03/09/2025
Quando inizio un percorso con un adolescente o giovane adulto, mi capita di usare questa metafora: un uccellino può rinforzare le ali con impegno e costanza, ma volerà davvero alto solo se trova correnti favorevoli che lo accompagnano nel cielo.
In questi casi, infatti, sullo sfondo, ma fondamentali, ci sono i genitori.
Il rapporto tra psicoterapeuta e genitore è estremamente delicato: non si tratta solo di ottenere consensi o di aggiornare con costanza, si tratta di creare un rapporto di fiducia che prevede collaborazione e co-costruzione di confini chiari.
Non è questione di allearsi con il figlio o il genitore, non è una questione di schieramenti… la psicoterapia non è un tribunale in cui giudicare il lavoro dei genitori. Non esiste un libretto di istruzioni del “perfetto genitore”: pur cercando di fare del proprio meglio può sbagliare, ma non spetta allo psicologo giudicarne l’operato.
Lo psicologo ha il compito di custodire uno spazio sicuro in cui il ragazzo possa sentirsi libero di esplorare ciò che vive, anche (e soprattutto) in famiglia.
I genitori non sono esclusi. Se ben integrato, il loro ruolo diventa una importante risorsa. I genitori possono essere sostenuti nel comprendere i bisogni emotivi dei figli, nel riconoscere dinamiche che si ripetono, nel tollerare il disagio del non poter intervenire per “aggiustare”. Questo spesso significa tollerare la distanza: accettare di non sapere tutto ciò che accade in seduta, fidarsi del processo, rispettare i tempi e i confini del figlio.
Lo so, può essere estremamente frustrante e spesso difficile da comprendere, ma il rispetto dei confini e dello spazio è fondamentale.
Ogni famiglia è diversa e ogni terapeuta costruisce con i genitori un modo unico di collaborare.
A prescindere da ciò, la direzione rimane sempre la stessa: mettere al centro il benessere del giovane, in un clima di rispetto reciproco e ascolto autentico.