poi in fondo davvero non si controlla gran che, al massimo si mette una pezza.

Quattro mesi di amore, più di prima. Ho la fortuna di essere nata con un fiuto speciale per l’amore: lo sento sempre quando c’è, anche quando è sepolto, anche quando è lontano. Anche quando si traveste da altro.

Il diabete di mio figlio mi ha fatto conoscere la gentilezza di chi non mi deve nulla, il buon cuore di chi tende una mano gratis. Tante persone — e io mica lo credevo — mi hanno avvolta come un’onda buona e calda, un grande utero che mi ha tenuto al sicuro dal credere che la vita poi fosse tutta lì, in una stupida curva glicemica.
La vita toglie, poi dà, sempre, come una glicemia un po’ pazza, che sale e scende e sale ancora… basta non fermarsi mai.

Quattro mesi di gratitudine, di cui — random — pubblico qualche scatto. Il resto è tutto nel cuore, nel sangue e nell’anima.)

Freud, alla fine della sua ricerca, alza bandiera bianca: la femminilità, lo dice chiaro, resta per lui “un oscuro conti...
08/11/2025

Freud, alla fine della sua ricerca, alza bandiera bianca: la femminilità, lo dice chiaro, resta per lui “un oscuro continente”, la donna è un enigma. Già, perché delle cose proprio non tornano.
Intanto, il parallelismo del percorso edipico maschile e femminile non è sostenibile, non c’è simmetria tra i due sessi. Per questo, come abbiamo visto, a partire dal 1923 Freud mette a fuoco per la donna un percorso diverso e non complementare a quello maschile.

Ma ancora più radicalmente, va detto: il tentativo di Freud di far girare tutto intorno alla castrazione, cioè al non avere il fallo, scricchiola. L’invidia del pene, la maternità (che realizza per la donna il raggiungimento, attraverso il figlio, del fallo) sono infatti conseguenze logiche un implicito ma chiarissimo assunto freudiano, per cui la donna non è che, passatemi il termine, “un uomo castrato”.
Traduco: per Freud, insomma, la donna non può che essere in posizione rivendicativa. Pesta i piedi per riuscire ad avere, in un modo o nell’altro, ciò che non ha. Il suo destino è quello di chiedere di essere risarcita.

Un po’ riduttivo, non trovate? Freud stesso, con moltissima onestà intellettuale, ammette che ciò non sia proprio sostenibile. Nel 1932, quindi, Freud arriva a capitolare: la femminilità per lui resta un mistero.

E rilancia ai colleghi: della donna qualcuno forse ci ha capito qualcosa di più? 😀

(Seguitemi e vedremo come andrà a finire!)

Freud non ha mai cercato mostri fuori.I mostri per lui sono dentro: nel lapsus, nei sogni, nella fantasia proibita, in q...
31/10/2025

Freud non ha mai cercato mostri fuori.
I mostri per lui sono dentro: nel lapsus, nei sogni, nella fantasia proibita, in quella parte di noi che vorremmo nascondere anche a noi stessi.

È qui che il suo pensiero freudiano diventa vertiginoso: il mostruoso non è ciò che ci è estraneo. Ma è Unheimliche: è ciò che ci spaventa perché è familiare e estranea allo stesso momento.
Quello che abbiamo messo in cantina, convinti che chiudere una porta bastasse.

E invece ritorna.

Freud ci ha insegnato che il mostro non va eliminato.
Va ascoltato.
Perché lì, proprio lì dove ci fa più paura guardare, c’è un pezzo di verità.

Non si diventa più liberi negando ciò che ci abita.
Si diventa più interi quando possiamo tollerarlo.

La psicoanalisi comincia così:
non nel respingere ciò che è oscuro,
ma nel restare accanto — senza scappare — a quello che credevamo inaccettabile.

C’era una volta l’isteria. Una malattia strana, che colpiva pressoché solo le donne, con sintomi a dir poco “spettacolar...
28/10/2025

C’era una volta l’isteria. Una malattia strana, che colpiva pressoché solo le donne, con sintomi a dir poco “spettacolari”: paralisi senza causa medica, svenimenti inspiegabili, cecità improvvise… ma gli esami medici dicevano che non c’era nulla che non andasse in questi corpi.
Insomma, qualcosa non tornava.

Freud entrava in scena qui: guardò ciò che gli altri archiviavano come finzione, manipolazione, “roba da donne isteriche”… e si accorse che lì c’era un linguaggio. Un linguaggio che non usava parole, ma sintomi.

Freud si accorse di qualcosa di rivoluzionario per l’epoca: il corpo di queste donne stava gridando una storia che nessuno ascoltava

Non era finzione. Non era capriccio. Era dolore psichico travestito da sintomo.

Freud iniziò ad ascoltare davvero queste donne, a collegare i punti, a dare dignità al non detto. L’inconscio prendeva forma. La psicoanalisi nacque proprio da quei corpi che non si sottomettevano al sapere medico, da quelle parole bloccate in gola.

E se oggi l’isteria ottocentesca è scomparsa come categorie diagnostica, la cosa interessante è che la logica sottostante non è scomparsa. La troviamo oggi nei disturbi psicosomatici, negli attacchi di panico, nel corpo che si ammala quando è l’unico modo per farsi ascoltare.

Il messaggio resta lo stesso:
il corpo parla, soprattutto quando la parola tace.

Si chiamava Bertha Pappenheim, ma nella storia della psicoanalisi è rimasta come Anna O.Siamo nel 1880: Anna O. ha ventu...
27/10/2025

Si chiamava Bertha Pappenheim, ma nella storia della psicoanalisi è rimasta come Anna O.

Siamo nel 1880: Anna O. ha ventun anni e soffre moltissimo. Paralisi, amnesie, sintomi ovunque nel corpo e da nessuna parte. La medicina non ci si raccapezza.
Ma Anna O. comincia a raccontare, scoprendo così che il dolore può trasformarsi in parola… e sciogliere così i sintomi che, inspiegabilmente, scompaiono. È lei a chiamarla “talking cure”, la cura parlata: non sa che sta inaugurando un modo nuovo di pensare la mente umana.

Al suo fianco c’è Josef Breuer, medico curioso, attento, che ascolta per davvero. Anna O. parla, Breuer ascolta. Freud (che non incontra mai Anna O) ha un’intuizione: in quelle parole slegate, nei sintomi, nei lapsus, c’è un senso nascosto, quello dell’inconscio.

La psicoanalisi nasce da qui. Anna O. quindi non è stata solo una paziente: è statala prima analista inconsapevole, la donna che ha aperto la strada a tutti quelli che, da allora, hanno trovato nella parola un luogo dove cominciare a guarire.

L’amore fa questione per tutti… anche per Sigmund Freud.Dietro la sua figura austera, dietro i saggi e i casi clinici, c...
17/10/2025

L’amore fa questione per tutti… anche per Sigmund Freud.
Dietro la sua figura austera, dietro i saggi e i casi clinici, c’è un uomo attraversato dal desiderio, dalla colpa e da un bisogno profondo di legame.

Con Martha Bernays, la futura moglie, visse un lungo fidanzamento a distanza. Le scriveva ogni giorno lettere appassionate, gelose, a volte con toni che sconfinavano nel’autoritario. In quelle parole già si intravedevano i conflitti tra Eros e controllo, tra amore e bisogno di possesso, che poi avrebbe messo su carta nei suoi studi.

Accanto a Martha, nel tempo, entrò Minna, la sorella.
Colta, arguta, inquieta. Si rifugiò in casa Freud dopo la morte del fidanzato, e lì nacque un’intimità profonda, forse anche un amore taciuto.
Un legame proibito, mai dichiarato: il desiderio che si nasconde dietro le regole, la tensione tra la Legge e ciò che la infrange.

E poi Lou Andreas-Salomé.
Intellettuale, libera, inafferrabile. Freud la stimò e ne fu affascinato: rappresentava una femminilità che non si lascia possedere.
Forse fu proprio lei, più di ogni altra, a mostrargli che l’amore può anche essere distanza, riflesso, elaborazione.

Tra Martha, Minna e Lou si disegna l’intera mappa dell’Eros freudiano: il bisogno di legame, la colpa, il desiderio che spinge oltre il limite.

Così, l’ultima parola di Freud sulla femminilità fu sull’enigma: l’essenza di una donna, intuiva Freud, non la si acciuffa mai, scivola via come l’acqua, come l’aria. Come tutto, come niente.

Per Freud, maschio e femmina seguono percorsi differenti, non simmetrici: per la bambina, il complesso di Edipo comincia...
15/10/2025

Per Freud, maschio e femmina seguono percorsi differenti, non simmetrici: per la bambina, il complesso di Edipo comincia dove per il bambino finisce. Se infatti, come abbiamo visto, il bambino esce dall’Edipo con la castrazione, la bambina con la castrazione vi entra. Diciamolo ancora più facile: il bambino esce dall’Edipo quando si accorge che può perdere qualcosa, la bambina quando si accorge di mancare di qualcosa.

La bambina scopre la differenza sessuale e sposta il suo investimento d’amore: dal primo oggetto – la madre – al padre. Ecco qui, per Freud, la ragione per cui vediamo tante bimbe dire di voler sposare il loro papà.
Ma questo passaggio non è lineare né indolore. Freud lo descrive come un movimento segnato da perdita, invidia, senso di mancanza. I rapporti con la mamma spesso si fanno complicati: la mamma è considerata dalla bambina colpevole di non averla dotata del fallo — ecco qui la radice incoscia assai frequente dei rimproveri delle figlie anche adulte verso le madri.

Secondo Freud, l’uscita dall’Edipo per le bambine è più complicata di quella dei bambini. Tre sono i destini possibili. La bambina può mollare il colpo, rinunciando alla sessualità. Per lei, insomma, partita chiusa. Oppure può identificarsi con chi il fallo ce l’ha: l’uomo. Cade così in quello che Freud definisce “complesso di virilità”, ribellandosi al suo non avere il fallo esagerando i suoi tratti mascolini.
L’ultima soluzione, per Freud, è quella della maternità: accettare di sostituire l’avere il fallo (che non si ha) con un bambino.

Per Freud, insomma, le cose vanno così… e a noi, più di un secolo dopo, non può non ve**re da stortare il naso. Si pone infatti più di una questione, la prima: possiamo forse ridurre la donna alla madre?
Per Freud evidentemente si. Ma c’è chi, all’interno della psicoanalisi, questa cosa l’ha durante contestata.

Nei prossimi post, vediamo come va a finire. 😉

Se ogni tanto capitate sul mio profilo, l’avrete notato: ultimamente vi parlo di Freud. Il format è quello (un po’ boome...
14/10/2025

Se ogni tanto capitate sul mio profilo, l’avrete notato: ultimamente vi parlo di Freud. Il format è quello (un po’ boomer, lo ammetto 😉) di Onde Psi: con parole facili, ma senza approssimazioni, provo a ripercorrere i concetti che costituiscono la base della psicoanalisi, ma anche le curiosità, i punti opachi, gli inciampi.
Un passo per volta, senza fretta.

Vi racconto la psicoanalisi, insomma. Vediamo se riesco a farvici innamorare 😃.

Parlo a tutti, certo, ma soprattutto a chi studia Psicologia, alle superiori, all’università o da autodidatta. Agli allievi delle scuole di psicoterapia, psicoanalitiche e non. Ai futuri colleghi e a chi già pratica, ai tirocinanti, ai giovani e ai più navigati. Mettiamoci in gioco: creiamo ponti, non muri.

E se vi piace quello che sto provando a fare, mettete un like, chè questo non è che l’inizio.
Ogni viaggio, ce lo insegna Freud, inizia con un sogno.

Prima di diventare Freud, quello che tutti conosciamo, Sigmund era un giovane medico affascinato da un fenomeno misterio...
13/10/2025

Prima di diventare Freud, quello che tutti conosciamo, Sigmund era un giovane medico affascinato da un fenomeno misterioso: l’isteria, la malattia delle donne, il cui corpo misteriosamente sfidava le leggi della medicina.
Per capirci qualcosa, Freud partì per Parigi e andò a studiare da Jean-Martin Charcot, il grande neurologo della Salpêtrière.

Era il 1885. Charcot mostrava i suoi casi davanti a una platea: aveva scoperto che attraverso l’ipnosi era possibile provocare sintomi ritenuti di origine puramente organica.

Fu lì, in quell’aula gremita, che Freud intuì per la prima volta che il corpo può dire ciò che la mente tace.
Un’idea che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, e che avrebbe dato origine alla psicoanalisi.

Ogni rivoluzione comincia così: da un allievo che guarda il maestro… e ci mette del suo.

L’Edipo, tappa fondamentale per lo sviluppo della soggettività (ma anche momento delicato da cui può svilupparsi la nevr...
03/10/2025

L’Edipo, tappa fondamentale per lo sviluppo della soggettività (ma anche momento delicato da cui può svilupparsi la nevrosi), per Freud prende due strade diverse nei due sessi.

Vediamo qui cosa accade nel bambino, con una doverosa precisazione: Freud si muove nel campo dell’allegoria, del simbolo, per descrivere ciò che avviene nell’inconscio. Nell’analisi, poi, quelle che emergeranno saranno delle tracce, non il ricordo cristallino del dipanarsi dell’Edipo per come
lo racconta Freud.

Il presupposto è quello che dicevamo nei post precedenti: in un certa fase del suo sviluppo (tra i 3 e i 5y, in pieno innamoramento per la mamma) il bambino è estremamente concentrato sul suo p€n€. Ci gioca, lo confronta con quello degli altri, si accorge che c’è chi, come lui, lo possiede e chi, come la madre, no. Rendendosi quindi conto che non è scontato che tutti ce l’abbiano, nel bambino si fa strada la paura di poterlo perdere. Addirittura, la paura diventa quella che glielo si tagli per punizione.

Il bambino allora si arrovella, cerca di capire, fa mille congetture: chi ce l’ha, un pene come il suo? Più grande? Più piccolo? E papà, come ce l’ha? Forse la mamma ce l’ha, ma è nascosto?

In questa impetuosa attività di pensiero, nel bambino si va a delineare un conflitto: 1preservare una parte di sé — il fallo — o restare invischiato nel legame con la madre, a prezzo di perdere il fallo per punizione?

Se vince la prima opzione — preservare il fallo — il bambino si tira fuori dalla relazione chiusa con la madre. Cioè esce dall’Edipo ed entra nel mondo delle relazioni, portando però con sè traccia di come se l’è cavata fino a lì. Di come sono andate le cose, di come si è orientato nelle scelte, perché, come dicevamo negli scorsi post, non si sceglie tutto, ma si sceglie sempre.

Freud non ha parlato in modo sistematico dei nonni, ma sappiamo che era molto legato alla nonna paterna, Eva Freud, che ...
02/10/2025

Freud non ha parlato in modo sistematico dei nonni, ma sappiamo che era molto legato alla nonna paterna, Eva Freud, che visse a lungo nella loro casa. Freud ricorda anche che il suo nome, Sigismund, gli veniva da un nonno morto giovane.
Queste radici familiari hanno avuto un peso simbolico, anche se non teorizzato.

Come poi verrà ripreso da Lacan, non nasciamo nel vuoto. Non nasciamo come tabule rase, non siamo fogli immacolati. Chi ci precede, il nostro Altro — come dice Lacan — scrive qualcosa di quello che siamo. Il nome stesso che i genitori scelgono per il bambino segna il modo con cui questi entra nel mondo. Non definisce un destino, attenzione!, ma gioca una parte, diciamo che costituisce una “direzione” per lo meno iniziale.

Facciamo un esempio. Mamma e papà scelgono per il loro primogenito il nome “GianGiorgino”, in memoria del nonno GianGiorgino morto da poco, per cui la mamma soffre ancora moltissimo. In questo caso, il nome che si ripete tra le generazioni consegna un’eredità simbolica: il nuovo nato, nel bene e nel male, è convocato sul bordo del posto vuoto lasciato dal nonno. Certo, sarà poi lui a scegliere se e come occupare quel posto.

(Del resto, questo è uno degli insegnamenti più grandi della psicoanalisi: non si sceglie tutto, ma si sceglie sempre.)

…Niente scene truculente, nessuno spargimento di sangue. In psicoanalisi, la castrazione è un concetto simbolico: indica...
29/09/2025

…Niente scene truculente, nessuno spargimento di sangue. In psicoanalisi, la castrazione è un concetto simbolico: indica il limite, la rinuncia, il riconoscimento che non possiamo avere tutto.

Freud introduce il concetto di castrazione a proposito dell’Edipo. In una fase di sviluppo in cui per il bambino e la bambina gira tutto intorno al fallo — lo riconoscete: è il tempo in cui il bambino gioca con il pene, fa domande su chi ce l’abbia e chi no —, avviene qualche evento di per sé non rilevante, ma che mette il bambino nella condizione di pensare che potrebbe perderlo, e la bambina nella consapevolezza di non possederlo. Da qui, sorge l’Edipo, che per Freud si articola in modo diverso nel bambino e nella bambina.

Ma qual è il cuore dell’esperienza della castrazione, in entrambi i sessi? La castrazione. Cioè la consapevolezza che non si è onnipotenti, non si può tutto. Si è finiti, precari. In controtendenza rispetto a una certa linea di pensiero, non basta pensare una cosa, per ottenerla.

Lo scenario da qui in poi si fa però tutt’altro che deprimente. Se non posso avere tutto, posso desiderare quel che mi manca. Posso trovare una via, sbatterci la testa, provarci più forte. E magari anche conquistarla, con enorme soddisfazione.

La castrazione è quindi il passaggio doloroso ma necessario dal “tutto è possibile” dell’infanzia alla realtà del desiderio, che nasce sempre da una mancanza. La castrazione è perdita, ma è anche guadagno, su un piano diverso. Quello del desiderio, che anima e rende la vita a colori.

(Tutto chiaro fino a qui? 🌻)

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