26/11/2025
Diciamolo chiaro come fa Freud: la rimozione non elimina le rappresentazioni, le confina in un posto. La polvere, insomma, pur sotto il tappeto, rimane.
Di più. Ciò che viene confinato nell’inconscio non diventa inerme: continua a spingere verso la coscienza. E proprio questa spinta è ciò che Freud chiama “tendenza al ritorno del rimosso”.
Cerchiamo di capire tecnicamente cosa accade. Affetto e rappresentazione vengono “staccati”: con la rimozione, la rappresentazione cade nell’inconscio e diventa quindi inaccessibile. L’affetto invece viene viene convertito, deviato, trasformato in angoscia o legato ad altro.
Facciamo un esempio tanto banale quanto chiaro: mentre aspetto il bus, mi morde un cane. Per via della rimozione, non ricordo più la scena del morso, ma mi resta la paura terribile di salire sull’autobus.
Clinicamente, quindi, ciò che ritorna è sempre qualcosa di deformato, da interpretare.
Poiché la rimozione è instabile e il rimosso è magma incandescente, il rimosso torna attraverso vie diverse: le formazioni dell’inconscio. Cioè sogni, lapsus, atti mancati, sintomi. Ma anche ripetizioni e ossessioni.
In analisi, il lavoro non è forzare il ritorno del rimosso, ma rendere possibile la sua traduzione: riconoscere la rappresentazione dietro il sintomo, l’affetto dietro la deviazione, la storia dietro la difesa. A partire da qui, il ritorno del rimosso diventa trasformazione:
non più qualcosa che assedia l’Io, ma qualcosa che può finalmente essere pensato. Quindi lavorato, e finalmente sciolto.