30/01/2023
"LA RIDUZIONE DEL DANNO SALVA VITE"
I servizi italiani di riduzione del danno per il consumo di droghe sono stati per anni tra i migliori al mondo, ma ora sono in difficoltà. La mancanza di un piano nazionale crea disuguaglianze e isolamento sociale.
Ma quali sono i territori scoperti? com'è la situazione al Sud ed in alcune regioni del Nord? scoprilo leggendo l'articolo di Luigi Mastrodonato "Serve uno sguardo diverso sulla tossicodipendenza" pubblicato su L'Essenziale: https://www.essenziale.it/notizie/luigi-mastrodonato/2023/01/09/sguardo-diverso-tossicodipendenza dove si parla anche di noi e della situazione torinese.
“C’è un paradosso italiano sui servizi di riduzione del danno. Per anni sono stati tra i migliori del mondo ma con il tempo sono emerse problematicità perché non sono mai stati inclusi nei piani d’azione nazionali sulle droghe. Se si lavora bene nei territori, ma manca una politica nazionale, si fa un centesimo di quello che si potrebbe fare”, spiega Susanna Ronconi di Forum Droghe.
I decessi per overdose in Italia sono crollati da più di mille nel 1999 a 293 nel 2021, ma non basta. Lo scorso ottobre l’Onu ha bacchettato l’Italia per insufficiente disponibilità di programmi di riduzione del danno, a novembre Harm reduction international ha evidenziato criticità in termini di copertura territoriale, assenza di stanze del consumo, chiusura dei drop-in e scarsa reperibilità del naloxone. Per quanto riguarda il farmaco, è bastato fare un test a Milano per averne conferma: su una dozzina di farmacie visitate, solo due ce l’avevano.
"Il modello Torino"
A Torino le cose vanno storicamente bene sul tema della riduzione del danno. Qui nel 2019 è stata firmata la prima delibera regionale italiana che recepisce le prescrizioni nazionali sui Lea. Nel 1997 è nato il primo drop-in italiano. Nella vicina Collegno è sorta la prima e finora unica cosa che più somiglia a una stanza del consumo in Italia, uno spazio autogestito dalle persone che usano droga di fianco al Drop In puntOFermo AslTo3.
Torino è stata anche la prima città italiana a offrire un servizio stabile di drug checking, che già avveniva informalmente al Lab57 di Bologna. Lo sportello torinese, dove è disponibile anche il materiale di Chemical Sisters, un collettivo che fa riduzione del danno con focus su donne e persone non binarie, è gestito dal Progetto Neutravel, una partnership tra settore pubblico e privato sociale.
Lo spazio apre al pubblico ogni venerdì sera ed è pieno di materiale informativo sulle droghe e i rischi delle miscelazioni. Su una scrivania è posato uno spettrometro Raman, uno strumento da quasi 40mila euro che identifica in pochi secondi la composizione delle sostanze. A maneggiarlo c’è un chimico. Il consumatore pone la sua bustina davanti all’obiettivo del macchinario, che in pochi secondi dà il risultato. “Chi scopre di avere in mano qualcosa che non si aspettava decide di non assumerla nel 60-70 per cento dei casi”, spiega Elisa Fornero, coordinatrice di Neutravel per la cooperativa sociale Alice Cooperativa Sociale Onlus. “Quando invece il test conferma le aspettative c’è comunque fino a un 15 per cento dei casi che sceglie di non assumere la sostanza in seguito all’attività di counseling”.
Torino è anche la città dove si è affermato il peer support. “Negli anni novanta è successa una cosa clamorosa in città: le Asl hanno assunto persone con un trascorso di tossicodipendenza così da mettere a frutto la loro esperienza diretta con il mondo del consumo e la loro conoscenza delle reti territoriali”, spiega Alessio Guidotti di ItaNPUD – Network italiano delle persone che usano droghe. Si è innescato così un processo di empowerment e inclusione di consumatori e consumatrici. “Queste persone hanno cambiato la loro storia di consumo diventando figure educative professionali”.
Eppure anche il modello Torino scricchiola. Il drop-in Punto Fermo ha chiuso temporaneamente alla fine del 2020 per assenza di fondi. Il servizio di pronta assistenza per tossicodipendenti dell’Asl ha subìto la stessa sorte. Anche Neutravel non ha garanzie economiche di poter continuare il suo lavoro, dal momento che i finanziamenti regionali hanno scadenza biennale e questa incognita perenne limita la progettualità.
“La vita di una persona che usa droga nei territori in cui non c’è riduzione del danno è fatta di isolamento perché la riduzione del danno ha come primo obiettivo quello di istituire connessioni tra un sistema che si prende cura delle persone e le persone che usano droghe in quanto soggetti fortemente stigmatizzati e marginalizzati”. L’assenza di questi servizi crea una spirale di conflitto sociale. “Al contrario, una realtà che offre spazi dove iniettarsi, materiale pulito, infermieri, persone con cui parlare, è una realtà che permette di esercitare appieno il diritto di cittadinanza. E questo può essere lo stimolo migliore per cambiare”, continua Pino di Pino della rete ITARDD-Network Italiano Riduzione del Danno. “La riduzione del danno è certamente un insieme di prestazioni, ma è anche e soprattutto una prospettiva diversa, pragmatica e rispettosa dei diritti umani, con cui guardare le persone che usano droghe”.