28/11/2025
A dodici anni, il suo fidanzatino la invitò a seguirlo nel bosco.
Ad attenderla c’erano una dozzina di ragazzi.
Uno dopo l’altro.
Non era un incontro.
Era un’imboscata.
Roxane Gay era una bambina timida, fantasiosa, cresciuta in una famiglia haitiana amorevole.
Scriveva storie, inventava mondi, si rifugiava nei libri.
Nessuno avrebbe mai immaginato che, in un pomeriggio qualunque del Nebraska, la sua vita sarebbe stata spezzata in modo irreversibile.
Quello che accadde nel bosco fu un trauma che la lasciò svuotata, schiacciata da una vergogna che non era sua.
E l’unica risposta che trovò fu il silenzio.
Un silenzio durato anni.
Tornò a casa, si chiuse nella sua stanza e imparò a convivere con un segreto che la faceva sentire “sbagliata”, “rotta”, “colpevole” — parole che ogni vittima di violenza impara troppo presto.
Cominciò a mangiare senza sosta.
Non per gola, non per piacere.
Per costruirsi attorno un’armatura.
Per diventare invisibile.
Per evitare che qualcuno potesse toccarla ancora.
Per anni, il suo corpo divenne una fortezza e la sua mente un luogo pieno di ombre.
Poi, un giorno, da adulta, capì che l’unico modo per uscire da quel bosco era raccontarlo.
Scrivere.
Rendere pubblico ciò che l’aveva distrutta da bambina.
E così fece.
Nacque Hunger, un libro che non è solo un memoir: è una confessione spietata, un atto di coraggio, una mano tesa verso chi ha vissuto lo stesso dolore.
Raccontò del trauma, sì.
Ma anche di ciò che viene dopo:
l’autodistruzione, la rabbia, la difficoltà di vivere in un corpo che non senti più tuo, la lotta quotidiana per proteggersi da tutto — anche da se stessa.
Raccontò ciò che il mondo non vuole sentire:
che guarire non significa dimenticare,
e che certe ferite non si chiudono.
Si imparano.
Roxane Gay divenne una delle voci più importanti del femminismo contemporaneo.
Una scrittrice capace di trasformare il proprio dolore in un linguaggio che libera.
Un linguaggio che non consola: rivela.
In un programma TV, disse una frase che racchiude tutta la sua storia:
“Chiamo ciò che mi è accaduto un incidente.
Lo chiamo così per renderlo abbastanza piccolo da poterlo portare.”
Non minimizzazione.
Sopravvivenza.
Oggi Roxane Gay non è “solo” una scrittrice.
È una donna che ha camminato dentro il peggiore degli inferni e ne è uscita con una verità che non appartiene solo a lei:
che anche nei posti più bui — soprattutto lì —
può nascere una voce.
Una voce che non chiede perdono,
non chiede pietà,
non chiede silenzio.
Una voce che dice:
“È successo.
Io sono ancora qui.
E questa volta, racconto io.”
Piccole Storie
Quella raccontata è l’esperienza personale di Roxane Gay, condivisa nel suo memoir “Hunger”. Una testimonianza che ha toccato molte persone e che invita alla riflessione sul trauma, sul corpo e sulla forza di raccontarsi.