08/11/2025
MICROBIOTA E SONNO.
COSA SUCCEDE NELL'INTESTINO QUANDO DORMIAMO MALE
Dormiamo peggio di quanto pensiamo. E una delle cause potrebbe nascondersi nell’intestino. Una nuova review pubblicata su Brain Medicine mette in fila le prove che collegano il microbiota – cioè l’insieme dei miliardi di microrganismi che abitano il nostro apparato digerente – ai disturbi del sonno più comuni: insonnia, apnea ostruttiva nel sonno (OSA), alterazioni del ritmo circadiano, fino a condizioni come la narcolessia e il REM sleep behavior disorder (RBD).
Non si tratta del solito elenco di “cibi che fanno dormire”: il quadro che emerge è più profondo e intreccia metaboliti come gli acidi biliari e gli acidi grassi a catena corta, neurotrasmettitori come GABA e serotonina, e i grandi “cavi” che portano segnali dal ventre al cervello, come il nervo vago e l’asse ipotalamo–ipofisi–surrene. L’idea di fondo è semplice: quando la flora intestinale cambia, cambiano i messaggi che viaggiano lungo l’asse intestino–cervello, e questi messaggi possono facilitare o disturbare il sonno.
INSONNIA E INTESTINO
Partiamo dall’insonnia, il disturbo più diffuso. Chi soffre di insonnia cronica presenta spesso una minore diversità del microbiota – in pratica una “foresta” microbica più povera – e una comunità batterica riorganizzata rispetto a chi dorme bene. Un segnale particolarmente interessante riguarda il profilo degli acidi biliari, molecole derivate dal colesterolo che aiutano a digerire i grassi ma sono anche veri e propri ormoni metabolici: negli insonni si osservano livelli più alti di acidi biliari primari e più bassi di secondari, quelli che normalmente i batteri trasformano nell’intestino.
Questo sbilanciamento, replicato in una coorte indipendente, è stato collegato a gruppi batterici come le Ruminococcaceae e ad indicatori di rischio cardiometabolico. Tradotto: le notti in bianco non “pesano” solo sull’umore, ma si intrecciano con vie biologiche che riguardano cuore, metabolismo e infiammazione.
LE APNEE NOTTURNE E IL RITMO SONNO-VEGLIA
Nell’OSA, il disegno cambia ma la sostanza resta: si nota spesso una riduzione della diversità e una caduta di alcuni produttori di acidi grassi a catena corta (SCFA), in particolare nei casi più gravi. Uno dei gruppi che più spesso si assottiglia è ancora quello delle Ruminococcaceae.
Queste variazioni si correlano con l’indice di apnea–ipopnea, la metrica che quantifica la severità delle pause respiratorie notturne. Non significa che i medici debbano monitorare la flora intestinale per diagnosticare l’OSA, ma suggerisce che la firma microbica potrebbe diventare in futuro un utile biomarcatore di supporto, affiancando trattamenti consolidati come la CPAP.
Quando il problema è il ritmo sonno–veglia – pensiamo ai turni notturni o al jet lag cronico – le evidenze, ancora preliminari nell’uomo, puntano verso un aumento relativo di Actinobacteria e Firmicutes e della specie Dorea longicatena. Queste modifiche si associano a una maggiore permeabilità intestinale e a fenomeni infiammatori, quei risvegli “gonfi e infiammati” che molti turnisti riconoscono sulla propria pelle. I modelli animali confermano che sfasare l’orologio biologico cambia la composizione del microbiota e accende un fuoco di basso grado nell’organismo; negli studi sull’uomo la direzione è simile, ma servono campioni più ampi e protocolli standardizzati.
GLI ALTRI DISTURBI DEL SONNO
Ci sono poi disturbi come la narcolessia e il RBD che, pur essendo meno frequenti, sono clinicamente rivelatori. Nella narcolessia di tipo 1 compaiono più spesso batteri del genere Klebsiella e calano generi considerati “amici” come Blautia e Lactococcus. Nel RBD – in cui la fase REM, normalmente caratterizzata da atonia muscolare, si accompagna a movimenti e comportamenti “da sogno agito” – compaiono meno batteri produttori di butirrato, come Faecalibacterium e Butyricicoccus. Questo è importante perché il RBD può precedere di anni la malattia di Parkinson: se davvero certe firme microbiche si muovono prima dei sintomi neurologici, potremmo trovarci davanti a campanelli d’allarme utili per una sorveglianza più attenta.
Il quadro si complica (e si arricchisce) quando parliamo di comorbidità neuropsichiatriche. Nei bambini con disturbi dello spettro autistico che presentano problemi di sonno, per esempio, alcuni indici di diversità aumentano, cala Faecalibacterium e la chimica dei metaboliti si sposta: meno melatonina, più serotonina. Sono cambiamenti che intrecciano comportamento, sonno e biologia intestinale e che molti caregiver, nella pratica, “sentono” osservando le fluttuazioni quotidiane.
L’ASSE INTESTINO-CERVELLO
Come comunica l’intestino con il cervello del sonno? Gli acidi biliari sono una prima, potente risposta. Oltre a emulsionare i grassi, parlano con recettori che regolano glicemia, lipidi, infiammazione. Se la flora cambia, cambia il “dialetto” degli acidi biliari e con esso il tono metabolico generale, cosa che può riflettersi sulla qualità del sonno. Gli SCFA – acetato, propionato e butirrato – sono un altro capitolo: nascono dalla fermentazione delle fibre e hanno effetti su barriera intestinale, sistema immunitario, metabolismo energetico e, di riflesso, sui cicli sonno–veglia. I dati negli animali sono convincenti; nell’uomo l’impressione di beneficio c’è, ma serviranno trial più grandi per definire chi risponde, come e con quali dosi.
I neurotrasmettitori aggiungono una tessera cruciale. Diversi batteri – tra cui specie di Lactobacillus e Bifidobacterium – possiedono l’enzima per produrre GABA, il principale freno del sistema nervoso. Antibiotici che “spengono” il microbiota abbassano i livelli di GABA nel cieco; somministrare GABA per bocca modifica alcune risposte all’EEG. Non è la prova definitiva che i batteri ci facciano addormentare, ma suggerisce che esiste un corridoio di segnali “calmanti” che può favorire l’addormentamento e la continuità del sonno. Anche la serotonina, che per oltre il 90% viene prodotta nell’intestino, segue un ritmo: alta da svegli, più bassa in REM. Il microbiota regola il destino del triptofano, spingendolo verso la serotonina e influenzando a catena la sintesi di melatonina, l’ormone che sincronizza l’orologio interno. Ecco perché pasti tardivi, stress o disbiosi possono mandare fuori giri l’addormentamento.
A fare da ponte ci sono poi vie ormonali e neurali. L’asse ipotalamo–ipofisi–surrene modula la risposta allo stress e si riflette sul sonno; il nervo vago porta “in diretta” informazioni dall’intestino ai nuclei del tronco encefalico coinvolti nella regolazione sonno–veglia. La variabilità della frequenza cardiaca, spesso ridotta in insonnia e OSA, è un indizio di un tono vagale compromesso. Non stupisce che si stiano esplorando interventi come la stimolazione del nervo vago in alcune condizioni del sonno: se migliora il dialogo intestino–cervello, potrebbe migliorare anche la qualità del riposo.
MODULARE IL MICROBIOTA
E in pratica, cosa si può fare? Le soluzioni proposte dalla rassegna sono prudenti ma concrete. Aumentare le fibre prebiotiche nella dieta – dalle leguminose ai cereali integrali, dalla frutta alla verdura – può rimodellare il “pool” degli acidi biliari e stabilizzare i ritmi circadiani, un aiuto prezioso per chi fa turni o viaggia spesso. Probiotici ben selezionati e, in contesti specifici, il trapianto di microbiota fecale hanno mostrato miglioramenti in scale validate come PSQI, ISI ed ESS nei pazienti con insonnia, mentre nei bambini con ASD il trapianto è stato associato a punteggi più bassi alla Sleep Disturbance Scale for Children. Non sono terapie di prima linea e non sostituiscono i trattamenti standard, ma aprono una pista di medicina “di sistema” in cui sonno, intestino e metabolismo si curano insieme. Nell’OSA, il messaggio è di complementarità: la CPAP resta il cardine, ma affiancare controllo del peso, dieta ricca di fibre e supporto al microbiota può agire sia sui sintomi sia sui rischi cardiometabolici. Nel RBD, la riduzione di produttori di butirrato come Butyricicoccus potrebbe diventare un segnale da monitorare nei percorsi di follow-up, specie per il legame con il Parkinson.
Per persone e famiglie il punto di partenza resta uno stile di vita coerente con questa biologia. Pasti ricchi di fibre, orari regolari, luce naturale al mattino e buio la sera aiutano la produzione di SCFA, la sintesi di melatonina e un buon tono vagale. Fermentati culturali e accessibili – yogurt, kefir, crauti, kimchi – possono essere alleati quotidiani. Ma è altrettanto importante non cadere nella tentazione delle scorciatoie: nessun integratore sostituisce una CPAP in chi ne ha bisogno, nessun “probiotico miracoloso” risolve un’insonnia radicata senza affrontarne le cause comportamentali e cliniche. Se compaiono segnali di allarme – comportamenti anomali in REM, sonnolenza diurna marcata, peggioramento del tono dell’umore con disturbi gastrointestinali – vanno portati in ambulatorio, perché potrebbero indicare un intreccio di sonno e microbiota che merita una valutazione mirata.
Il messaggio finale della rassegna è insieme ambizioso e sobrio. Ambizioso perché mostra coerenze trasversali: diversi disturbi del sonno condividono spostamenti nella diversità microbica e nei metaboliti chiave, dal mondo degli acidi biliari e degli SCFA ai sentieri del GABA e della serotonina. Sobrio perché, al netto dei segnali promettenti sugli interventi – fibre, probiotici, FMT – servono studi più grandi, disegni più rigorosi e protocolli standard per capire davvero chi beneficia, quando e come. Nel frattempo abbiamo già molto da fare: costruire abitudini che nutrano il nostro microbiota, integrare approcci comportamentali e medici, e guardare al sonno non come a un interruttore che si spegne, ma come al risultato di un ecosistema – quello nell’intestino e quello nello stile di vita – che possiamo imparare a coltivare.
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Quando l'equilibrio del microbiota viene alterato, cambiano i messaggi che viaggiano lungo l’asse intestino–cervello, compromettendo la qualità del riposo. Approfondisci su MicrobiotaNews.