09/10/2025
C’è una responsabilità silenziosa ma potentissima nel modo in cui un genitore guarda suo figlio. In quello sguardo, giorno dopo giorno, si riflette l’idea che il bambino avrà di sé stesso, degli altri, del mondo. Un bambino può sbagliare, può essere irruento, può alzare la voce, può mancare di rispetto: è parte del crescere. È l’adulto che deve insegnargli il confine tra l’espressione e l’eccesso, tra il bisogno e il capriccio, tra il diritto e l’empatia.
Ma quando quel confine viene ignorato, quando l’adulto sceglie la via della giustificazione cieca, allora accade qualcosa di pericoloso. Non si educa più: si legittima. Non si protegge il bambino, lo si priva della possibilità di diventare una persona migliore. Perché ogni volta che un genitore giustifica la maleducazione, la trasforma in un’abitudine. Ogni volta che minimizza, insegna a non assumersi responsabilità. Ogni volta che difende l’indifendibile, crea un piccolo adulto convinto che il rispetto sia facoltativo e che il mondo debba tollerare tutto, solo perché lui è “speciale”.
Il punto non è il bambino che sbaglia — perché sbagliare è naturale — ma il genitore che, invece di correggere con amore, difende per orgoglio. Perché quel tipo di giustificazione non nasce dalla comprensione, ma spesso dall’ego: dal bisogno di vedere il proprio figlio perfetto anche quando non lo è, dal terrore del giudizio altrui, o dalla fatica di educare davvero, che è molto più complessa che semplicemente assecondare.
Eppure educare è l’atto d’amore più coraggioso che esista. È dire “no” quando sarebbe più facile dire “sì”. È spiegare, contenere, a volte deludere, ma sempre con l’obiettivo di insegnare. Un bambino non ha bisogno di essere sempre difeso. Ha bisogno di essere guidato. Ha bisogno di capire che gli altri esistono, che il rispetto è una lingua che si impara con l’esempio, non con le parole.
Perché alla fine, peggio di un bambino maleducato, c’è solo un adulto che gli insegna che quella maleducazione è normale. E da lì, da quella piccola ingiustizia mai corretta, nasce una generazione che crede che tutto sia dovuto, e niente sia dovuto agli altri.
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