18/11/2025
Sono il papà di Lorenzo: qualche tempo fa ho scritto qui su "la situazione è grammatica" una storia che voleva far sorridere e, alla fine, quasi 30.000 persone si sono fatte una risata (e alcuni commenti erano persino più comici della storia stessa).
Qualcuno ha anche detto: "Queste cose sono impossibili!".
Sì, certo. Come Fantozzi che prende la corriera saltando dal balcone: impossibile, ma fa ridere lo stesso.
Ci riprovo: questa storia è ispirata (solo ispirata, per ca**tà) a un fatto reale.
Assolutamente reale.
E, come la precedente, voglio raccontarla con la speranza di strapparvi almeno un sorriso.
Beh, il mio Lorenzo ha una sorellina: Sofia.
Ieri sono andato al colloquio con la professoressa di italiano di Sofia (frequenta la seconda media).
Ero preparato. Avevo letto il registro elettronico. Sofia aveva preso un 5 nel tema. Volevo capire il perché.
Ero tranquillo. Ero un genitore responsabile. Ero pronto, vestito con lo stesso sorriso stampato da supereroe che avevo indossato per il compito di Lorenzo.
"Gliene dico quattro."
Avevo ripetuto questa frase come un karma per tutto il pomeriggio.
Prima di entrare mi sono guardato allo specchio del bagno.
"Sei un ingegnere. Hai una laurea. Hai costruito palazzi. Puoi affrontare una professoressa di italiano."
Mi sono dato una pacca sulla spalla, sorriso "supersmile". Sono entrato.
La professoressa B. è seduta alla cattedra. Sessantacinque anni, occhiali spessi, capelli raccolti.
Mi guarda con un mirino laser al posto degli occhi.
Non sorride, anzi: sembra una statua di cera (incazzata per giunta).
Attorno a lei, silenzio e penombra: una scena degna di un film dell'orrore.
Il mio sorriso da “pubblicità del dentifricio”, in un millisecondo, diventa quello di Shrek quando scopre che deve incontrare i genitori di Fiona.
"Prego, si sieda."
Non mi saluta: obbedisco immediatamente. Mi siedo.
"Allora, professoressa, volevo capire questo 5 nel tema di Sofia. Mi sembra una bambina che si impegna..."
Lei alza una mano: sembra uno di quei monaci tibetani dei cartoni animati.
Mi zittisce.
"Signor M., prima di parlare di sua figlia vorrei farle una domanda."
"Certo, mi dica."
"Lei ha letto il tema?"
"Sì, l'ho letto."
"E cosa ne pensa?"
"Beh... forse c'è qualche errore di grammatica, ma nel complesso mi sembra carino..."
"Carino..." ripete con tono tagliente. "Carino..."
In quel momento ho l'impressione che sul suo viso compaia qualcosa di simile a un sorriso, ma non sono sicuro: sembra più un ghigno.
Pausa. Mi fissa.
"Signor M., mi sa dire che tipo di errore è questo?"
Tira fuori il tema di Sofia. Cerchia qualcosa con la penna rossa. Me lo mostra.
"Scusi?"
Comincio a sentire caldo. Siamo a novembre, ma inizio a sudare.
Non un sudore normale: un sudore denso, vischioso, da interrogazione delle superiori.
Quello che ti cola lungo la schiena e ti fa sembrare che ti sei fatto la doccia vestito.
Mi avvicino: "Mi faccia vedere..."
"Qui: 'Gli ho detto'. Sua figlia ha scritto 'gli ho detto' riferendosi alla nonna. È corretto?"
"Ehm... no, dovrebbe essere 'le ho detto'..."
"Esatto. Perché?"
"Perché... perché si riferisce a una donna?"
(Penso: dai, questa era facile, ho una laurea in ingegneria... posso farcela.)
Lei annuisce. Scrive qualcosa sul registro.
"Continuiamo. Qui: 'A me mi piace'. Cosa c'è di sbagliato?"
"Vabbè, non si scrive, è sbagliato, si sa..."
Faccio un sorriso, cerco di conquistarla con la simpatia, ma lei rimane impassibile, fredda come un ghiacciolo.
Pausa.
"Il termine tecnico è 'pleonasmo'. Lo sapeva?"
"No, io..."
(Mi ha preso in castagna, questa non la sapevo proprio.)
Cerco di fare il simpatico: "Posso chiedere l'aiuto da casa?"
Rido. Rido solo io.
Lei mi guarda come se stesse pianificando il mio funerale morale.
"Sette meno. Procediamo."
Gira pagina.
"Qui sua figlia ha usato il passato remoto in modo scorretto. Mi sa dire perché?"
A quel punto mi rendo conto che sta parlando con me come se fossi Sofia.
Devo interrompere la cosa.
Mi schiarisco la voce, attivo la modalità Ingegnere-ON e dico:
"Professoressa, io sono venuto per parlare di mia figlia, non per..."
"Signor M., lei pretende che io dia un voto migliore a sua figlia, ma lei stesso non conosce la grammatica italiana. Come può valutare il mio operato?"
Mer... mi ha spiazzato.
Rimango in silenzio, sprofondo nella sedia di legno.
Lei continua:
"Ora le faccio una domanda. Quando si usa il congiuntivo imperfetto?"
"Scusi?"
"Il congiuntivo imperfetto. Quando si usa?"
Questa non mi ci voleva... eccheccazzo...
Parlo e scrivo correttamente, ma non è che faccio l'analisi grammaticale, logica e del periodo ogni volta che qualcuno apre bocca...
Mi faccio coraggio:
"Io... non lo so con precisione..."
"Sei meno. Avanti. Mi dica la differenza tra complemento di specificazione e complemento di denominazione."
Adesso è troppo!
Mi alzo:
"Professoressa, io sono un ingegnere, non..."
"Cinque. Insufficienza grave!"
Scrive tutto su un foglio, poi mi guarda:
"Signor M., le ho appena dato tre voti: sette meno, sei meno, cinque.
La media è 6. Scarso."
Mi guarda.
Io non so cosa dire.
Mi siedo di nuovo e le dico (non gli, mi raccomando):
"Senta, prof…."
"Professoressa, grazie. Ora le faccio un'ultima domanda. Molto semplice. Mi dica: cos'è un anacoluto?"
"Un... cosa?"
"Ana-co-lu-to."
"Ma... io... conosco l'analcolico: l'analcolico biondo che fa impazzire il mond..."
Niente.
Speravo di strapparle un sorriso con una citazione da boomer, ma lei prende la penna, scrive sul foglio, poi mi guarda:
"Quattro."
"Signor M., lei oggi ha preso una media del 5,5. Insufficiente. E pretende che io dia un voto più alto a sua figlia che — almeno lei — sa cos'è un anacoluto?"
"Ma veramente io... non sono preparato su certe cose..."
"Signor M., le consiglio di studiare. Magari potrebbe chiedere a sua figlia di aiutarla.
Sofia conosce la grammatica. Lei no, a quanto pare."
"Professoressa, ma questo è assurdo..."
Riprendo il mio ruolo di genitore e la dignità di ingegnere.
Lei mi guarda ancora con gli occhi che sembrano di vetro (forse è solo suggestione ma sono certo di scorgere piccole scintille rosse e arancioni nelle sue pupille), poi con voce greve:
"Assurdo? Le sembra assurdo che un genitore venga a sindacare il mio lavoro senza conoscere la materia?
Sa quanti genitori come lei vedo ogni settimana?
Genitori che non sanno neanche cos'è un participio passato ma vengono qui a dirmi come devo valutare?"
A quel punto si alza.
Non si alza normalmente: si alza come Darth Vader quando toglie la maschera a Luke.
La stanza sembra oscurarsi ulteriormente.
Giuro di aver sentito un tuono in lontananza.
"Il colloquio è finito. Arrivederci, Sig. M. e si ricordi: studi!
Altrimenti la prossima volta la interrogo davvero."
Mi sento come Fantozzi davanti al Megadirettore Galattico.
Mi guardo attorno cercando scampoli di dignità.
Esco dall'aula.
Sono le 17:05.
Sono stato dentro sette minuti.
Mi sembrano sette ore: sudato, rosso e affranto.
Nel corridoio incontro un altro genitore.
Mi guarda come si guarda un reduce di guerra.
"Com'è andata?" Sussurra, come se temesse di essere sentito.
È visibilmente preoccupato.
Lo guardo:
"Oggi interroga."
"Cooosaaaa? Noooo... non so niente! Però dai... non l'aveva detto..."
"Mi ha interrogato. E ho preso 5,5."
Lui ride, ma negli occhi gli leggo il terrore puro.
Un'altra mamma, davanti a me, telefona al figlio:
"Mamma torna a casa, ha un malore improvviso. Facciamo ve**re papà...
No, aspetta, facciamo ve**re la nonna.
Papà viene solo se proprio non c'è nessun altro."
Esco dalla scuola distrutto moralmente.
Quando torno a casa, Sofia mi viene incontro:
"Papà, com'è andata a scuola?"
"....Bene."
"Cosa ti ha detto?"
"....Niente."
"Ma non ha parlato del mio tema???"
"Sì. Ha detto che... che devi continuare così."
"Davvero?"
"Sì. E ha detto che... che devo studiare."
"Tu?"
"Sì. Io."
Sofia ride.
"Papà, la prof ti ha interrogato?"
La guardo. Lei sorride.
"Sì."
"E quanto hai preso?"
"5,5."
Sofia scoppia a ridere.
Poi mi guarda seria, con l’aria da tutor universitario che valuta uno studente fuori corso da sette anni: "Papà, vuoi che ti aiuti a studiare?"
Annuisco piano, come nei film quando il protagonista capisce che non ha più via d’uscita.
"Sì. Penso di sì."
Quella sera Sofia mi ha spiegato cos'è un anacoluto.
Io ho preso appunti.
Con l'evidenziatore, il foglio protocollo e la postura da scolaretto in punizione.
A un certo punto mi ha pure detto:
"Papà, ma puoi stare attento?”
Quando ha finito la lezione ha chiuso il quaderno e, con la sicurezza di un generale che ha appena addestrato un nuovo soldato, ha detto:
"Bravo. Domani ripassiamo i complementi."
Il giorno dopo, in ufficio, un collega mi chiede:
"Tutto bene? Sei pallido."
"Sono stato interrogato."
"Dal capo?"
"Peggio. Dalla professoressa di mia figlia."
Silenzio.
"Quanto hai preso?"
"io….5,5."
Fa una smorfia, come se mi avesse visto aprire un contenitore di yogurt del 2018 poi si avvicina e mi sussurra…. "Mi dispiace… anche io… 5,5"
Dislcaimer: Nessun ingegnere è stato maltrattato durante la stesura di questo testo.
F.M.