30/10/2025
Anni fa, quando ero una giovane terapeuta in formazione, incontrai un mio paziente in un pub.
Io ero lì con gli amici, a festeggiare il nuovo lavoro e il trasferimento all’estero di uno di noi. L’atmosfera era allegra, un po’ brilla, e io – calice in mano – recitavo un brindisi ironico e burlone che avevo scritto per l’occasione 😬
Alzo gli occhi e… eccolo!
Uno dei miei primi pazienti, con il quale mi ero sforzata di essere sempre seria, professionale e impeccabile.
Scoppiai in una risata isterica, lo salutai come se nulla fosse e poi continuai a fingere disinvoltura mentre dentro mi scioglievo dall’imbarazzo 😅😂
Eppure, qualcosa era cambiato.
Alla seduta successiva mi disse che mi aveva trovata simpatica e ironica, e da lì l’ironia divenne un linguaggio comune tra noi.
Un canale che rese la terapia più vera, più viva, più sua… più nostra.
Per anni ci siamo raccontati che il terapeuta dovesse essere impeccabile, risolto, imperturbabile.
E quanti pazienti si sono trattenuti dal chiederci qualcosa di personale per paura di “invadere”?
Poi sono arrivati i social — e in mezzo a tutti i loro limiti, ci hanno fatto un regalo: hanno reso i terapeuti umani 🩵
Con le loro idee, i loro sorrisi, le loro ombre.
Oggi la stanza di terapia può essere un luogo più autentico, dove a sedersi non è un ideale di perfezione, un alieno senza vulnerabilità, ma una persona in carne e ossa, un terrestre che — come te — si allena ogni giorno a conoscersi meglio.
Una persona che non ha finito di crescere, ma ha scelto di farlo con consapevolezza.
Da quel giorno nel pub, ogni volta che alzo un bicchiere in un luogo pubblico, controllo prima chi c’è intorno. Ma solo per brindare (eventualmente) anche insieme ai pazienti che potrei incontrare, alle nostre comuni vulnerabilità di esseri umani, con simpatia e autoironia.
Cin cin 🥂 🍾
Dott.ssa Silvia Pittera
Psicologa e Psicoterapeuta