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08/11/2025

🥥 OLIO DI COCCO vs OLIO MCT: ENERGIA PURA PER CORPO E MENTE ⚡️

L’olio di cocco è ottenuto dalla polpa del frutto e contiene vari tipi di grassi saturi. È utile in cucina e per la pelle, fornisce energia ma viene metabolizzato più lentamente.

L’olio di cocco MCT (Medium Chain Triglycerides) è invece una versione concentrata e purificata, composta da grassi a catena media (C8 e C10) che il fegato trasforma immediatamente in energia e corpi chetonici 🔥

✅ BENEFICI PRINCIPALI:

Energia rapida e costante durante la giornata

Migliore concentrazione mentale

Supporto alla chetosi e al metabolismo dei grassi

Maggiore senso di sazietà

⚖️ COME ASSUMERLO CORRETTAMENTE:
Per evitare un surplus lipidico o disturbi intestinali, è importante suddividere la dose giornaliera in più momenti della giornata, iniziando con piccole quantità e aumentando gradualmente.

⚠️ ATTENZIONE: chi soffre di problemi al fegato o al pancreas dovrebbe consultare il medico prima dell’uso.

📚 Riferimenti: Journal of Nutrition (2018); Frontiers in Nutrition (2020); Nutrients (2022).

✨ In sintesi: l’olio di cocco nutre e protegge, l’olio MCT accende l’energia e la mente — ma come ogni nutriente, va dosato con equilibrio.

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👨‍🍳 Gianluca Comai
Cuoco specializzato in dietetica
Docente in educazione alimentare
Consulente nutrizionale per lo Sport

08/11/2025
MICROBIOTA E SONNO.COSA SUCCEDE NELL'INTESTINO QUANDO DORMIAMO MALE Dormiamo peggio di quanto pensiamo. E una delle caus...
08/11/2025

MICROBIOTA E SONNO.
COSA SUCCEDE NELL'INTESTINO QUANDO DORMIAMO MALE

Dormiamo peggio di quanto pensiamo. E una delle cause potrebbe nascondersi nell’intestino. Una nuova review pubblicata su Brain Medicine mette in fila le prove che collegano il microbiota – cioè l’insieme dei miliardi di microrganismi che abitano il nostro apparato digerente – ai disturbi del sonno più comuni: insonnia, apnea ostruttiva nel sonno (OSA), alterazioni del ritmo circadiano, fino a condizioni come la narcolessia e il REM sleep behavior disorder (RBD).

Non si tratta del solito elenco di “cibi che fanno dormire”: il quadro che emerge è più profondo e intreccia metaboliti come gli acidi biliari e gli acidi grassi a catena corta, neurotrasmettitori come GABA e serotonina, e i grandi “cavi” che portano segnali dal ventre al cervello, come il nervo vago e l’asse ipotalamo–ipofisi–surrene. L’idea di fondo è semplice: quando la flora intestinale cambia, cambiano i messaggi che viaggiano lungo l’asse intestino–cervello, e questi messaggi possono facilitare o disturbare il sonno.

INSONNIA E INTESTINO
Partiamo dall’insonnia, il disturbo più diffuso. Chi soffre di insonnia cronica presenta spesso una minore diversità del microbiota – in pratica una “foresta” microbica più povera – e una comunità batterica riorganizzata rispetto a chi dorme bene. Un segnale particolarmente interessante riguarda il profilo degli acidi biliari, molecole derivate dal colesterolo che aiutano a digerire i grassi ma sono anche veri e propri ormoni metabolici: negli insonni si osservano livelli più alti di acidi biliari primari e più bassi di secondari, quelli che normalmente i batteri trasformano nell’intestino.

Questo sbilanciamento, replicato in una coorte indipendente, è stato collegato a gruppi batterici come le Ruminococcaceae e ad indicatori di rischio cardiometabolico. Tradotto: le notti in bianco non “pesano” solo sull’umore, ma si intrecciano con vie biologiche che riguardano cuore, metabolismo e infiammazione.

LE APNEE NOTTURNE E IL RITMO SONNO-VEGLIA
Nell’OSA, il disegno cambia ma la sostanza resta: si nota spesso una riduzione della diversità e una caduta di alcuni produttori di acidi grassi a catena corta (SCFA), in particolare nei casi più gravi. Uno dei gruppi che più spesso si assottiglia è ancora quello delle Ruminococcaceae.

Queste variazioni si correlano con l’indice di apnea–ipopnea, la metrica che quantifica la severità delle pause respiratorie notturne. Non significa che i medici debbano monitorare la flora intestinale per diagnosticare l’OSA, ma suggerisce che la firma microbica potrebbe diventare in futuro un utile biomarcatore di supporto, affiancando trattamenti consolidati come la CPAP.

Quando il problema è il ritmo sonno–veglia – pensiamo ai turni notturni o al jet lag cronico – le evidenze, ancora preliminari nell’uomo, puntano verso un aumento relativo di Actinobacteria e Firmicutes e della specie Dorea longicatena. Queste modifiche si associano a una maggiore permeabilità intestinale e a fenomeni infiammatori, quei risvegli “gonfi e infiammati” che molti turnisti riconoscono sulla propria pelle. I modelli animali confermano che sfasare l’orologio biologico cambia la composizione del microbiota e accende un fuoco di basso grado nell’organismo; negli studi sull’uomo la direzione è simile, ma servono campioni più ampi e protocolli standardizzati.

GLI ALTRI DISTURBI DEL SONNO
Ci sono poi disturbi come la narcolessia e il RBD che, pur essendo meno frequenti, sono clinicamente rivelatori. Nella narcolessia di tipo 1 compaiono più spesso batteri del genere Klebsiella e calano generi considerati “amici” come Blautia e Lactococcus. Nel RBD – in cui la fase REM, normalmente caratterizzata da atonia muscolare, si accompagna a movimenti e comportamenti “da sogno agito” – compaiono meno batteri produttori di butirrato, come Faecalibacterium e Butyricicoccus. Questo è importante perché il RBD può precedere di anni la malattia di Parkinson: se davvero certe firme microbiche si muovono prima dei sintomi neurologici, potremmo trovarci davanti a campanelli d’allarme utili per una sorveglianza più attenta.

Il quadro si complica (e si arricchisce) quando parliamo di comorbidità neuropsichiatriche. Nei bambini con disturbi dello spettro autistico che presentano problemi di sonno, per esempio, alcuni indici di diversità aumentano, cala Faecalibacterium e la chimica dei metaboliti si sposta: meno melatonina, più serotonina. Sono cambiamenti che intrecciano comportamento, sonno e biologia intestinale e che molti caregiver, nella pratica, “sentono” osservando le fluttuazioni quotidiane.

L’ASSE INTESTINO-CERVELLO
Come comunica l’intestino con il cervello del sonno? Gli acidi biliari sono una prima, potente risposta. Oltre a emulsionare i grassi, parlano con recettori che regolano glicemia, lipidi, infiammazione. Se la flora cambia, cambia il “dialetto” degli acidi biliari e con esso il tono metabolico generale, cosa che può riflettersi sulla qualità del sonno. Gli SCFA – acetato, propionato e butirrato – sono un altro capitolo: nascono dalla fermentazione delle fibre e hanno effetti su barriera intestinale, sistema immunitario, metabolismo energetico e, di riflesso, sui cicli sonno–veglia. I dati negli animali sono convincenti; nell’uomo l’impressione di beneficio c’è, ma serviranno trial più grandi per definire chi risponde, come e con quali dosi.

I neurotrasmettitori aggiungono una tessera cruciale. Diversi batteri – tra cui specie di Lactobacillus e Bifidobacterium – possiedono l’enzima per produrre GABA, il principale freno del sistema nervoso. Antibiotici che “spengono” il microbiota abbassano i livelli di GABA nel cieco; somministrare GABA per bocca modifica alcune risposte all’EEG. Non è la prova definitiva che i batteri ci facciano addormentare, ma suggerisce che esiste un corridoio di segnali “calmanti” che può favorire l’addormentamento e la continuità del sonno. Anche la serotonina, che per oltre il 90% viene prodotta nell’intestino, segue un ritmo: alta da svegli, più bassa in REM. Il microbiota regola il destino del triptofano, spingendolo verso la serotonina e influenzando a catena la sintesi di melatonina, l’ormone che sincronizza l’orologio interno. Ecco perché pasti tardivi, stress o disbiosi possono mandare fuori giri l’addormentamento.

A fare da ponte ci sono poi vie ormonali e neurali. L’asse ipotalamo–ipofisi–surrene modula la risposta allo stress e si riflette sul sonno; il nervo vago porta “in diretta” informazioni dall’intestino ai nuclei del tronco encefalico coinvolti nella regolazione sonno–veglia. La variabilità della frequenza cardiaca, spesso ridotta in insonnia e OSA, è un indizio di un tono vagale compromesso. Non stupisce che si stiano esplorando interventi come la stimolazione del nervo vago in alcune condizioni del sonno: se migliora il dialogo intestino–cervello, potrebbe migliorare anche la qualità del riposo.

MODULARE IL MICROBIOTA
E in pratica, cosa si può fare? Le soluzioni proposte dalla rassegna sono prudenti ma concrete. Aumentare le fibre prebiotiche nella dieta – dalle leguminose ai cereali integrali, dalla frutta alla verdura – può rimodellare il “pool” degli acidi biliari e stabilizzare i ritmi circadiani, un aiuto prezioso per chi fa turni o viaggia spesso. Probiotici ben selezionati e, in contesti specifici, il trapianto di microbiota fecale hanno mostrato miglioramenti in scale validate come PSQI, ISI ed ESS nei pazienti con insonnia, mentre nei bambini con ASD il trapianto è stato associato a punteggi più bassi alla Sleep Disturbance Scale for Children. Non sono terapie di prima linea e non sostituiscono i trattamenti standard, ma aprono una pista di medicina “di sistema” in cui sonno, intestino e metabolismo si curano insieme. Nell’OSA, il messaggio è di complementarità: la CPAP resta il cardine, ma affiancare controllo del peso, dieta ricca di fibre e supporto al microbiota può agire sia sui sintomi sia sui rischi cardiometabolici. Nel RBD, la riduzione di produttori di butirrato come Butyricicoccus potrebbe diventare un segnale da monitorare nei percorsi di follow-up, specie per il legame con il Parkinson.

Per persone e famiglie il punto di partenza resta uno stile di vita coerente con questa biologia. Pasti ricchi di fibre, orari regolari, luce naturale al mattino e buio la sera aiutano la produzione di SCFA, la sintesi di melatonina e un buon tono vagale. Fermentati culturali e accessibili – yogurt, kefir, crauti, kimchi – possono essere alleati quotidiani. Ma è altrettanto importante non cadere nella tentazione delle scorciatoie: nessun integratore sostituisce una CPAP in chi ne ha bisogno, nessun “probiotico miracoloso” risolve un’insonnia radicata senza affrontarne le cause comportamentali e cliniche. Se compaiono segnali di allarme – comportamenti anomali in REM, sonnolenza diurna marcata, peggioramento del tono dell’umore con disturbi gastrointestinali – vanno portati in ambulatorio, perché potrebbero indicare un intreccio di sonno e microbiota che merita una valutazione mirata.

Il messaggio finale della rassegna è insieme ambizioso e sobrio. Ambizioso perché mostra coerenze trasversali: diversi disturbi del sonno condividono spostamenti nella diversità microbica e nei metaboliti chiave, dal mondo degli acidi biliari e degli SCFA ai sentieri del GABA e della serotonina. Sobrio perché, al netto dei segnali promettenti sugli interventi – fibre, probiotici, FMT – servono studi più grandi, disegni più rigorosi e protocolli standard per capire davvero chi beneficia, quando e come. Nel frattempo abbiamo già molto da fare: costruire abitudini che nutrano il nostro microbiota, integrare approcci comportamentali e medici, e guardare al sonno non come a un interruttore che si spegne, ma come al risultato di un ecosistema – quello nell’intestino e quello nello stile di vita – che possiamo imparare a coltivare.

Da

Quando l'equilibrio del microbiota viene alterato, cambiano i messaggi che viaggiano lungo l’asse intestino–cervello, compromettendo la qualità del riposo. Approfondisci su MicrobiotaNews.

UNA RESTRIZIONE DEGLI ALIMENTI ULTRA-PROCESSATI CONTRIBUISCE AL CONTROLLO DELL'ECCESSO PONDERALE?Un tema molto discusso ...
08/11/2025

UNA RESTRIZIONE DEGLI ALIMENTI ULTRA-PROCESSATI CONTRIBUISCE AL CONTROLLO DELL'ECCESSO PONDERALE?

Un tema molto discusso in ambito nutrizionale negli ultimi anni può essere sintetizzato in questo modo: è importante, nella gestione del sovrappeso e del rischio cardiometabolico, ridurre il consumo dei cibi che secondo la classificazione NOVA appartengono al gruppo 4, i cosiddetti cibi “ultra-processati”? Una loro elevata presenza nella dieta è spesso associata a un eccesso ponderale negli studi di epidemiologia osservazionale; tuttavia, in letteratura sono praticamente assenti studi che abbiano valutato gli effetti di una riduzione del loro consumo sul peso corporeo.

Questo studio è stato condotto in Brasile con l’intenzione di rispondere proprio a questa domanda. I ricercatori hanno seguito per un anno 148 adulti con obesità, o un’eccessiva circonferenza addominale, o ancora un eccesso di grasso nella composizione corporea, dopo averli suddivisi in modo randomizzato in due gruppi: ad uno è stata prescritta una semplice restrizione calorica, e al secondo la restrizione calorica è stata associata alla indicazione a ridurre il consumo di alimenti ultra-processati (UPF). Il contributo calorico di questi alimenti, nelle intenzioni dei ricercatori, non avrebbe dovuto superare il 5% delle calorie totali. I soggetti di entrambi i gruppi sono stati poi sottoposti, nel corso dello studio, al controllo periodico del peso e a una serie di determinazioni di vari fattori di rischio cardiometabolico, della composizione corporea, del consumo energetico a riposo.

I risultati dello studio compongono un quadro di interpretazione incerta. Il gruppo che avrebbe dovuto limitare il consumo degli UPF non è innanzitutto riuscito a raggiungere l’obiettivo prescritto: il calo delle calorie da UPF (in media dal 21% al 13–14%) si è fermato ben lontano dal 5% previsto dal protocollo dello studio (nel gruppo di controllo, la percentuale è passata dal 23% al 20% circa). Il peso si è ridotto in entrambi i gruppi, seppure modestamente: ma la differenza tra il gruppo a ridotto apporto di UPF e il gruppo di controllo, per quanto statisticamente significativa sul piano formale, è apparsa di fatto clinicamente irrilevante (il calo, rispetto ai valori basali, è risultato di 1,2 e di 0,6 kg rispettivamente). Nessun altro parametro (colesterolemia, glicemia, insulinemia, composizione corporea, metabolismo basale) ha mostrato vantaggi di rilievo nel gruppo a basso apporto di UPF.

Gli autori sottolineano che i partecipanti partivano da un consumo di UPF già relativamente moderato, intorno al 20%, e argomentano che in contesti nei quali questi prodotti rappresentano il 40–50% dell’alimentazione (come gli Stati Uniti o il Regno Unito) gli effetti avrebbero potuto essere più evidenti. I valori di partenza, tuttavia, sono molto simili a quelli determinati nella popolazione italiana, alla quale i risultati dello studio sarebbero quindi, invece, ben applicabili.

In conclusione, lo studio aggiunge un tassello importante al dibattito sugli alimenti che NOVA classifica come UPF: la riduzione del loro consumo non ha prodotto benefici aggiuntivi, rispetto alla semplice riduzione calorica, nell’indurre un miglioramento del peso corporeo o di altri parametri di rischio cardiometabolico. Inoltre, “tagliare” drasticamente la quota degli UPF si è rivelato difficile per la maggior parte dei partecipanti. Nuovi e ben disegnati studi di intervento sono essenziali per poter avere risposte più chiare ai quesiti relativi al ruolo di salute degli alimenti classificati nel gruppo 4 secondo NOVA.

Da

Un tema molto discusso in ambito nutrizionale negli ultimi anni può essere sintetizzato in questo modo: è importante, nella gestione del sovrappeso e del rischio cardiometabolico, ridurre il consumo dei cibi che secondo la classificazione NOVA appartengono al gruppo 4, i cosiddetti cibi “ultra-p...

LIVELLI PLASMATICI DI OMEGA-3 E MANIFESTAZIONI DI DEPRESSIONE E ANSIA ALLA CORTE UK BIOBANK Sono ormai numerose le ricer...
08/11/2025

LIVELLI PLASMATICI DI OMEGA-3 E MANIFESTAZIONI DI DEPRESSIONE E ANSIA ALLA CORTE UK BIOBANK

Sono ormai numerose le ricerche focalizzate sull’analisi della relazione tra omega-3 e disturbi dell’umore. In particolare, studi osservazionali e metanalisi hanno suggerito che bassi livelli circolanti di acidi grassi della serie omega-3, soprattutto di DHA (o acido docosaesaenoico, l’acido grasso di origine marina a più lunga catena e più alto grado di insaturazione di questa serie metabolica) possano essere associati a un maggior rischio di sintomi depressivi, mentre i trial randomizzati hanno prodotto risultati eterogenei. Anche per l’ansia le evidenze sono miste, sebbene alcuni studi indichino un potenziale effetto protettivo degli omega-3.

Un contributo al dibattito scientifico su questo tema viene dallo studio trasversale condotto sui dati di oltre 500.000 adulti di età compresa tra 40 e 70 anni appartenenti alla coorte UK Biobank, con l’obiettivo di esaminare la storia di depressione e ansia e gli episodi relativi recenti (entro 12 mesi), in relazione sia ai livelli plasmatici di DHA, di omega-3 totali e di omega-3 diversi dal DHA (e cioè la somma di acido alfa-linolenico o ALA, di acido eicosapentaenoico o EPA e acido docosapentaenoico o DPA), e sia l’eventuale assunzione degli stessi acidi grassi come integratori a base di olio di pesce.

Dalla valutazione dei livelli plasmatici dei tre parametri, raggruppati per quintili, in un sottogruppo di 258.354 soggetti emergono correlazioni significative con la sintomatologia pregressa di depressione, il cui rischio risultava inferiore del 15-33% (a seconda del parametro considerato) nel quintile con valori più alti in confronto al quintile con i valori più bassi. Per la storia di ansia, la riduzione del rischio era del 19–22% per gli omega-3 totali e per la somma degli stessi acidi grassi senza conteggiare il DHA. Per gli episodi recenti le associazioni erano più deboli e riguardavano esclusivamente la depressione, con un rischio inferiore del 29% nel gruppo con i livelli più elevati di omega-3 totali e del 32 % nel gruppo con i livelli più elevati di omega-3 escluso il DHA, rispetto sempre al gruppo con i livelli più bassi. Anche per l’uso di supplementi a base di olio di pesce, valutato in 468.145 individui, è stata osservata una riduzione del rischio sia di avere una storia di depressione e ansia (del 9 e del 10 % rispettivamente) e sia di avere manifestato sintomatologia ansiosa in tempi recenti (-20%).

In conclusione, questo studio documenta, in una coorte estremamente ampia, l’associazione tra biomarcatori degli omega-3 e minore prevalenza di depressione e ansia, soprattutto nella storia clinica personale. Il fatto che le correlazioni fossero in alcuni casi più forti per gli omega-3 diversi dal DHA rispetto al solo DHA suggerisce un possibile ruolo preminente di altri composti della famiglia, più verosimilmente l’EPA, forse per il suo più diretto coinvolgimento nei processi antinfiammatori e nella modulazione dei neurotrasmettitori. La natura trasversale dello studio non permette di stabilire la causalità del rapporto tra omega-3 e sviluppo di depressione e ansia; tuttavia, i risultati supportano l’ipotesi, da indagare con studi mirati, che uno stato nutrizionale adeguato in omega-3 — ottenuto con la dieta o con integratori — possa contribuire al mantenimento della salute mentale.

Da

Sono ormai numerose le ricerche focalizzate sull’analisi della relazione tra omega-3 e disturbi dell’umore. In particolare, studi osservazionali e metanalisi hanno suggerito che bassi livelli circolanti di acidi grassi della serie omega-3, soprattutto di DHA (o acido docosaesaenoico, l’acido g...

DIETA MEDITERRANEA ( con poco sale...) E CALCIO PER RIDURRE IL RISCHIO DI FRATTURE NELL'OSTEOPOROSI.Le fratture da fragi...
08/11/2025

DIETA MEDITERRANEA ( con poco sale...) E CALCIO PER RIDURRE IL RISCHIO DI FRATTURE NELL'OSTEOPOROSI.

Le fratture da fragilità rappresentano una delle principali complicanze dell’osteoporosi primaria. Il ruolo dell’alimentazione e degli specifici nutrienti a livello del metabolismo osseo è ormai noto; resta invece da chiarire l’impatto delle abitudini alimentari nel complesso sul rischio di fratture da fragilità.

È questo l’obiettivo di uno studio osservazionale trasversale italiano, in cui sono stati valutati, in 588 pazienti con osteoporosi primaria, tre aspetti chiave della dieta, e cioè l’aderenza al modello mediterraneo, l’assunzione abituale di sale e l’apporto giornaliero di calcio, confrontando i dati dei pazienti che avevano riportato fratture con quelli che invece non erano incorsi in eventi fratturativi.

Nel campione totale, quasi il 35% dei pazienti, prevalentemente donne, aveva subito almeno una frattura da fragilità. Le differenze più marcate tra pazienti con e senza fratture riguardavano la dieta, indagata attraverso la somministrazione di questionari di frequenza dei consumi alimentari e valutata complessivamente mediante un indice di aderenza alla dieta mediterranea. Infatti, il punteggio di aderenza al modello alimentare mediterraneo era mediamente più basso (10,9 contro 11,5) nei soggetti che avevano subito fratture, i quali riportavano anche un consumo abituale di sale più elevato, misurato con uno score ad hoc (MINISAL: 9,3 rispetto a 8,7) e una minore assunzione di calcio (l’apporto medio era di 478 mg al giorno contro i 536 mg al giorno del gruppo di controllo).

Dall’analisi statistica è emerso che ogni punto aggiuntivo nell’indice di mediterraneità si traduceva in una riduzione del 14% del rischio di frattura. Allo stesso tempo, a ogni punto in meno nel consumo di sale corrispondeva una riduzione del rischio pari al 19%. Anche l’apporto di calcio mostrava un impatto significativo: un incremento di 100 mg al giorno riduceva l’eventualità di una frattura dell’8%. Quando i tre elementi sono stati combinati in un unico punteggio complessivo, l’andamento osservato è risultato particolarmente chiaro. Nei pazienti con profilo alimentare più sfavorevole, la prevalenza di fratture raggiungeva il 70,9%, mentre, nei pazienti con abitudini complessivamente più corrette, la prevalenza di fratture scendeva al 25,3%, suggerendo che la qualità globale delle abitudini alimentari eserciti un effetto cumulativo sul rischio di fratture.

Lo studio evidenzia quindi in modo convincente che l’aderenza al modello alimentare mediterraneo, il contenimento del consumo di sale e un apporto adeguato di calcio sono fattori chiave per contrastare le fratture da fragilità in pazienti con osteoporosi primaria. Le riduzioni percentuali osservate mostrano che anche variazioni relativamente modeste di questi parametri possono produrre benefici rilevanti. Per questo motivo, oltre alle terapie farmacologiche, un intervento nutrizionale mirato a migliorare le abitudini alimentari dovrebbe rappresentare una componente essenziale nella gestione clinica dell’osteoporosi e nella prevenzione delle fratture.

Da

Le fratture da fragilità rappresentano una delle principali complicanze dell’osteoporosi primaria. Il ruolo dell’alimentazione e degli specifici nutrienti a livello del metabolismo osseo è ormai noto; resta invece da chiarire l’impatto delle abitudini alimentari nel complesso sul rischio di ...

🥬 INDIVIA BELGA: L’ORTAGGIO AMARO CHE FA BENE 🌿✨💡 CHE COS’ÈL’indivia belga (o cicoria witloof) è una varietà di indivia ...
08/11/2025

🥬 INDIVIA BELGA: L’ORTAGGIO AMARO CHE FA BENE 🌿✨

💡 CHE COS’È

L’indivia belga (o cicoria witloof) è una varietà di indivia dal sapore amarognolo e delicato, con foglie chiare e croccanti.
Appartiene alla famiglia delle Asteraceae e si ottiene grazie a una particolare coltivazione “al buio” che mantiene il colore bianco e la consistenza compatta.

📚 Rif. medico-scientifici: Humanitas.it, MyPersonalTrainer.it, Wikipedia – Cichorium endivia

🧬 COMPOSIZIONE NUTRIZIONALE

Un vero concentrato di leggerezza!
In 100 g di indivia belga cruda troviamo:

🔹 Circa 15–18 kcal

💧 94% di acqua

🌾 3–4 g di carboidrati

🌿 Fibre preziose per l’intestino

🧂 Sodio bassissimo

💚 Vitamine A, C, B9 (folati) e minerali come calcio e ferro

Perfetta per idratazione, diuresi e benessere cellulare.

📚 Fonti: Humanitas.it, Alimentinutrizione.it, Fratelli Orsero

🗓️ STAGIONALITÀ E DOVE TROVARLA

👉 È un ortaggio invernale, disponibile soprattutto da novembre a febbraio.
Si trova nei supermercati, nei mercati locali e nei punti vendita bio.

🌱 TIPOLOGIE

Fa parte del gruppo delle cicorie e indivie.
Rispetto alla riccia o alla scarola, la belga è la più chiara e compatta, con foglie a forma di cono, ideali sia crude in insalata che gratinata al forno.

💪 BENEFICI PER LA SALUTE

L’indivia belga è un piccolo tesoro nutrizionale:

🩺 Depurativa e diuretica → aiuta a eliminare liquidi e tossine

🧘 Leggera e saziante → ottima nelle diete ipocaloriche

💩 Ricca di fibre → favorisce regolarità intestinale

💖 Fonte di folati (B9) → utile per cuore, sistema nervoso e gravidanza

🧠 Vitamine antiossidanti (A e C) → proteggono cellule e sistema immunitario

📚 Fonti: Humanitas.it, DietaSocial.it, MyPersonalTrainer.it

⚠️ CONTROINDICAZIONI

Generalmente ben tollerata, ma:

Può causare gonfiore o meteorismo se introdotta in grandi quantità (soprattutto in caso di colon irritabile)

Il sapore amaro può risultare fastidioso per gastriti o stomaci delicati

Sempre consigliato chiedere parere medico in caso di patologie o diete specifiche

📚 Fonti: Gavazzeni.it, IlGiornaleDelCibo.it

🥗 IN QUALI PERCORSI DIETETICI È INDICATA

✅ Diete dimagranti e ipocaloriche
✅ Piani detox / depurativi
✅ Alimentazione vegana e vegetariana
✅ Prevenzione cardiovascolare e metabolica
✅ Gravidanza (fonte naturale di folati)
✅ Benessere intestinale

❌ Da limitare solo in regimi a basso contenuto di fibre o con intestino molto sensibile.

⚗️ ABBINAMENTI E INTEGRAZIONI

Per un pasto equilibrato e completo:

🐟 Con proteine magre (pesce, pollo, legumi)

🫒 Con grassi buoni (olio EVO, semi, noci) per assorbire vitamina A

🍊 Con altri vegetali ricchi di vitamina C per effetto antiossidante

🦠 In piani nutrizionali specifici, ottima da combinare con PROBIOTICI o integratori MULTIVITAMINICI, sempre sotto consiglio di un professionista della salute.

🌿 CONCLUSIONI

L’indivia belga è un ortaggio elegante, leggero e funzionale:
povere calorie, tanta acqua, fibre e vitamine.
Un alleato perfetto per depurare, nutrire e riequilibrare l’organismo in modo naturale 🌱

📖 Fonti principali: Humanitas.it – MyPersonalTrainer.it – Gavazzeni.it – DietaSocial.it

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🍊 CLEMENTINE: PICCOLE, DOLCI E RICCHE DI BENESSERE! 🍊Le clementine sono un frutto ibrido nato dall’incrocio tra mandarin...
08/11/2025

🍊 CLEMENTINE: PICCOLE, DOLCI E RICCHE DI BENESSERE! 🍊

Le clementine sono un frutto ibrido nato dall’incrocio tra mandarino e arancio amaro, appartenente alla famiglia delle Rutacee. Dolci, succose, senza semi (nella maggior parte delle varietà), e dal profumo inconfondibile: sono tra i protagonisti indiscussi dell’autunno e dell’inverno! ❄️

🔬 COMPOSIZIONE E VALORI NUTRIZIONALI

Le clementine sono composte per oltre 85% da acqua, e contengono:

Carboidrati semplici (fruttosio, glucosio, saccarosio) per un’energia rapida ma leggera.

Vitamina C (circa 50 mg/100 g) 💪 — fondamentale per il sistema immunitario.

Fibre, acido folico, potassio, calcio e flavonoidi antiossidanti.

Apporto calorico medio: circa 45 kcal per 100 g.

📚 Fonte: CREA - Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione; EFSA Journal, 2021.

🌍 DOVE E QUANDO LE TROVIAMO

Le clementine si coltivano soprattutto nel Sud Italia 🇮🇹 (Calabria, Puglia, Sicilia), dove trovano un clima ideale.
👉 Stagione perfetta: da ottobre a gennaio.

🍃 VARIETÀ PIÙ NOTE

Clementina Comune

Clementina di Calabria IGP

Clementina Hernandina (più tardiva)

Clementina Fedele

💚 BENEFICI PRINCIPALI

✅ Rinforzano le difese immunitarie
✅ Contrastano lo stress ossidativo e l’invecchiamento cellulare
✅ Favoriscono la digestione e la regolarità intestinale
✅ Aiutano la reidratazione dopo attività fisica
✅ Migliorano tono dell’umore (grazie agli oli essenziali contenuti nella buccia)

📖 Riferimenti: Nutrients, 2020; Journal of Agricultural and Food Chemistry, 2019.

⚠️ CONTROINDICAZIONI

🚫 Da consumare con moderazione in caso di:

Gastrite o reflusso gastroesofageo (acidità naturale del frutto)

Diete ipoglicemiche rigide, se assunte in eccesso

🥗 IN QUALI PERCORSI DIETETICI INSERIRLE

Perfette per:

DIETE ipocaloriche e detox

ALIMENTAZIONE sportiva (ottimo snack pre/post workout)

DIETA mediterranea

PIANI per rafforzare il sistema immunitario

💊 ABBINAMENTO E INTEGRAZIONE IDEALE

👉 Ottimo abbinamento con ZINCO, VITAMINA D e PROBIOTICI per un sostegno sinergico delle difese immunitarie e del metabolismo.

✨ IN SINTESI

Le clementine sono piccole ma potenti fonti di energia, salute e gusto!
Un frutto semplice che racchiude i colori e i profumi del Mediterraneo 🍃☀️

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07/11/2025

💥 RIDUCI LA FAME NERVOSA IN MODO NATURALE! 💚

La fame nervosa nasce spesso da stress, ansia o squilibri del tono dell’umore.
Oggi la ricerca in ambito nutraceutico ci offre valide soluzioni per ritrovare equilibrio e controllo senza rinunce.

Ecco 3 integratori di nuova generazione che possono aiutarti 👇

🧘‍♀️ GABA 2000 – ZREEN

💤 Contiene acido γ-amminobutirrico, un neurotrasmettitore che favorisce rilassamento e calma interiore.
✅ Aiuta a ridurre lo stress e le tensioni emotive che spesso scatenano il bisogno di cibo.
📚 Studi recenti evidenziano come il GABA supporti la modulazione dello stress e migliori la qualità del sonno, due fattori chiave nel controllo della fame emotiva.

🌿 OXANTIN MED – PHARMALIFE

💚 Unisce Griffonia simplicifolia (5-HTP) e Opunzia: supporta l’equilibrio dell’umore e regola naturalmente l’appetito.
✨ Agisce sia sulla sfera emotiva (riduzione del desiderio di “comfort food”) che su quella metabolica (assorbimento di grassi e zuccheri).
📖 Letteratura scientifica conferma l’efficacia del 5-HTP nel modulare serotonina e comportamento alimentare.

🍋 XANADIET PLUS – PROMOPHARMA

🥄 Con Glucomannano, Berberina e FOS, aumenta il senso di sazietà e stabilizza i livelli di glicemia.
💦 Riduce la fame impulsiva prima dei pasti, sostenendo il metabolismo e il controllo del peso.
📑 Studi clinici europei hanno dimostrato che il glucomannano, assunto con acqua prima dei pasti, favorisce la riduzione dell’appetito.

🌟 RISULTATO: MENO IMPULSI, PIÙ CONTROLLO, PIÙ BENESSERE.

Scegli un approccio naturale, scientifico e consapevole alla fame nervosa.
Abbina questi integratori a uno stile di vita sano, idratazione e gestione dello stress quotidiano.

RICORDA SEMPRE...la personalizzazione di un percorso dietetico è sempre LA SOLUZIONE MIGLIORE!

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📍 Alimentati
Via Guibert 15, 10072 – Caselle Torinese
📞 379 2265919
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🛒 comaigianluca.shopketo.com
👨‍🍳 Gianluca Comai
Cuoco specializzato in dietetica
Docente in educazione alimentare
Consulente nutrizionale per lo Sport

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Martedì 09:00 - 17:00
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