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🌿 FLAVONOIDI: I GUARDIANI DELLA NOSTRA SALUTE🔬 COSA SONO I FLAVONOIDI?I flavonoidi sono composti bioattivi appartenenti ...
28/11/2025

🌿 FLAVONOIDI: I GUARDIANI DELLA NOSTRA SALUTE

🔬 COSA SONO I FLAVONOIDI?

I flavonoidi sono composti bioattivi appartenenti alla famiglia dei polifenoli, ampiamente studiati in ambito nutrizionale e medico-scientifico per le loro proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e vasoprotettive.
Numerose pubblicazioni in ambito nutraceutico suggeriscono un ruolo positivo nel supporto cardiovascolare, nel controllo dello stress ossidativo e nella funzione immunitaria.

🍎 ALIMENTAZIONE RICCA DI FLAVONOIDI: IL TUO PRIMO INTEGRATORE NATURALE

La dieta è la principale fonte di flavonoidi:

✨ Frutti rossi (mirtilli, more, ribes)
✨ Agrumi (ricchi in esperidina)
✨ Cipolle rosse (tra le migliori fonti di quercetina)
✨ Tè verde e tè nero (catechine e teaflavine)
✨ Uva e vino rosso (antociani)
✨ Cioccolato fondente
✨ Sedano e prezzemolo

👉 Un’alimentazione varia e ricca di vegetali colorati garantisce un apporto costante di queste molecole bioattive.

💊 INTEGRAZIONE MIRATA: QUANDO PUÒ ESSERE UTILE?

In alcuni casi, secondo la letteratura nutraceutica, l’integrazione può essere indicata per aumentare la disponibilità di specifici flavonoidi, specialmente quando la dieta non è sufficiente.

I più utilizzati:

Quercetina → supporto allo stress ossidativo

Esperidina e diosmina → benessere circolatorio

Catechine da tè verde → metabolismo e antiossidanti

Antocianine → microcircolazione e retina

Isoflavoni di soia → supporto al benessere femminile

⚠️ L’integrazione va sempre valutata con un professionista della salute per personalizzare dosi e durata e verificare eventuali interazioni farmacologiche.

💚 PERCHÉ SONO IMPORTANTI?

I flavonoidi contribuiscono a:
✔ ridurre lo stress ossidativo
✔ sostenere il sistema cardiovascolare
✔ supportare la risposta antinfiammatoria fisiologica
✔ migliorare la funzionalità della microcircolazione
✔ favorire il benessere generale e l’energia cellulare

🚀 FAI IL PIENO DI FLAVONOIDI!

Scegli:
🔹 più colore nel piatto, ogni giorno
🔹 fonti naturali ricche e poco lavorate
🔹 integrazione mirata quando necessario e personalizzata

👉 VUOI SAPERE quali flavonoidi sono più adatti alle TUE ESIGENZE o come INTEGRARLI nella tua alimentazione quotidiana?
SCRIVIMI qui o in privato: preparo per te un PERCORSO NUTRIZIONALE PERSONALIZZATO! 💬🌿

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👨‍🍳 Gianluca Comai
Cuoco specializzato in dietetica
Docente in educazione alimentare
Consulente nutrizionale per lo Sport

28/11/2025

SICUREZZA E SICUREZZA ALIMENTARE IN ITALIA.
UN DIVARIO NORD-SUD ANCORA EVIDENTE

Un’indagine nazionale condotta su oltre 1.700 adulti italiani ha evidenziato un netto divario tra Nord e Sud in
termini di sicurezza alimentare (food safety) e di accessibilità al cibo (food security). Le regioni del Sud e le
Isole presentano livelli inferiori di conoscenza e comportamenti corretti in materia di sicurezza alimentare,
oltre ad una maggiore prevalenza di ridotta accessibilità al cibo. Le differenze emergono anche dopo aver
considerato fattori come età, genere e grado di istruzione, indicando un forte impatto del contesto territoriale
e socio-economico.
Garantire un’alimentazione sicura e accessibile è un obiettivo chiave per la salute pubblica e lo sviluppo
sostenibile. Tuttavia, anche in Italia, paese rinomato per la qualità dei suoi prodotti e la tradizione della Dieta
Mediterranea, persistono significative disuguaglianze territoriali. Un recente studio (1) condotto su 1.752
adulti (70,4% donne; età media: 36.0 ± 13.8 anni), residenti in diverse regioni italiane (48,6% residenti
nell’Italia del Nord, 16,2% nell’Italia Centrale e 35,2% nell’Italia del Sud e nelle Isole), utilizzando un
questionario validato, anonimo, online, ha analizzato la conoscenza ed i comportamenti relativi alla sicurezza
alimentare (food safety), nonché i livelli di accessibilità al cibo percepita (food security). Lo studio ha inoltre
valutato l’impatto di fattori socio-demografici e geografici, con particolare attenzione alle differenze tra
Nord, Centro e Sud e Isole.
I risultati mostrano che i residenti del Sud e delle Isole presentano mediamente livelli inferiori di conoscenza
sulla sicurezza alimentare (food safety) (RRR=0,66; IC 95%: 0,54–0,82; p=0,000) e di adozione di
comportamenti sicuri in ambito alimentare (RRR=0,64; IC 95%: 0,52–0,79; p

28/11/2025

UN'ELEVATA ASSUNZIONE E UNA MAGGIORE ASSUNZIONE DI FLAVONOIDI NELLA DIETA SI ASSOCIANO A UNA RIDOTTA MORTALITÀ PER TUTTE LE CAUSE.

Un recente studio prospettico su una corte di 124.805 partecipanti ha dimostrato che il consumo dietetico di
una più ampia varietà di flavonoidi è associato a una mortalità ridotta dal 6 al 20% ( per diverse malattie
croniche, tra cui quelle cardiovascolari, il diabete di tipo 2, i tumori e le patologie neurodegenerative,
confermando al tempo stesso il ruolo protettivo ed indipendente del consumo di quantità complessivamente
più alte. Pertanto lo studio suggerisce che consumare una quantità maggiore e una più ampia varietà di
flavonoidi è più benefico per la salute a lungo termine rispetto all’incremento di uno soltanto di questi due
fattori.
I flavonoidi sono composti bioattivi naturalmente presenti negli alimenti di origine vegetale, come frutta,
verdura, legumi e frutta secca. A partire dai primi anni ’90, numerosi studi di coorte prospettici hanno
osservato che un consumo abituale più elevato di diverse sottoclassi di flavonoidi era associato a ridotta
mortalità per tutte le cause, nonché specificamente per malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, tumori,
patologie respiratorie e malattie neurodegenerative. Tuttavia, fino ad oggi, nessuno studio prospettico aveva
analizzato l'impatto di una maggiore varietà di flavonoidi alimentari sul rischio di morte per tutte le cause.
Il recente studio di Parmenter e colleghi (1) ha valutato in modo prospettico 124.805 adulti nel Regno Unito
di età superiore ai 40 anni, con un follow-up di 8,7-10,6 anni, che avevano completato almeno due
questionari alimentari delle 24 ore. Dall’analisi è emerso che i partecipanti in media consumavano 792 mg
al giorno di flavonoidi (range: 0.05-3611 mg al giorno) con un numero medio di circa 9,4 tipi di tali composti
al giorno (range: 1.8-19.0 tipi al giorno). La famiglia più rappresentata era quella dei flavan-3-oli, che
contribuiva all’87% della totalità.
Nel complesso, i soggetti che assumevano quantità maggiori di flavonoidi tendevano ad avere una minore
diversità (r = −0,44). Al contrario, rispetto ai partecipanti con la minore diversità di assunzione, coloro con la
maggiore diversità presentavano una distribuzione più equilibrata dell’apporto di flavonoidi, consumando
quantità relativamente superiori di antocianine, flavanoni e proantocianidine, rispetto alla tearubigina (un
composto derivato esclusivamente dal tè) che risultava invece predominante tra i soggetti con un consumo
meno diversificato.

Inoltre, a parità di apporto totale di flavonoidi, i partecipanti con una maggiore varietà di assunzione
ingerivano in media 6,7 tipologie di flavonoidi in più al giorno e presentavano un rischio di morte per tutte le
cause inferiore del 14%. In particolare, il rischio risultava ridotto del 10% per le patologie cardiovascolari, del
20% per il diabete di tipo 2, dell’8% per tutte le forme di tumore e dell’8% per le patologie respiratorie; non
è stata invece riscontrata alcuna associazione significativa con le malattie neurodegenerative.
Analogamente, assumendo costante la varietà di assunzione di flavonoidi, i soggetti che ne consumavano
quantità più elevate mostravano una mortalità inferiore del 16% per tutte le cause, nonché una riduzione del rischio del 9% per le malattie cardiovascolari, del 12% per il diabete di tipo 2 e del 13% per le patologie
respiratorie.
In conclusione, gli autori hanno evidenziato che sia la quantità totale sia la diversità dei flavonoidi dietetici
risultano indipendentemente associati a tassi di mortalità inferiori per diverse malattie croniche. Questo
risultato suggerisce che un consumo più elevato e diversificato di flavonoidi sia più benefico per la salute a
lungo termine rispetto all’aumento di uno solo di questi due fattori. Tali evidenze sono in accordo con quanto
riportato nelle linee guida italiane per una sana alimentazione, che raccomandano un consumo adeguato di
porzioni di frutta e verdura, legumi e frutta secca, oltre alla necessità di variare gli alimenti per garantire un
apporto diversificato anche dei composti bioattivi in essi contenuti.

Da

SINU - Società Italiana di Nutrizione Umana

FORMAZIONE PERSORSO SALUTE E PROBLEMATICHE FEMMINILISALUTE CUTANEA E MUCOSE VULVO-VAGINALIAnatomia VaginaleFisiologia e ...
28/11/2025

FORMAZIONE

PERSORSO SALUTE E PROBLEMATICHE FEMMINILI
SALUTE CUTANEA E MUCOSE VULVO-VAGINALI

Anatomia Vaginale

Fisiologia e Microbiota

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CARENZA DI FERRO...IL DEFICI NASCOSTO CHE COLPISCE 3 ITALIANI SU 10 In Italia ne soffrono tre persone su dieci e nel mon...
28/11/2025

CARENZA DI FERRO...IL DEFICI NASCOSTO CHE COLPISCE 3 ITALIANI SU 10

In Italia ne soffrono tre persone su dieci e nel mondo riguarda circa il 40% della popolazione. È un deficit diffusissimo ma spesso sottovalutato, perché i segnali sono subdoli: stanchezza che non passa, mal di testa ricorrenti, fiato corto, pelle più pallida del solito, capelli e unghie fragili, irritabilità, difficoltà di concentrazione, perfino una maggiore suscettibilità alle infezioni. Disturbi “aspecifici” che si tendono a spiegare con lo stress quotidiano, mentre possono indicare scorte di ferro in riserva.

Chi soffre di carenza di ferro

Negli ultimi mesi nuovi dati hanno acceso i riflettori sul problema. In Irlanda, uno studio del 2024 ha rilevato che la carenza di ferro in gravidanza raggiunge il 51,2% entro il terzo trimestre. Negli Stati Uniti quasi il 40% delle giovani donne fra 12 e 21 anni risulta carente. Anche in Italia, secondo una rilevazione Humanitas–San Pio di Milano, la stima è di tre persone su dieci. Il quadro è ancora più critico nei Paesi a basso reddito, dove l’anemia colpisce molte donne in età fertile e circa il 40% dei bambini sotto i cinque anni, con ripercussioni durature su crescita, sviluppo cognitivo e qualità di vita.

A ricordare perché il ferro conti davvero, in occasione della Giornata internazionale del 26 novembre, è Luca Piretta, gastroenterologo e nutrizionista dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. «Diete squilibrate o un’attività sportiva molto intensa possono accentuare la carenza, così come condizioni fisiologiche come gravidanza, allattamento e ciclo mestruale, o patologie come celiachia, morbo di Crohn e diarree croniche» spiega l’esperto. «Il primo pilastro resta un’alimentazione adeguata o un’integrazione mirata di ferro, da associare alla vitamina C, che ne migliora l’assorbimento, e al rame, che contribuisce al suo normale trasporto nell’organismo».

A cosa serve il ferro, davvero

Il ferro è il “motore nascosto” di molte funzioni vitali. È parte dell’emoglobina nei globuli rossi e della mioglobina nei muscoli: senza di lui l’ossigeno non arriva in modo efficiente ai tessuti e l’energia cala. Partecipa alla produzione di energia nelle cellule, sostiene il lavoro del cuore e del cervello, è cofattore di numerosi enzimi e interviene nella sintesi di alcuni ormoni. Quando le riserve scendono, l’organismo rallenta: ci si sente spossati, si sopporta meno lo sforzo, il sistema immunitario perde smalto. Per questo prevenire e correggere la carenza non è un dettaglio, ma un investimento sulla salute quotidiana.

Non tutto il ferro degli alimenti, però, è uguale. Esiste una forma “eme”, tipica di carne e pesce, molto biodisponibile (in media un quarto–un terzo viene assorbito), e una forma “non eme”, prevalente nei vegetali, assorbita in misura minore e più variabile. I LARN — i livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana — indicano circa 10 mg al giorno per l’uomo adulto e 18 mg per la donna in età fertile; in gravidanza il fabbisogno sale a 27 mg, durante l’allattamento a 11 mg. Senza un apporto regolare, le scorte si assottigliano e aumentano rischio di anemia e fatica cronica.

Il pesce, e non solo

Sul fronte pratico, Piretta invita a guardare al mare come a un alleato insospettabile. «Il pesce è tra le fonti migliori di ferro e il tonno in scatola, in particolare, offre un apporto di ferro biodisponibile paragonabile a quello del filetto: è quindi una valida alternativa alla carne» sottolinea. «A parità di profilo nutrizionale, le conserve ittiche sono di uso immediato: pratiche, pronte e senza scarti». Un esempio concreto: 100 grammi di tonno sott’olio forniscono circa 1,7 mg di ferro. E con il ferro arrivano vitamina B12, folati e proteine, nutrienti chiave quando si parla di prevenzione e contrasto dell’anemia. Nella stessa famiglia di “alleati da dispensa” rientrano anche acciughe e sgombro: le prime forniscono in media 1,3 mg di ferro per 100 g, il secondo circa 2,1 mg per 100 g.

Questo non significa mettere da parte il mondo vegetale, che resta prezioso per comporre una dieta varia. Legumi come fagioli, ceci e lenticchie, soia e derivati, funghi secchi, frutta secca, crusca e cereali integrali, spezie ed erbe aromatiche (timo, cumino, origano, cannella, salvia, semi di fi*****io), oltre alle verdure a foglia verde come radicchio e spinaci, contribuiscono all’introito di ferro non eme. Per migliorarne l’assorbimento, il trucco è abbinarli a fonti di vitamina C — agrumi, kiwi, fragole, peperoni, pomodori — e limitare, nello stesso pasto, sostanze che ne riducono la biodisponibilità, come eccesso di tè, caffè o calcio.

Fondamentale la dieta “ferrea”

Il messaggio, in sintesi, è duplice: riconoscere i campanelli d’allarme e intervenire presto, meglio se con l’aiuto del medico per gli esami del sangue e un piano nutrizionale o di integrazione ad hoc; e, nella quotidianità, costruire una “dieta ferrea” che non rinunci alla praticità. In questo senso il tonno in scatola e le altre conserve ittiche si rivelano un’opzione intelligente: facili da inserire in insalate complete, paste e cereali integrali, abbinati a legumi e verdure ricche di vitamina C, aiutano a coprire il fabbisogno e a mantenere le riserve al sicuro.

Per chi vive fasi della vita più esigenti — dall’adolescenza alla gravidanza, dall’allattamento a periodi di allenamento intenso — l’attenzione deve essere ancora maggiore. L’obiettivo non è inseguire super-diete o mitici “cibi miracolosi”, ma comporre pasti equilibrati, regolari e sostenibili nel tempo. Con qualche scelta furba, come tenere in dispensa una scorta di pesce in conserva, il ferro torna a fare il suo mestiere: portare ossigeno alla nostra energia quotidiana.

Da

Come individuarne i segnali e proteggere le riserve di ferro. Approfondisci su MicrobiotaNews.

VITAMINA D E DIFESE IMMUNITARIE.UN'ALLEATO PREZIOSO PER AFFRONTARE L'INVERNO Quando le giornate si accorciano, il cielo ...
28/11/2025

VITAMINA D E DIFESE IMMUNITARIE.
UN'ALLEATO PREZIOSO PER AFFRONTARE L'INVERNO

Quando le giornate si accorciano, il cielo si fa grigio e si passa più tempo al chiuso, raffreddori, mal di gola e influenza iniziano a circolare con più insistenza. È il classico “copione” dell’inverno: bambini che tornano dall’asilo con il naso che cola, adulti che si sentono sempre un po’ stanchi, anziani più fragili davanti ai virus respiratori.

In questo scenario si parla spesso di vitamina C, tisane calde e rimedi della nonna, ma c’è un’altra protagonista, più silenziosa e meno conosciuta, che gioca un ruolo decisivo nelle nostre difese: la vitamina D.

La vitamina D non difende solo le ossa…

Per molti la vitamina D è “solo” la vitamina delle ossa, importante per fissare il calcio e prevenire rachitismo e osteoporosi. Questo è vero, ma è solo una parte della storia. La vitamina D è una molecola particolare: in realtà si comporta più come un ormone che come una comune vitamina. Non dipendiamo solo dall’alimentazione per assumerla, perché il nostro organismo è in grado di produrne la maggior parte grazie alla luce del sole, a partire da un precursore presente nella pelle. Da qui, attraverso fegato e reni, viene trasformata nelle sue forme attive, che regolano l’assorbimento di calcio e fosforo e contribuiscono a mantenere ossa e denti normali.

Ma i recettori per la vitamina D non si trovano solo nello scheletro: sono stati individuati in moltissimi tessuti diversi, comprese le cellule del sistema immunitario. Questo suggerisce che la vitamina D prenda parte a numerosi processi dell’organismo, non solo alla salute delle ossa. Si è visto che contribuisce al mantenimento di una funzione muscolare normale, aiuta a controllare i livelli di calcio nel sangue e interviene nei processi di divisione cellulare, confermando il suo ruolo “di regia” su più fronti.

Così ci difende dalle infezioni

Il legame tra vitamina D e difese immunitarie è uno degli aspetti più interessanti emersi negli ultimi anni. Studi di immunologia hanno mostrato che le cellule T, una delle squadre specializzate del nostro sistema di difesa, hanno bisogno di vitamina D per passare dallo stato “dormiente” a quello attivo. In pratica, quando incontrano un virus o un batterio, per poter mo***re una risposta efficace devono disporre di livelli adeguati di vitamina D: se nel sangue ce n’è poca, la loro reazione è meno pronta.

Non è tutto. La forma attiva della vitamina D è in grado di modulare l’attività di monociti, macrofagi e cellule NK, e di stimolare la produzione di sostanze antimicrobiche direttamente nelle cellule che rivestono le vie respiratorie. È come rafforzare la barriera di ingresso di naso, gola, bronchi e polmoni, rendendoli meno vulnerabili agli agenti patogeni che circolano con più facilità durante la stagione fredda. Allo stesso tempo, la vitamina D contribuisce a “tenere a bada” le risposte immunitarie eccessive, che possono sfociare in infiammazione cronica o malattie autoimmuni.

I dati epidemiologici confermano che esiste un legame tra livelli di vitamina D e infezioni respiratorie. Un’analisi su larga scala ha osservato che le persone con valori molto bassi di vitamina D nel sangue (al di sotto di 10 ng/mL) presentano un rischio significativamente più alto di andare incontro a infezioni delle vie respiratorie superiori, come raffreddore e influenza, rispetto a chi ha livelli sufficienti. Questo aumento di rischio è stato quantificato intorno al 40%, a parità di altri fattori.

Non stupisce, quindi, che proprio l’inverno sia il momento “critico”: ci si espone meno alla luce solare, si passa molto tempo in ambienti chiusi e affollati, dove i virus circolano con facilità, e le possibilità della pelle di produrre vitamina D si riducono. A tutto questo si somma il fatto che, a livello globale, si stima che circa un miliardo di persone presenti una carenza di vitamina D, con deficit frequenti anche in Paesi come l’Italia.

I bambini sono particolarmente esposti ai malanni di stagione: il loro sistema immunitario è ancora in via di maturazione e l’ingresso in comunità (nido, scuola materna, scuola primaria) li mette a contatto con molti coetanei e, di conseguenza, con una grande varietà di virus respiratori. Nei primi anni di vita, raffreddori, tosse e piccoli episodi febbrili sono molto frequenti, soprattutto nei mesi freddi. In questa fase, assicurare un buono stato nutrizionale, comprese le vitamine che sostengono il sistema di difesa come la vitamina D, è importante per aiutare l’organismo ad affrontare meglio le infezioni e a recuperare più rapidamente.

La vitamina D ha un ruolo fondamentale fin dalla gravidanza: contribuisce alla corretta mineralizzazione dello scheletro del feto e alla formazione delle sue riserve, che saranno importanti nei primi mesi dopo la nascita. Se la madre è carente, anche il bambino rischia di esserlo, con conseguenze che possono andare dal rachitismo a una maggiore suscettibilità alle infezioni respiratorie. Non a caso le linee guida di molti Paesi suggeriscono un’integrazione di vitamina D in gravidanza e durante l’allattamento, oltre che nei primi mesi di vita del neonato, soprattutto quando l’esposizione solare è limitata.

Altre funzioni importantissime

Ma il contributo della vitamina D non si esaurisce con le difese contro i virus invernali. La ricerca ha messo in luce associazioni tra bassi livelli di vitamina D e un maggior rischio di asma e allergie nei bambini, di diabete e malattie cardiovascolari negli adolescenti e negli adulti, e di alcune forme di tumore.

Anche il tono dell’umore e alcune funzioni cerebrali sembrano risentire della sua carenza: non è un caso che la depressione stagionale sia più frequente nelle aree con poca luce solare. Pur non potendo parlare di “effetto miracoloso” o di rapporti causa-effetto dimostrati per tutte queste condizioni, il quadro complessivo suggerisce che mantenere livelli adeguati di vitamina D contribuisca al benessere generale e a un buon equilibrio dell’organismo.

Cosa succede quando la vitamina D è davvero troppo bassa?

Le manifestazioni più note riguardano lo scheletro: nei bambini la carenza grave può provocare rachitismo, una malattia in cui le ossa diventano fragili, poco mineralizzate e si deformano; negli adulti può comparire osteomalacia e, nel tempo, aumentare il rischio di osteoporosi e fratture anche dopo traumi minimi. A questi problemi si aggiungono dolori muscolari, debolezza, stanchezza, sintomi neurologici e, come abbiamo visto, una maggiore vulnerabilità alle infezioni respiratorie e ad altre patologie. Il problema è che spesso una carenza moderata non dà sintomi evidenti: ci si accorge di avere la vitamina D bassa solo con un esame del sangue che misura i livelli di 25(OH)D.

Come fare il “pieno” di vitamina D

Come possiamo allora fare scorta di vitamina D in vista dell’inverno, o comunque mantenerne livelli adeguati tutto l’anno? La prima alleata è la luce del sole. In assenza di controindicazioni, esporsi regolarmente alla luce naturale, con viso, braccia e parte delle gambe scoperti per una quindicina di minuti al giorno, può essere sufficiente a coprire gran parte del fabbisogno, soprattutto nelle stagioni più luminose.

In autunno e inverno il margine si riduce, ma anche brevi passeggiate all’aperto nelle ore centrali della giornata possono dare il loro contributo. Naturalmente bisogna sempre trovare il giusto equilibrio tra la necessità di stimolare la sintesi di vitamina D e quella di proteggere la pelle dai danni dei raggi UV, soprattutto nei soggetti a rischio di tumori cutanei o con fototipi molto chiari.

L’alimentazione fa la sua parte, anche se da sola difficilmente è sufficiente a compensare una carenza importante. I cibi più ricchi di vitamina D sono i pesci grassi dei mari freddi, come salmone, sgombro, aringa e sardine, l’olio di fegato di merluzzo, il fegato, il tuorlo d’uovo, il latte e alcuni latticini, soprattutto se fortificati. Esistono anche alimenti “arricchiti”, come alcuni latti, bevande vegetali, succhi e cereali per la colazione, a cui viene aggiunta vitamina D proprio per facilitarne l’assunzione. I vegetali, con poche eccezioni come alcuni funghi trattati con luce UV, ne contengono quantità molto basse.

Insieme alla vitamina D, una dieta varia e equilibrata dovrebbe garantire anche l’apporto di altri micronutrienti che sostengono le difese immunitarie, come le vitamine A, C, E, alcune vitamine del gruppo B, il selenio e lo zinco. Tutte queste sostanze contribuiscono a mantenere efficiente sia la barriera delle mucose che ci separano dal mondo esterno, sia l’attività delle cellule immunitarie. Anche in questo caso, però, non si tratta di “scudi magici”, ma di mattoncini che, giorno dopo giorno, aiutano l’organismo a reagire meglio alle aggressioni.

Quando integrare

Quando l’esposizione al sole è limitata, la dieta non basta, oppure sono presenti fattori di rischio specifici, può essere utile valutare con il medico l’eventuale ricorso a integratori oppure ad alimenti, come per esempio gli yogurt, rinforzati con la vitamina D. Gli anziani, le persone con pelle scura, chi passa poco tempo all’aperto, chi soffre di malattie intestinali o renali, chi assume farmaci che interferiscono con il metabolismo della vitamina D sono tutti gruppi particolarmente esposti a insufficienza o carenza.

Nei bambini più piccoli e nei neonati l’integrazione è spesso raccomandata per coprire i fabbisogni, soprattutto nella stagione invernale e in caso di allattamento esclusivo al seno. In altre situazioni, l’obiettivo può essere non solo proteggere le ossa, ma anche sostenere il sistema immunitario nei mesi in cui raffreddori e influenza sono più frequenti.

Gli integratori possono contenere solo vitamina D oppure combinarla con altre vitamine e minerali, come la vitamina C e lo zinco, che collaborano nel supportare le difese. La scelta del prodotto e del dosaggio, però, non dovrebbe mai essere casuale o “fai da te”: è il medico o il pediatra, sulla base della storia clinica, dell’alimentazione, dello stile di vita e, se necessario, dei valori di laboratorio, a poter consigliare il percorso più adatto. Va ricordato che, come per tutti i nutrienti, anche l’eccesso di vitamina D può avere effetti indesiderati, per cui non è opportuno superare le dosi consigliate senza indicazione specialistica.

In definitiva, la vitamina D è davvero un alleato prezioso per affrontare l’inverno: non garantisce di “saltare” ogni raffreddore, ma contribuisce a rendere il nostro sistema immunitario più pronto, modulato e capace di rispondere in modo efficace alle sfide della stagione fredda. Prendersene cura significa combinare buone abitudini di vita – un po’ di sole, attività all’aria aperta, alimentazione equilibrata – con, quando necessario, un supporto mirato deciso insieme al medico. Un piccolo grande investimento sulla nostra salute, che può farci arrivare alla primavera con qualche malanno in meno e molte energie in più.

Da

Non garantisce di “saltare” ogni raffreddore, ma contribuisce a rendere il nostro sistema immunitario più capace di rispondere alle sfide della stagione fredda. Approfondisci su MicrobiotaNews.

Indirizzo

Via Guibert 15
Caselle Torinese
10072

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 17:00
Martedì 09:00 - 17:00
Mercoledì 09:00 - 17:00
Giovedì 09:00 - 17:00
Venerdì 09:00 - 17:00
Sabato 09:00 - 17:00

Sito Web

http://comaigianluca.shopketo.com/

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