Dott. Fois Matteo - Psicologo - Psicoterapeuta

Dott. Fois Matteo - Psicologo - Psicoterapeuta Psicologo Clinico
Psicoterapeuta
EMDR Liv II
Ipnologo
Psicogerontologo
Psic. Olistica
Mindfulness

11/11/2025

Open Day – Workshop di Orientamento

“Dare forma all’esperienza: un viaggio gestaltico tra corpo, emozione e consapevolezza”

Un incontro aperto per conoscere da vicino l’approccio della Psicoterapia della Gestalt e la proposta formativa della Scuola di Specializzazione SinaPsi.
Durante il workshop esploreremo insieme, in modo esperienziale, la consapevolezza fenomenologica e il contatto con ciò che accade nel “qui e ora”.

🗓 Venerdì 21 Novembre 2025
🕖 Ore 19:00 – 20:30
📍 Via Garavetti, 22 – Cagliari

Conducono: Dott.ssa Ilaria Vargiu e Dott. Matteo Fois

La partecipazione è gratuita, ma i posti sono limitati e riservati a studenti e laureati in Psicologia o Medicina e Chirurgia.
Per iscriversi: ✉️ segreteria@istitutosinapsi.it

Vieni a scoprire come la Gestalt può accompagnarti in un percorso di crescita personale e professionale

Scegliere consapevolmente: il processo psicologico del cambiamento e della costruzione di nuove abitudiniIn psicoterapia...
05/11/2025

Scegliere consapevolmente: il processo psicologico del cambiamento e della costruzione di nuove abitudini

In psicoterapia, uno dei principi fondamentali è che ogni individuo conserva sempre una possibilità di scelta, anche quando le circostanze sembrano determinarlo. Tuttavia, come sottolineava Viktor E. Frankl (1946) nella Logoterapia, la libertà umana non consiste nell’assenza di condizionamenti, ma nella capacità di scegliere l’atteggiamento con cui rispondere ad essi. Il problema non è tanto “non poter scegliere”, quanto non sapere come scegliere: restiamo intrappolati nei nostri automatismi, nelle narrazioni che ci raccontiamo, nelle abitudini mentali che plasmano la nostra percezione della realtà.

Le abitudini psichiche e comportamentali si radicano, come suggerisce la psicologia cognitivo-comportamentale, attraverso processi di apprendimento e rinforzo (Bandura, 1977; Beck, 1976). Le nostre idee, convinzioni e schemi di pensiero si consolidano con la ripetizione, diventando filtri automatici attraverso cui interpretiamo gli eventi. Per questo motivo, il cambiamento non è un atto istantaneo di volontà, ma un processo di ristrutturazione cognitiva e percettiva che richiede tempo, consapevolezza e costanza.

La Mindfulness, così come teorizzata da Jon Kabat-Zinn (1990), invita a sviluppare una “duplice attenzione”: osservare ciò che accade dentro di sé (pensieri, emozioni, sensazioni) e ciò che accade fuori, nella scena della propria vita, mantenendo tuttavia una posizione di testimone non identificato. In termini psicodinamici, potremmo dire che si tratta di costruire un osservatore interno, una parte del sé capace di mentalizzare l’esperienza (Fonagy et al., 2002) senza esserne travolta.

Questo atteggiamento permette di disidentificarsi dalla “realtà immediata” — dal fotogramma attuale — e orientare l’attenzione verso l’intenzione, cioè verso la direzione desiderata del cambiamento. Come nella terapia metacognitiva (Wells, 2009), il focus non è più sul contenuto dei pensieri (“cosa mi sta accadendo”), ma sul processo del pensare (“come mi rapporto a ciò che accade”).

In pratica, significa imparare a riconoscere la propria narrativa interna, interrompere la tendenza alla rimuginazione o alla lamentela, e spostare l’attenzione dal problema alla possibilità. Ogni nuova abitudine mentale nasce da un atto di consapevolezza ripetuto nel tempo: è la costanza dell’osservazione che, come un muscolo, rafforza la capacità di scelta e di autoregolazione.

Come ricorda Donald Winnicott, il cambiamento autentico non è imposto dall’esterno ma emerge da un vero sé che, progressivamente, trova spazio di espressione. Così, attraverso la pratica della presenza e la ripetizione consapevole di nuove modalità di pensiero, l’individuo può smettere di reagire automaticamente alla realtà e iniziare a partecipare attivamente alla sua costruzione.

Che possiate trovare la Volontà per creare il cambiamento che desiderate nella vostra vita.

Lasciare andare per guarire: il difficile cammino della libertà emotivaNel processo di guarigione psicologica, uno dei p...
05/11/2025

Lasciare andare per guarire: il difficile cammino della libertà emotiva

Nel processo di guarigione psicologica, uno dei passaggi più complessi è imparare a lasciare andare ciò che ci ha fatto ammalare. Come sottolineava Carl Gustav Jung, “non si diventa illuminati immaginando figure di luce, ma rendendo consapevoli le proprie ombre”: la consapevolezza del legame con ciò che ci ferisce è il primo passo verso la possibilità di trasformarlo.

Nelle dipendenze affettive, questo tema assume una forma particolarmente intensa. La persona dipendente vive un attaccamento che, pur generando sofferenza, diventa una sorta di “base sicura invertita”: un legame che promette amore e salvezza, ma in realtà riproduce dinamiche di bisogno, controllo e paura dell’abbandono (Norwood, Donne che amano troppo, 1985). Come descrive John Bowlby nella teoria dell’attaccamento, il bisogno di vicinanza emotiva è innato, ma quando le prime esperienze relazionali sono caratterizzate da inconsistenza o rifiuto, si può sviluppare un modello interno di sé come non degno d’amore e dell’altro come imprevedibile o distante.

In questi casi, la relazione disfunzionale viene vissuta come un territorio familiare, anche se doloroso. Melanie Klein e, più tardi, Fairbairn, hanno descritto questo paradosso: il soggetto può preferire la sofferenza conosciuta alla libertà sconosciuta, perché quest’ultima implica la perdita di una parte di sé costruita attorno alla relazione. La “presa” affettiva, quel bisogno quasi compulsivo di trattenere l’altro, diventa quindi un tentativo di mantenere un senso di continuità interna, anche a costo del dolore.

Guarire, in questo senso, non significa semplicemente “allontanarsi” da ciò che fa male, ma riconoscere il significato psicologico di quel legame e imparare a restituirgli il suo posto nella propria storia. Come osserva Judith Herman (1992), il percorso di ricostruzione del sé dopo esperienze relazionali traumatiche passa attraverso tre fasi: sicurezza, memoria e riconnessione. Solo quando la persona riesce a sentirsi al sicuro anche senza l’altro, può cominciare a rielaborare la propria identità libera dalla dipendenza.

Lasciare andare, dunque, non è un atto di volontà immediata, ma un processo terapeutico di riconoscimento, elaborazione e riappropriazione di sé. È il momento in cui il dolore della perdita si trasforma nella possibilità di ritrovare la propria autonomia emotiva, una libertà che, come scrive Donald Winnicott, nasce dal poter “stare da soli in presenza dell’altro”.

19/09/2025

Tendi a comportarti in modo vittimistico? Come sapere se qualcuno tende ad atteggiarsi a vittima? Scopri i segnali del vittimismo.

17/09/2025

Quando le emozioni prendono il sopravvento tanto da sequestrarci si parla si sequestro emozionale. Nel momento in cui interagiamo con gli altri, le

Chiedere aiuto non è un fallimento: è un atto di consapevolezzaAccade spesso che chi intraprende o prosegue un percorso ...
17/09/2025

Chiedere aiuto non è un fallimento: è un atto di consapevolezza

Accade spesso che chi intraprende o prosegue un percorso psicoterapeutico percepisca questa scelta come un segno di debolezza, quasi una resa. “Se fossi più forte, non ne avrei bisogno”. “Se la terapia dura tanto, significa che non sto migliorando”. Questi pensieri sono più diffusi di quanto immaginiamo e finiscono per alimentare un atteggiamento critico e svalutante verso di sé, un vero e proprio “giudice interiore” che peggiora il disagio invece di alleviarlo.

Nella psicoterapia della Gestalt, questo giudizio viene compreso come espressione di un meccanismo chiamato introiezione: regole, valori e frasi ricevute dall’esterno che vengono interiorizzate senza essere elaborate. “Devo farcela da solo”, “non devo chiedere aiuto”, “se ho bisogno significa che valgo meno”: tutte frasi che diventano voci interiori rigide, come un tiranno che ci impone di aderire a modelli inumani.

Fritz Perls, fondatore della Gestalt, spiegava che non si tratta di “inghiottire” tali convinzioni, ma di *masticarle*: riconoscerle, sentirle, e poi scegliere se tenerle o trasformarle. Questo processo di assimilazione è il cuore del lavoro terapeutico, perché libera energia e apre nuove possibilità.

Carl Rogers, dal canto suo, ricordava che “il curioso paradosso è che quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare”. Ed è proprio questo il senso: il cambiamento nasce dall’accoglienza, non dal giudizio.

Quando una persona sceglie di chiedere aiuto, non sta rinunciando a se stessa: sta piuttosto entrando in contatto con la realtà del proprio vissuto. È un atto di responsabilità e di cura, perché significa riconoscere un limite, un bisogno, una ferita. In Gestalt questo è chiamato awareness, consapevolezza nel qui e ora: notare cosa accade dentro di noi nel momento presente, senza filtri o maschere.

Il percorso terapeutico non è mai lineare, non procede per “successi” e “fallimenti”. È piuttosto un processo ciclico di contatto, interruzioni e nuove scoperte. Ogni volta che si torna in terapia, o che si decide di proseguire, non si ricade in un fallimento: si rinnova il coraggio di guardare se stessi con più chiarezza.

Come ricorda anche Yontef, uno dei principali esponenti della Gestalt contemporanea, la consapevolezza è curativa in sé, perché porta a sperimentare la vita con maggiore autenticità e meno rigidità.

👉 In questo senso, la psicoterapia non è un segno di debolezza, ma un laboratorio di libertà: un luogo in cui si impara a trasformare la voce giudicante in ascolto, e il senso di fallimento in possibilità di crescita.

29/07/2025

Hai difficoltà ad esprimere i tuoi pensieri e le tue emozioni? Spesso ti ritrovi a far finta di niente o, al contrario, a reagire con modi un po'

Domare i pensieri intrusivi: il potere della mente consapevole"I pensieri non sono fatti. I pensieri non sono per forza ...
25/07/2025

Domare i pensieri intrusivi: il potere della mente consapevole

"I pensieri non sono fatti. I pensieri non sono per forza veri. I pensieri non sono ordini."
— Steven C. Hayes (fondatore della Terapia dell’Accettazione e Impegno)

Ogni volta che un pensiero intrusivo si affaccia nella nostra mente, abbiamo una scelta. Possiamo cedere al suo richiamo, come Ulisse alle sirene, o possiamo riconoscerlo per ciò che è: un’eco del passato, una distorsione, un meccanismo della mente che cerca un senso, spesso nel posto sbagliato.

Visualizza una volontà interiore potente.
Immagina di poter evocare dentro di te una forza lucida, una presenza silenziosa ma ferma, che allontana il pensiero come un vento che spazza le nubi. Non alimentarlo. Non seguirlo. Non dargli casa. Lascialo andare.

"La mente può essere la nostra più grande prigione o la nostra più grande libertà."
— Jon Kabat-Zinn

I pensieri intrusivi non sono la realtà. Ma possono influenzarla, se lasciamo che si sedimentino, che si ripetano, che diventino la voce dominante del nostro dialogo interiore.

🔸 Non entrare nel rimuginio.
🔸 Non restare a discutere con l’angoscia.
🔸 Superala. Oltre il pensiero, c'è una voce più profonda: quella parte di te che sta cercando di comunicare attraverso il disagio, e che ha bisogno di ascolto consapevole, non di giudizio.

"Colui che conquista se stesso è il più potente guerriero."
— Confucio

Possediamo un potere immenso: disciplinare la mente.
E quando riusciamo a farlo, diventiamo padroni della nostra rotta. Le sirene del pensiero disfunzionale non scompaiono, ma non ci guidano più. Siamo noi a scegliere cosa nutrire e cosa lasciare andare.

"Non possiamo evitare di avere pensieri negativi. Ma possiamo scegliere di non danzare con loro."
— Susan David

Rimani centrato. Ricorda: i pensieri non sono te. Tu sei colui che osserva.
E questo osservatore ha un potere enorme: quello di scegliere la realtà che costruisce giorno dopo giorno.

Mat

Tratti borderline e il bisogno irrefrenabile di soddisfare un vuoto interioreLe persone con tratti borderline sperimenta...
22/07/2025

Tratti borderline e il bisogno irrefrenabile di soddisfare un vuoto interiore

Le persone con tratti borderline sperimentano una intensa instabilità emotiva e relazionale, spesso accompagnata da una costante sensazione di vuoto interiore. Questo vuoto può diventare insopportabile e alimentare una necessità irrefrenabile di colmarlo attraverso l’altro: una persona, un riconoscimento, un gesto, una risposta immediata.

Il bisogno che si attiva non è semplicemente un desiderio, ma un’urgenza bruciante, che viene vissuta come una questione di sopravvivenza emotiva. In questo stato, emozioni come la gelosia, l’invidia o la percezione di non essere all’altezza possono diventare travolgenti, perché la mente borderline tende a estremizzare le esperienze, polarizzandole in “tutto” o “nulla”.

Se l’altro ha qualcosa che io non ho, amore, attenzione, valore, successo, questo può attivare un vissuto profondo di abbandono o rifiuto, anche se non è reale, ma solo percepito. Da lì nasce l’impulso a “fare qualcosa subito”, a ottenere quella cosa per calmare l’angoscia. È un tentativo di riparare un sé fragile e frammentato, ma attraverso dinamiche impulsive o dipendenti.

Purtroppo, questo ciclo raramente porta sollievo duraturo: il bisogno si ripresenta sotto nuove forme, e l’identità rimane fragile, oscillante tra il bisogno d’amore e la paura del rifiuto, tra idealizzazione e svalutazione dell’altro.

Quando senti che il bisogno ti travolge…
(Consigli per chi vive tratti borderline)

A volte senti che quel bisogno deve essere colmato subito.
Che se non ottieni attenzione, amore, conferme… qualcosa dentro di te si spezza.
Può essere gelosia. Invidia. Un senso profondo di non valere abbastanza.
E allora ti attivi. Reagisci. Cerchi. Ti perdi.

🌀 Fermati. Respira. Non sei solo/a.

Ecco alcuni passi che possono aiutarti in quei momenti:

🔹 1. Riconosci l’attivazione
Nota quando l’urgenza ti invade. Non serve bloccarla, ma riconoscerla.
"Mi sto sentendo in pericolo… ma non è un pericolo reale. È emotivo."

🔹 2. Rimanda l’azione impulsiva
Anche solo 5 minuti di pausa possono cambiare tutto. Bevi un bicchiere d'acqua. Vai in bagno. Cammina. Respira.
Il tempo è alleato della chiarezza.

🔹 3. Scrivi cosa senti (non cosa vuoi ottenere)
Scrivi su carta o sul telefono:
"Sento gelosia perché temo di non essere importante. Mi sento escluso/a. Ho paura."

🔹 4. Riporta lo sguardo su di te
Chiediti: Cosa sto cercando in quell’altro che non sto trovando in me?
Spesso non è l’altro. È la tua ferita che parla.

🔹 5. Coltiva relazioni terapeutiche e sicure
Non devi farcela da solo/a.
Un percorso psicoterapeutico può aiutarti a costruire una base sicura, una relazione in cui esplorare queste emozioni senza giudizio.

💬 Ricorda: tu non sei le tue emozioni. Sei molto di più.
Anche quando tutto ti sembra troppo, anche quando ti senti "sbagliato/a", c’è un centro in te che può restare saldo. E puoi imparare a tornare lì, passo dopo passo.

Mat

Vivere con il sospetto: uno sguardo gestaltico sulla paranoia e le azioni degli altriLa psicoterapia della Gestalt parte...
05/07/2025

Vivere con il sospetto: uno sguardo gestaltico sulla paranoia e le azioni degli altri

La psicoterapia della Gestalt parte dal presupposto che il nostro modo di entrare in contatto con l’ambiente determina il nostro modo di percepire il mondo e costruire significati. In presenza di pensieri paranoici, il contatto si deforma: l’altro non è più una presenza con cui confrontarsi, ma un possibile pericolo da cui difendersi. La paranoia è una forma di adattamento rigido a un mondo percepito come ostile, dove l'altro viene interpretato come agente di danno anche in assenza di prove concrete.

Fritz Perls, fondatore della Gestalt, scriveva:
"Le persone proiettano su altri ciò che non possono accettare di sé. La paranoia è l'introiezione rovesciata della propria ostilità."

Quando un paziente racconta di vivere un contesto nel quale altri “tramano” contro di lui o agiscono in modo ambiguo o minaccioso, il terapeuta non nega la possibilità reale del conflitto, ma esplora con attenzione il modo in cui viene vissuto, riconoscendo la complessità del confine tra percezione e costruzione soggettiva.

Nel lavoro gestaltico non ci si chiede solo “È vero o falso ciò che pensi?”, ma piuttosto:
“Come stai costruendo il significato di ciò che percepisci?”
Si esplora se e come l’altro sia davvero coinvolto in un atto ostile, o se il vissuto paranoico stia rivelando una difficoltà interna nel sostenere l'incertezza, il dubbio, o la vulnerabilità del contatto.

In alcuni casi, la mente tende a strutturare il sospetto attraverso segnali minimi: un silenzio, uno sguardo, un’esclusione non esplicita. Questo processo non è da banalizzare. Va compreso come una strategia di protezione dell’identità, che cerca coerenza e sicurezza in uno schema prevedibile: “Se l’altro è contro di me, almeno so cosa aspettarmi.”

Paul Watzlawick osservava:
“Quando si è convinti di qualcosa, ogni evidenza diventa conferma, ogni contraddizione viene reinterpretata.”

La terapia aiuta allora a creare spazi di sospensione del giudizio, dove il paziente possa esplorare:
– da dove nasce il sospetto
– cosa evoca
– che funzione ha nella sua organizzazione psichica
– che prezzo comporta mantenerlo attivo

Cosa mi fa pensare che quella persona stia agendo contro di me?

Ci sono prove oggettive o sto interpretando segnali ambigui?

Cosa provo quando sento che l’altro può farmi del male? Rabbia? Paura? Vergogna?

Cosa succederebbe se mi aprissi alla possibilità che non ci sia un’intenzione negativa?

Che storie della mia vita passata risuonano con questo vissuto?

Qual è il bisogno profondo che si attiva in me quando sento minaccia?

Cosa perdo se lascio andare questa visione? Cosa proteggo?

L’obiettivo non è “smettere di pensare male”, ma abitare con più consapevolezza il modo in cui costruiamo il mondo interpersonale.
Tra la realtà oggettiva e l’immaginazione persecutoria si apre uno spazio terapeutico fertile, in cui il paziente può imparare a distinguere ciò che è, da ciò che teme.

“La realtà è un insieme di figure che scegliamo di mettere a fuoco, su uno sfondo che spesso ci rifiutiamo di vedere.”

Le dinamiche oppositive nelle relazioni di coppia: la lotta tra protezione e vulnerabilitàIn molte relazioni di coppia s...
03/07/2025

Le dinamiche oppositive nelle relazioni di coppia: la lotta tra protezione e vulnerabilità

In molte relazioni di coppia si manifestano dinamiche croniche e disfunzionali in cui l’intimità, invece di rappresentare uno spazio sicuro di accoglienza e fiducia reciproca, diventa un terreno di scontro e di difesa. In questi casi, ciascun partner tende ad agire modalità relazionali oppositive, caratterizzate da chiusure emotive, attacchi, colpevolizzazioni o ritiri affettivi, generando un ciclo interattivo rigido e ripetitivo.

Queste modalità hanno spesso origine in un'antica paura: quella di essere feriti o abbandonati. Come afferma Sue Johnson, fondatrice dell’EFT (Emotionally Focused Therapy), “dietro ogni critica c'è una richiesta d'amore; dietro ogni attacco, un grido di aiuto”. Nelle coppie in difficoltà, il bisogno profondo di connessione e riconoscimento viene mascherato da comportamenti protettivi, che mirano a evitare la vulnerabilità ma finiscono per ampliare la distanza emotiva.

Spesso, il conflitto diventa una modalità paradossale per sentirsi vicini, dove lo scontro prende il posto della vicinanza autentica. Entrambi i partner, pur desiderando intimità e comprensione, temono di “perdersi” nell’altro, di non essere visti per ciò che sono o, peggio, di essere invalidati nel momento in cui si mostrano fragili. Come scrive Harville Hendrix, ideatore dell’Imago Relationship Therapy, “ciascuno di noi cerca inconsciamente un partner che tocchi le nostre ferite più profonde, ma non sempre siamo pronti a tollerare il dolore che ne deriva”.

In queste configurazioni relazionali, la difesa prende il sopravvento: ci si protegge attaccando, ci si afferma svalutando l’altro, si evitano l’intimità e il contatto emotivo per non rischiare di essere respinti. Il bisogno di protezione personale diventa più forte del desiderio di connessione, e l’amore si trasforma in un campo minato emotivo dove è difficile cedere le armi.

L’elemento centrale di queste dinamiche è il timore della vulnerabilità come pericolo e non come ponte verso l’altro. Il partner viene percepito al contempo come risorsa e come minaccia: l’unico che potrebbe comprenderci davvero, e al contempo colui che ha il potere di farci più male.

Solo attraverso un lavoro di consapevolezza e ristrutturazione dei propri copioni affettivi, è possibile interrompere questi cicli disfunzionali. La terapia di coppia offre uno spazio in cui questi schemi possono essere visti, nominati e trasformati, favorendo l’emergere di modalità comunicative fondate sulla responsabilità emotiva e sulla capacità di stare nel legame in modo adulto.

Come ricorda David Schnarch, “la differenziazione, non la fusione, è la chiave dell’intimità: due individui solidi, che non si annullano ma si incontrano nella verità di ciò che sono”.

Mat 💫

09/01/2025

Il trauma spesso lascia le persone bloccate in un ciclo di dolore, paura e confusione, rendendo difficile trovare un significato nella propria vita. Questa citazione di Nietzsche mette in evidenza l'importanza di avere uno scopo o un significato che ci sostenga anche nei momenti più difficili - perché "chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come".

L’EMDR è una terapia che lavora per aiutare il paziente a rielaborare il ricordo traumatico, per ritrovare un "perché", integrandolo in modo sano nella propria storia personale. Questo processo può permettere di recuperare o scoprire un "perché" per andare avanti, un significato che dia forza e motivazione 💙

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Cagliari

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