Pellicano Dott. Ezio - Psicoterapeuta

Pellicano Dott. Ezio - Psicoterapeuta Studio di Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale

Mi presento: sono uno psicoterapeuta ad orientamento cognitivo - comportamentale che svolge la propria attività a Collefero e sporadicamente a Roma Mi occupo della diagnosi e del trattamento di problemi di diversa natura: ansia, depressione, fobie, ossessioni e compulsioni, difficoltà relazionali, traumi, problematiche di comunicazione, fobie scolastiche, controllo della rabbia e della frustrazione, fobia sociale, disturbo ossessivo-compulsivo, attacchi di panico, rimuginio, stress, timore del giudizio, paura di perdere il controllo, ipocondria. La Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) si basa, a livello teorico, sul ruolo che i nostri pensieri giocano nel nostro sentire e reagire. Per maggiori informazioni circa la Terapia Cognitivo Comportamentale, dove ricevo ed eventuali contatti vi invito a visitare il mio sito www.psicopellicano.eu. Non è la situazione reale che influenza le nostre emozioni in senso negativo, provocando e mantenendo una difficoltà psicologica, ma quello che si pensa di sé, degli altri o di quanto ci accade.

09/11/2025

Aaron T. Beck diceva che il terapeuta aiuta il paziente a scoprire ciò che già sa.
Questa poesia (AI MIEI COLLEGHI)è il mio tentativo di dire cosa significa, in carne e ossa, accompagnare quel processo con le proprie crepe, le proprie paure,dolori e debolezze, ma sempre con il rispetto per il dolore altrui. È per voi, che ogni giorno scegliete di scendere nelle tenebre altrui, sapendo che il vostro dolore potrebbe risvegliarsi… eppure tendete la mano.
Ai miei colleghi.

09/11/2025

AI MIEI COLLEGHI

Nel buio non si viaggia da soli.
Si cammina accanto a chi trema e del buio ha fatto prigione, della paura respiro.

Io non vengo dalla luce:
conosco il buio, l’ho abitato e vissuto.
Ne ho imparato le curve, i silenzi, i respiri
ed ora sono qui, non per illuminarti la via
ma per restare con te finché non trasformi il buio nella luce che sei.

So che nel buio del tuo dolore
le mie ombre trovano le tue.
Eppure… scelgo di tendere la mano:
con le mie crepe e le mie stelle,
con i miei silenzi e le mie domande,
perché anch’io sono fatto
di notti che ho attraversato,
di ferite che ho imparato
a tenere senza nascondere.

Ed eccomi: scendo nelle tue tenebre,
gradino dopo gradino, non per portare luce dall’alto,
ma per affrontare con te
chi, con la sua falsa luce,
ha oscurato la tua ragione.

E mentre scendo, lascio dietro di me
briciole di luce che, come lucciole nel vento,
pulsano piano non per illuminare la strada,
ma per ricordare a entrambi,
che il ritorno è possibile.

Ogni giorno lascio il mio buio sulla soglia
per entrare nel tuo.
Ogni sera lo riprendo, perché anche il mio ha diritto alla luce.
Ma mentre sono qui, con te,
non porto luce dall’esterno
porto solo lo sguardo che sa attendere
finché non vedi da te
che persino nell’oscurità più f***a
c’è un bagliore che ti riconosce.

E attendo, quando non ti fidi
neanche di te, quando ogni gesto sa di inganno,
ogni parola cela una trappola.
Non insisto. Non prometto.
Resto.

E nel restare,
lo spazio diventa terra
e in quella terra la fiducia germoglia,
non perché la chiamo,
ma perché ogni giorno
scelgo di starti accanto
con il rispetto che il tuo dolore merita.
Senza fretta.
Senza richieste.
Solo con te.

Così, ogni incontro
è un cammino nella stessa notte
fino a quando
tu diventerai alba
e camminerai
con i tuoi passi soli.
Io sarò lì
a vederti sorgere.

Alla fine tornerò al mio buio
solo,
come si deve, ma con una briciola di luce in più
la tua.
Pronto a tendere la mano a chi nel buio trema,
………e il cammino ricomincia

P.E.

"Il terapeuta non insegna al paziente ciò che deve pensare,
ma lo aiuta a scoprire ciò che già sa.”
Aaron T. Beck

04/11/2025

LA CERIMONIA DEL TE’
Un giorno l’allievo chiese al maestro:
«Cosa significa versare una tazza di tè?»
Il maestro lo guardò a lungo, poi domandò:
«A che epoca appartieni?»
«All’epoca dove poggiano i miei piedi», rispose l’allievo.
«Allora versa con lentezza, perché i tuoi piedi stanno su un terreno che trema.”
Mentre il tè scendeva lento nella tazza, disse:
«Ascolta. Versare il tè oggi non è un semplice gesto, è resistenza.
Pensa a com’è la vita là fuori dove tutti corrono soli e distrattamente veloci sulla va più breve”
“Cosa ci siamo dimenticati “Rispose l’allievo.
Il maestro girando la tazza per due volte in segno di rispetto verso il suo ospite rispose
“ L Armonia, perché il mondo corre senza meta:
tu versa con ritmo, non con fretta.
Il Rispetto, perché tutti guardano, ma nessuno vede:
tu offri il tè come si offre un cuore, senza distrazione.
La Purezza, perché si accumula senza bisogno,
tu tieni poco, ma lo coltivi con cura.
La Tranquillità, perché si è soli anche in mezzo alla folla,
tu siedi in silenzio, e lascia che il tè ti ricordi chi sei. “
Versare una tazza, oggi,
significa dire “no” senza parole:
no alla velocità che svuota il tempo,
no alla distrazione che uccide l’incontro,
no al consumo che riduce l’umano a scelta di scaffale,
no alla solitudine vestita da connessione.
Eppure, basta un gesto lento,
un respiro, una tazza fumante tra le mani, per ricordare che l’umanità
non si misura in click, ma in attimi condivisi con cura.
L’allievo bevve in silenzio.
E per la prima volta dopo tanti giorni,
sentì i propri piedi davvero poggiare a terra.
P.E

In formazione....
27/10/2025

In formazione....

LA DIPENDENZA AFFETTIVA ED IL GANCIO CHE CI LEGA AD UN NARCISITA: Analisi di una frase detta da una mia paziente."Io son...
25/10/2025

LA DIPENDENZA AFFETTIVA ED IL GANCIO CHE CI LEGA AD UN NARCISITA: Analisi di una frase detta da una mia paziente.

"Io sono una persona speciale. Non so come definirti e definire il nostro rapporto… diciamo che tu sei la mia donna.”
Questa frase è stata pronunciata da una mia paziente in seduta, mentre descriveva un legame segnato da forte dipendenza affettiva, confusione emotiva e un bisogno disperato di rassicurazione. Questa frase è lo specchio di una dinamica relazionale sempre più diffusa e clinicamente rilevante.
Il peso dell’aggettivo “mia” Fermiamoci su quell’“mia”.

Non è un semplice possessivo affettuoso.È un marcatore psicologico potente, che assume significati diversi a seconda di chi lo usa… e di chi lo riceve.
• Per chi lo pronuncia con tratti narcisistici, “mia” è un atto di possesso simbolico: “Ti tengo legato emotivamente, ti definisco come mio, ma non ti riconosco come pari né ti concedo un posto chiaro nella mia vita.”
• Per chi lo pronuncia con dipendenza affettiva, “mia” è una preghiera mascherata da affermazione: “Voglio sentirti vicino, anche se non so se posso davvero contare su di te.”
Ma c’è un terzo livello, spesso trascurato:
Il risvolto positivo (o illusorio) per chi ascolta
Per chi riceve questa frase — soprattutto se ha bassa autostima, attaccamento ansioso o schema di deprivazione emotiva — quell’“mia” può suonare come:
• Un riconoscimento: “Finalmente qualcuno mi vede, mi sceglie, mi rivendica.”
• Una promessa implicita: “Se sono la sua donna, allora conto qualcosa. Allora non sarò abbandonato/a.”
• Un’àncora emotiva: in un mare di incertezza, quella parola diventa l’unico punto fermo.
Chi la ascolta: tratti di personalità e vulnerabilità
Chi riceve frasi del genere è particolarmente esposto se presenta:
• Tratti di personalità dipendente: bisogno eccessivo di essere accudito, paura di separarsi, difficoltà a prendere decisioni senza rassicurazione;
• Stile di attaccamento ansioso: tendenza a iper-idealizzare il partner e a interpretare ogni gesto ambiguo come un segnale da “decifrare” per salvare il rapporto;
• Schema di deprivazione emotiva: convinzione profonda di “non meritare un amore chiaro, stabile, rispettoso”.
In questi casi, il cervello attiva meccanismi di attaccamento iperattivi: ogni “mia” viene registrato come prova di sicurezza, anche quando il comportamento del partner contraddice quelle parole.
Le conseguenze psicologiche nel tempo
Questa dinamica, se protratta, può innescare:
• Ansia cronica da attesa: “Cosa sono per lui/lei? Quando mi riconoscerà davvero?”;
• Autodubbi ricorrenti: “Forse non sono abbastanza? Forse devo meritarmi un’etichetta?”;
• Dipendenza affettiva strutturata: la persona inizia a cercare continue conferme, scambiando l’ambiguità per profondità;
• Perdita graduale dell’autonomia emotiva, fino a far coincidere il proprio valore con lo sguardo dell’altro;
• Isolamento sociale: la relazione diventa così totalizzante da allontanare amicizie, famiglia, interessi personali.
Nel caso della mia paziente, quel “mia” era diventato il simbolo del suo valore: ogni volta che lo sentiva, si sentiva “scelta”. Ma più ci faceva affidamento, più perdeva di vista se stessa e più il partner poteva permettersi di restare vago, distante, ambiguo.
Il “mia” come gancio relazionale tossico
Ed è proprio qui che si forma il gancio relazionale tossico:
Il “mia” del narcisistico incontra il bisogno di appartenenza del dipendente.
Uno vuole possedere senza impegnarsi; l’altro vuole appartenere a ogni costo.
L’aggettivo “mia” diventa così il collante invisibile di una relazione asimmetrica:
• per chi lo dice, è un modo per tenere l’altro vicino senza doveri;
• per chi lo ascolta, è la prova (illusoria) di essere amati.
Un avvertimento necessario
Se il tuo partner ti parla così — soprattutto se lo fa da mesi, senza mai assumersi responsabilità, trasparenza o reciprocità — non è poesia.
È mancanza di coraggio emotivo… o, peggio, manipolazione affettiva.
Come scriveva Aaron T. Beck:
“Non sono gli eventi a ferirci, ma il significato che diamo loro.”
E quando diamo un significato d’amore a parole che negano l’impegno ad un “mia” che non si traduce in rispetto, cura o chiarezza ,rischiamo di perdere non solo la relazione, ma noi stessi.
La via d’uscita
Riconoscere il potere simbolico di parole come “mia” è il primo passo per smettere di cercare valore negli sguardi altrui. Una relazione sana non ha bisogno di enigmi per esistere.
Ha bisogno di parole chiare, gesti coerenti… e un “mia” che si accompagna a un “noi”.
E se ti ritrovi in questa dinamica, ricorda:
Non hai bisogno di essere “la sua donna” per valere.
Hai bisogno di essere riconosciuta, rispettata e scelta — ogni giorno, con chiarezza.

20/10/2025

“Resilienza: non è nascere forti, ma imparare a ricostruirsi con mente e cuore”

02/10/2025

LA FRAGILITA' DELLA COSCIENZA COLLETTIVA.

In un periodo dove si devono pesare le parole per PAURA di essere etichettati ( grave forma di censura subdola) ,la metto sul vago ...ogni riferimento letto tra le righe non è puramente casuale e non è frutto di fantasia. ( Post lungo proprio perché ,in tempi di social e post brevi, stiamo perdendo la capacità di riflettere su ciò che leggiamo)

IDEALISTA e SCETTICI, due sognatori, condividono lo stesso desiderio di un mondo migliore, due anfore diverse che riempiono dal medesimo sogno di luce e speranza. L’idealista innalza il proprio sogno come verità sacra, portando nel cuore valori nobili e giusti. Lo scettico, con occhi sospettosi, dubita di tutto, ma nel profondo anela anch’egli a un domani di pace e purezza. Entrambi si credono portatori di verità, e nel loro credo si fanno giusti, mentre gli altri li giudicano cattivi.

Tra le pieghe di questa convinzione si apre una crepa, un solco oscuro nella coscienza collettiva, dove paura e odio prendono radice seminati dall'indinuarsi del Dio Inganatore, una figura che si nutre delle vulnerabilità umane e che raccoglie il frutto della violenza che tutti, involontariamente, alimentano ma che vogliamo combattere..Le sue voci si insinuano nel vento dei dubbi, facendo credere che l’altro sia nemico e che la violenza sia l’unica via per proteggersi. Così, la collettività si sbriciola, smembrata in mille pezzi, incapace di riconoscere il proprio volto e il proprio sogno condiviso.

Il suo scopo è chiaro: dividere, seminare paura, alimentare odio, affinché il cuore della gente diventi terreno fertile per le sue menzogne. E più la paura cresce, più la sua potenza si rafforza, lasciando l’umanità smarrita, schiava di illusioni e cuori avvelenati. Fa' leva sul bisogno di unità senza farti rendere conto che stai dividendo e cosi la guerra tra i sogni e i dubbi rischia di spegnere la luce della solidarietà, di dividere le anime e di rallentare il passo verso un cambiamento finalmente possibile, lasciando un umanità smarrita, incapace di unirsi e bisognosa di una guida per ogni fazione. Nella lotta contro la violenza, rischiamo di perdere la via della pace, scivolando in un vortice oscura, dove l’odio si moltiplica e il sogno di un mondo senza guerre si dissolve come nebbia sotto il sole......mentre seguiamo il pifferaio magico.

30/09/2025
26/09/2025

UCCIDI MA NON VUOI MORIRE
Nel mondo di oggi, molte persone o istituzioni agiscono con violenza, inganno e oppressione, spesso senza desiderare realmente di perdere tutto o di essere punite. Sono motivati da bisogni di potere, paura o insicurezza. La frase "Uccidi ma non vuoi morire" si applica a criminali, dittatori, o anche a violenti che, pur causando sofferenza, temono la fine, la perdita del proprio status o il senso di impunità.
Può rappresentare anche le persone coinvolte in comportamenti autodistruttivi, come dipendenze o violenza domestica, che agiscono con violenza ma temono la fine definitiva, la morte o il cambiamento.
Del resto, questa frase sottolinea come il vero motivo di tanta superficialità e male nel mondo sia un desiderio irrisolto di sopravvivere a ogni costo, anche se questo significa ferire gli altri. Un messaggio che invita a riflettere sulla natura umana, sui motivi nascosti dietro al male e sulla fragilità che si cela dietro le azioni più crudeli.

"La giusta definizione di ‘bambino’? Essere nato sulla coordinata giusta."  Se questa frase suona forte è perché raccont...
23/09/2025

"La giusta definizione di ‘bambino’? Essere nato sulla coordinata giusta."
Se questa frase suona forte è perché racconta una verità scomoda: i diritti dell'infanzia troppo spesso dipendono dal punto geografico in cui si nasce. Nella stessa città, in due quartieri diversi, un bambino può avere accesso a scuola, cure e documenti; l'altro può essere invisibile. Allo stesso modo, tra Stati, la linea sul confine decide chi ha protezione, chi resta apolide, chi subisce discriminazioni o espulsioni.

Dalla microcomunità ai conflitti internazionali, la “coordinata” plasma opportunità e privazioni. Emarginazione significa non avere diritto alla voce, alla salute, all'istruzione — diritti che dovrebbero essere universali. Quando la nascita diventa una condizione di privilegio, la società perde la propria umanità e riproduce ingiustizie.

Non è abbastanza indicare il problema: serve agire. Registrazione universale delle nascite, accesso garantito all'istruzione e alla sanità indipendentemente dalla cittadinanza, protezione speciale per i minori nei conflitti e politiche locali inclusive sono passi concreti. Le comunità e gli Stati devono riconoscere che un bambino non è una coordinata su una mappa, ma un diritto da difendere ovunque.

Se crediamo nell'uguaglianza, cominciamo a rimuovere le coordinate che escludono. Un bambino è tale ovunque nasca — e merita di esserlo davvero.

Intervista allo psicologo Ezio Pellicano (La Caramella Buona) su cosa si nasconde dietro i gruppi online dove gli uomini...
09/09/2025

Intervista allo psicologo Ezio Pellicano (La Caramella Buona) su cosa si nasconde dietro i gruppi online dove gli uomini condividono foto delle partner a loro insaputa

Cosa si nasconde dietro i gruppi online dove gli uomini condividono foto delle partner a loro insaputa

Indirizzo

Via Latina 192
Colleferro
00034

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 20:00
Martedì 09:00 - 20:00
Mercoledì 09:00 - 20:00
Giovedì 09:00 - 20:00
Venerdì 09:00 - 20:00
Sabato 09:00 - 20:00

Telefono

+393513861399

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