Dr. Francesca Moroni Psicologa - Psicoterapeuta

Dr. Francesca Moroni Psicologa - Psicoterapeuta Terapia Breve Strategica

"Il presente si deteriora, prima in storia, poi in nostalgia."(Alain De Botton). Spesso alcune coppie portano in terapia...
18/11/2025

"Il presente si deteriora, prima in storia, poi in nostalgia."
(Alain De Botton).

Spesso alcune coppie portano in terapia la nostalgia del passato.
"In passato era diverso", "Il mio partner non è più come prima, è cambiato. Prima era più paziente, era più attento, era più spiritosa, era più appassionato, era più curiosa, aveva più cura di sé, ecc.ecc.".
Sembrerebbe che l'idea dominante, quello che la maggior parte delle coppie percepisce in misura direttamente proporzionale alla durata della relazione, è una frustrazione di fondo che può evolvere in fastidio fino ad arrivare a rabbia vera e propria 'perché tutto cambia'. D'altra parte, ciò che spesso si trascura, è che il cambiamento sia una costante, non un'eccezione dunque, diviene strategico evitare di assecondare questa nostalgia del passato che nasce, principalmente, dalla difficoltà che comporti riconoscere sia il proprio cambiamento che quello altrui e, soprattutto, accettarli entrambi.

Innanzitutto, bisogna evidenziare che spesso del proprio passato si ricordano solo le cose belle per via della loro mancanza ma non tutte le altre. Come ha scritto Stephen King "Quando c'è in ballo il passato siamo tutti romanzieri", come a dire che siamo bravi a raccontarci solo quello che vogliamo ricordare.
Secondo poi, i partner spesso ricorrono a quella che Julio Velasco, CT della nazionale italiana di pallavolo femminile, ha battezzato anni fa 'la cultura degli alibi', per definire la tendenza a spiegare il fatto che certe cose vanno male mediante il ricorso a giustificazioni che deresponsabilizzano colui che se ne lamenta. Un esempio è rappresentato dalla persona che afferma di non essere più affettuosa col proprio partner poiché, al rientro a casa dopo una lunga giornata di lavoro o dietro le normali incombenze del vivere quotidiano, è pervasa dalla stanchezza. O ancora, i partner che sottolineano tutte le disattenzioni dell'altro, ad esempio "è sempre attaccato al cellulare" oppure "ritaglia un po' di tempo solo per i figli" ecc. e per questi motivi prendono le distanze affettive ed emotive fino alla tanto temuta anestesia che conduce allo scarso trasporto e, frequentemente, all'astinenza sessuale.

La cultura degli alibi ci impedisce di imparare, ci impedisce di apprendere dai nostri errori perché ci fa sempre percepire come vittime di quello che consideriamo l'errore altrui, come se fossimo sempre dalla parte della ragione, senza renderci conto che facciamo parte di uno scambio di natura circolare per cui a ogni nostra azione corrisponde una reazione e così via, in una circolarità dinamica in cui noi e il nostro partner ci influenziamo a vicenda, incessantemente.

Paul Watzlawick ci insegna che i sistemi interazionali possono essere considerati circuiti di retroazione, poiché il comportamento di ogni persona influenza ed è influenzato dal comportamento di ogni altra persona. Ma anche ipotizzando che, in una data situazione, fosse accertato che il comportamento errato sia quello del nostro partner, la domanda che dobbiamo porci è "che cosa facciamo noi di fronte all'errore dell'altro?", ci sediamo impettiti sul trono della ragione, tristemente soli, oppure cerchiamo di fare qualcosa per cambiare il risultato?
Ricordiamoci sempre che in una relazione di coppia non siamo avversari del nostro partner, non esiste un vincitore e un perdente.
In una coppia o si vince insieme, o si perde insieme.
I veri avversari da ba***re sono i nostri i limiti e i nostri difetti, ma la difficoltà è data proprio dal fatto che spesso non accettiamo che questo avversario esista, non accettiamo di riconoscere le nostre imperfezioni, le nostre mancanze, è molto più facile vedere quelli del partner e se tentiamo di combatterli, ne usciremo sempre sconfitti.

"Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo" affermava Gandhi.
E soprattutto, ricordiamoci che la perfezione non esiste. Esiste la perfettibilità, ossia la capacità di tendere a un perfezionamento, a un miglioramento della propria condizione. Invece di considerare l'errore come una dimostrazione di incapacità, iniziamo a considerarlo come parte di un processo assolutamente imprescindibile per imparare e dunque cambiare.

Un elemento fondamentale che consente di invertire il circolo vizioso di retroazioni negative e permette di farlo diventare un circolo virtuoso, è costituito dalla fiducia. In primis, la fiducia che si possa realizzare un cambiamento e, al contempo, la fiducia nel partner e nella sua volontà di andare nella stessa direzione.
Certo, quando le cose vanno bene è facile fidarsi ma è proprio quando vanno male che bisogna imparare ad avere fiducia. E avere fiducia vuol dire fare gioco di squadra.

Da ex pallavolista ho sempre avuto una predilezione per gli sport di squadra ed è per questo che ho sempre amato la metafora sportiva per descrivere le dinamiche di coppia.
La coppia può essere considerata una squadra tutti gli effetti: si tratta di un sistema caratterizzato da regole, funzioni, confini ecc. nel quale i partner devono concordare strategie comuni se vogliono riuscire a ottenere i risultati migliori, condividendo tempo, spazi, impegno e sacrificio.
Caratteristiche fondamentali sono allora la complicità, l'affinità, la fiducia reciproca. Sono necessarie la capacità di adattamento e di elaborazione di una strategia di gioco, l'intesa e la complementarietà. Comunicazione e dialogo sono elementi indispensabili per i partner che devono affrontare ogni giorno le nuove sfide che la vita propone loro. Di nuovo, o si vince insieme, o si perde insieme.
O per dirla con le parole di Velasco: "Finché non cade per terra, non è finita!".

12/11/2025

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10/10/2025

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08/10/2025
Post polemico. Anzi, pi***ne di dimensioni macroscopiche.Sono sdraiata sul divano da un'ora, priva di forze, con due ten...
06/09/2025

Post polemico. Anzi, pi***ne di dimensioni macroscopiche.

Sono sdraiata sul divano da un'ora, priva di forze, con due tentativi di svenimento fortunatamente smarcati e una discreta nausea in corso.
Lo preciso perché non fila sempre tutto liscio quando si va a donare il sangue ed è importante raccontare anche questo.
Oggi avevo la pressione troppo bassa, ovviamente l'ho scoperto durante la visita che viene effettuata prima del prelievo. Emoglobina buona, pressione 90 su 50. Per me è la norma, ho quasi sempre la pressione bassa, infatti faccio sempre colazione prima di andare a donare il sangue.
Oggi non è stato sufficiente quindi la dottoressa mi ha chiesto se me la sentissi di fare un'altra colazione e riprovarci. Dopo mezz'ora la pressione era 100 su 70, ancora al limite, a quel punto la dottoressa mi ha detto "se lei è d'accordo il sangue glielo prendiamo lo stesso, ci serve, siamo messi davvero malissimo". Mi racconta che qualche giorno fa, le sacche che dovevano arrivare dalla Regione Lombardia (che la Regione Sardegna COMPRA) non sono arrivate. Leggo che una sacca di sangue può costare all'ospedale fra i 260 e i 700 euro.
Una. Sacca. Non ne avevo idea.
Sapevo, invece, della mancata consegna delle sacche, avevo letto la notizia di qualche giorno prima.
La dottoressa mi dice che quel giorno il centro trasfusionale è rimasto con 60 sacche di sangue disponibili. In tutto. Mi dice che, normalmente, per un intervento al cuore - casomai qualcosa andasse storto - ne devono rendere disponibili almeno 40.
Per un solo intervento.
Ora proviamo a pensare a quanti interventi fanno in un giorno, in ogni ospedale sardo.
La dottoressa era di turno il giorno in cui erano previsti la consegna e lo smistamento ed è stata lei a dover comunicare a tutti i reparti di far uscire dalle sale operatorie i pazienti già pronti in attesa perché il sangue non c'era.
Per non parlare dei pazienti che sono costretti dalle loro patologie a fare trasfusioni un giorno sì e l'altro pure.
La dottoressa, evidentemente emozionata, mi ha detto che quel giorno si è disperata e arrabbiata perché "a ogni foglio di richiesta di sangue c'è una persona, c'è la sua salute, c'è la sua vita".
Ora, proviamo a immaginare di essere noi una di quelle persone in attesa di un intervento chirurgico programmato - per non parlare poi di quelli in urgenza - pensiamo alla paura, all'ansia dei nostri familiari, pensiamo al pre-operatorio e a ciò che comporta (e chi ha subito interventi sa cosa significhi) e pensiamo di averlo fatto per niente perché salta l'intervento. Oppure potrebbe essere un nostro familiare ad averne bisogno e pregheremmo che quel sangue fosse disponibile per lui. Pensiamo a chi sta facendo delle chemioterapie salvavita e deve rimandarle perché ha l'emoglobina sotto ai piedi e rimane ore in reparto in attesa delle sacche di sangue.
Pensiamo a tutti i talassemici - la Sardegna è la regione col più alto tasso di beta-talassemia d'Italia - che devono fare trasfusioni regolarmente, esponendosi anche ai rischi che queste comportano.
Bene, io non posso e non voglio credere che ancora oggi così poche persone vadano a donare il loro benedetto sangue in Sardegna.
E lo so che sono poche perché oggi, nel tempo che sono rimasta lì, ne ho contate solo nove. Ma certo, oggi è sabato, è una bella giornata di settembre e noi sardi ce ne andiamo al mare.
Se siamo sani.
Non voglio credere che il motivo sia la paura dell'ago o della vista del sangue, perché tutti abbiamo a che fare con le analisi di routine.
Se siamo sani.
Non posso credere che le persone siano così ignoranti da non sapere che dopo una donazione di sangue il plasma e il volume del sangue si ripristinano in poche ore, le piastrine e i globuli bianchi tra le 24 e le 48 ore e i globuli rossi in tre settimane circa.
Se siamo sani.
Non posso credere che tutti abbiano patologie croniche o gravi da impedire di diventare donatori.
O tutti abbiano appena fatto un tatuaggio.
O tutti abbiano comportamenti sessuali a rischio tali da impedire la donazione. Ok, probabilmente molti, ma non tutti.
Sempre se c'è la benedetta salute.
È vero, donare il sangue può comportare delle difficoltà, ad esempio oggi per me è una di quelle giornate ma non è sempre così e, soprattutto, posso permettermi di stare a riposo. Primo perché scelgo di donare il sangue il sabato mattina, secondo perché se non fossi una libera professionista, mi rilascerebbero il certificato per prendermi il giorno libero al lavoro.
Mentre aspettavo che la seconda colazione mi risollevasse la pressione, guardavo le foto della manifestazione pro Palestina svoltasi ieri a Cagliari. Bellissimo vedere così tante persone partecipare al corteo. Ho pensato "chissà quante di queste persone vanno a donare il sangue".
E non rompetemi le p***e dicendomi che cosa c'entra, perché siamo tutti bravi a indignarci, a stare male per l'orrore di cui leggiamo tutti i giorni o a piangere davanti ai video - non so voi ma a me sta succedendo questo - però poi quando si tratta di fare dei piccoli gesti di concreta generosità, di cura per il prossimo, nell'ospedale della propria città, tutti a cagarci in mano per le nostre piccole, miserabili paure.
O peggio, per noncuranza.
Ecco, oggi avevo proprio voglia di essere pesante e rompicoglioni perché lo sguardo di impotenza e frustrazione della dottoressa del centro trasfusionale del Brotzu di Cagliari non ve lo so davvero descrivere.

"Ciò che conta davvero è la capacità di accogliere e ascoltare anche ciò che non ci piace, riuscire a capire che cosa i ...
07/08/2025

"Ciò che conta davvero è la capacità di accogliere e ascoltare anche ciò che non ci piace, riuscire a capire che cosa i figli hanno da dirci. Una comprensione che senza una reale identificazione può difficilmente essere raggiunta. Sempre più spesso invece, padri, madri, insegnanti e anche terapeuti non riescono a identificarsi con l'adolescente che hanno di fronte, ma agiscono per la pura necessità di fare qualcosa, di sentirsi autorevoli e in pace con se stessi per aver svolto il proprio mandato educativo. Magari ascoltano, ma senza sentire.
[...] Madri e padri proiettano sui figli i propri bisogni e ciò che hanno necessità di sentirsi dire e confermare da loro.
[...] siamo noi a non aver colto che la famiglia è fatta per mettere al mondo, non per avere in mente dei soggetti che crescano facendoti sentire che sono proprio se stessi, ma che, guarda caso, sono se stessi come ti aspetti tu, e non in nome dell'ideale ma il nome della tua fragilità."

Questo è un libro da leggere. Ora, subito, anzi siamo già in ritardo. Non parlo da psicoterapeuta perché sarebbe troppo facile dire di essere totalmente d'accordo col collega, lui si occupa da trent'anni di adolescenti, sa di cosa scrive e lo fa con grande obiettività e serietà.
In questo momento parlo da mamma che durante la lettura si è sentita schiaffeggiare un paio di volte da alcuni passaggi che mi hanno mostrato tutta la mia fragilità in questo ruolo. Le mie paure travestite da protezione, il mio sguardo sempre posato su ogni azione, atteggiamento o comportamento per prevenire, per sorreggere o più semplicemente esserci. E il mio autoinganno? Lo faccio per lui, per fargli sentire che sono presente. Ma quante volte l'ho fatto per me? Per sentirmi a posto con la mia coscienza, per sentirmi diversa dalle madri "che mollano i propri figli", per elevare il livello della comunicazione alla massima potenza. Certo, non è tutto negativo ma quanto devo aver chiesto, implicitamente, di essere rassicurata sul mio essere una brava mamma? Leggendo questo saggio mi sono fatta pena e tenerezza allo stesso tempo. Quanto meno non sono tra quei genitori che demonizzano i videogiochi, mi sono sempre piaciuti e ho saltato più di un appello all'Università perché passavo interi pomeriggi a giocare a Tomb Rider. Momento confessione.
Ok, i social hanno cambiato un sacco di cose nelle regole del gioco della comunicazione e della relazione e l'intelligenza artificiale sta evolvendo sempre di più ma imputare i danni a queste realtà significa de-responsabilizzarci nel ruolo di adulti.
Leggere questo libro può aiutare a farsi un bell'esame di coscienza, sicuramente costringerà a più di una riflessione.

16/07/2025
"Non ho mai veramente premeditato di non tornare più a vedere i miei genitori, né ho mai ipotizzato che potesse succeder...
27/06/2025

"Non ho mai veramente premeditato di non tornare più a vedere i miei genitori, né ho mai ipotizzato che potesse succedere. Perché? Non che non lo volessi, credo. Piuttosto il pensiero, che così esposto si configura come un abbandono, apparteneva al novero degli atti non formulabili, agli spropositi della ragione ancora prima che della morale. Si possono abbandonare i propri genitori? O meglio, ci si può sottrarre a loro, semplicemente togliendo il proprio corpo di mezzo con un gesto netto e definitivo? E condannarli a vivere il resto dei propri giorni, per così dire, con un arto fantasma? Non è una risposta che si possa dire in maniera affermativa. Si può solo fare, e io lo feci, con quella ponderatezza definitiva che solo l'istinto consente, perché la ragione, impaurita, altrimenti arretrerebbe."

La lettura di un romanzo come L'anniversario costringe ad alcune riflessioni personali. Obbliga a pensare alla propria famiglia d'origine e agli equilibri su cui si è retta nel corso degli anni, alle dinamiche di relazione, di comunicazione e di potere che l'hanno caratterizzata, sia negli scambi fra genitori, che fra genitori e figli e infine tra fratelli.
Io lo faccio spesso, rileggo alla luce di ciò che vivo le esperienze che ho vissuto nella mia famiglia. E scopro da adulta quanti doppi legami, quanti atteggiamenti e comportamenti mi abbiano plasmata, nel bene e nel male, quante paure siano cresciute alimentate dai miei genitori che involontariamente le hanno veicolate, spesso con le buone intenzioni. Ma riscopro anche la tenerezza, l'accudimento, lo sprone dietro a tanti altri atteggiamenti e comportamenti che hanno contribuito a rendermi la persona che sono. Non esiste la famiglia perfetta ma sicuramente esistono le famiglie funzionali.
Quella di Bajani non lo era e lui, dolorosamente, lo rivela pagina dopo pagina, descrivendo la quotidianità e parlando più di ciò che i suoi genitori non sono stati che di ciò che sono stati. I fatti vengono disvelati e centellinati lungo la narrazione, ciò che traspare fra le righe è la paura, generatrice di un'ansia che traduce in sintomi fisici l'impossibilità di capire perché ci si possa comportare in un determinato modo, così violento e privo di ogni bene o cura per l'altro. Una madre completamente annullata nella relazione con un padre disturbato(?) cattivo(?) egoista(?), sicuramente incapace. E due figli che reagiscono all'opposto, chi con e chi senza ribellione, fino al punto finale di rottura. La prosa è perfetta, ricercata senza mai appesantirsi, le frasi sono misurate e precise. Immagino quanta forza sia stata impressa sul foglio per tradurre in inchiostro tutte quelle emozioni e quelle riflessioni. Un compito terapeutico, in fondo si tratta di questo. E proprio per questo, per l'angoscia e il senso opprimente di incapacità a reagire che permea tutta la narrazione, potrebbe non piacere. Direbbe a tal proposito Shakespeare: "Date parole al vostro dolore; il dolore che non parla sussurra al cuore troppo gonfio e lo invita a spezzarsi".

Ho acquistato questo libro perché le neuroscienze mi stanno appassionando molto ma non abbastanza da dedicarmi allo stud...
29/01/2025

Ho acquistato questo libro perché le neuroscienze mi stanno appassionando molto ma non abbastanza da dedicarmi allo studio di tomi universitari o testi troppo specialistici. La fioritura dei neuroni è un'espressione azzeccata per spiegarci, in uno stile scorrevole, chiaro e ricco di esempi, come sia possibile per tutti noi coltivare la nostra intelligenza per tutta la vita. Certo, c'è chi deve partire da un terreno poco fertile ma insomma, non stiamo a sottilizzare!!! L'autrice descrive e racconta gli studi sulla neurogenesi degli adulti parlando del cervello come di un giardino di cui possiamo prenderci cura, innaffiandolo, potando i rami secchi, lasciando germogliare nuove piantine.
Una bellissima metafora che ci restituisce la responsabilità di coltivare ogni giorno l'organo più complesso e affascinante del nostro organismo.

Indirizzo

Via Alziator, 15
Cagliari
09126

Orario di apertura

Lunedì 10:00 - 18:30
Martedì 09:00 - 13:00
Mercoledì 10:00 - 18:30
Giovedì 09:00 - 13:00
Venerdì 09:00 - 15:00
Sabato 09:00 - 13:00

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