Chi sono
Mi chiamo Agnese Fiorino e sono una Psicologa, Neuropsicologa, Psicoterapeuta. Se penso a quanti anni avevo quando ho deciso di fare questo lavoro risponderei dieci anni: avevo trovato in casa un libriccino sul come interpretare i sogni e passai tutta l’estate a scrivere i sogni che facevo sul diario appena sveglia per non dimenticarne nemmeno un dettaglio. Pochi anni dopo fu la volta della lettura di “Noi i ragazzi dello zoo di Berlino” e di “Alice ed i giorni della droga” a scuola e di una mostra sulle droghe e gli effetti sul cervello a cui ci portarono. Ricordo ancora quanto mi sorprese pensare che c’erano parti del cervello specializzate per attività molto diverse: alcune aree del cervello servivano per parlare, altre per vedere, altre per sentire...E che esistevano macchine apposta per studiarlo. Ma il mio pallino in quel periodo era capire i sogni, dare loro un senso. A volte così tanto spaventosi, altre divertenti, la maggior parte delle volte del tutto bizzarri. Così tornai a leggere, ma invece del libriccino sui sogni e sui numeri da giocare al lotto mi diressi verso Freud...E dopo dieci pagine, scoraggiata da quelle parole troppo complicate per una ragazzina delle medie, lo lasciai lì. Arrivò l’adolescenza: il libro leit motiv di quel periodo per me rimane l’autobiografia di Maria Hornbacher ,“Sprecata”. Uno dei più bei libri sui disturbi del comportamento alimentare, sulle famiglie infelici e su quanto la mente possa costruire ed incatenarsi in abissi di dolore profondo fino quasi alla autoestinzione per poi, toccato il fondo, iniziare piano piano a risalire a galla. Non c’era un vero e proprio lieto fine alla Disney, ma è lì che per la prima volta maturai rispetto, stima ed ammirazione per le storie di vita dolorose, toste, estreme. Chi sopravvive e resta mentalmente integro dopo essere passato attraverso certe infanzie ed adolescenze ha in sè risorse mentali pazzesche, ha la mente con il motore di una Ferrari. Questo in seduta non mi stancherò mai abbastanza di sottolinearlo. Più o meno dello stesso periodo: “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estes. E da lì tutto il percorso verso l’Antropologia culturale e la curiosità verso le origini delle Fiabe. Le fiabe come narrazioni del gruppo, come veicoli di significato condiviso, come portatori di messaggi transgenerazionali. Tesina di quinto Liceo,1999: ancora Psicologia a fare da filo rosso. Questa volta è il film “The Truman show” ad ispirarmi. Orwell, Huxley, inizio a leggere testi di Psicologia Sociale. Marketing, comunicazione, mass-media. Università: Pubbliche relazioni, Medicina o Psicologia? Ricordo bene la scelta: scarto Medicina perchè a me interessa la mente, non il corpo. Scarto Pubbliche Relazioni perchè voglio curare, non vendere. Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, 2004: mi laureo in Psicologia Generale e Sperimentale con una tesi di ricerca sulla Neuropsicologia e le Neuroimmagini. Osservo i Tutor somministrare i test cognitivi ai pazienti, aiuto con le elaborazioni e le interpretazioni dei dati ricavati dalle scansioni cerebrali fatte con la Risonanza Magnetica Funzionale. Ma la parte che mi resta maggiormente nel cuore, ancora più che la ricerca, è il contatto con i pazienti. La Neuropsicologia clinica è l’ambito in cui scelgo di fare l’anno di tirocinio: due passioni si intrecciano. L’approccio clinico al paziente si unisce alla concretezza rigorosa e precisa della Neurobiologia. Siamo una mente incarnata in un cervello, e per conoscere l’una non si può prescindere dalla conoscenza dell’altro. Passano gli anni ed in mezzo un Dottorato di Ricerca in Psicobiologia svolto in ambito sanitario che mi obbliga a dividermi tra due Ospedali milanesi. Ormai mi muovo bene con le diagnosi neuropsicologiche, la pratica testistica e di scrittura di referti inizia a diventare salda, mi sento bene nel camice bianco che indosso quotidianamente. C’è però una parte di me che sente che manca un pezzo. Le storie dei pazienti neurologici, giovani o anziani che siano, sono cariche di dolore intenso e inizio a restarne sempre più scottata. Quando li incontro in Ambulatorio o li visito in Reparto per una valutazione neuropsicologica spesso la loro sofferenza prende spazio e tracima nelle fasi iniziali di conoscenza, quando si inizia a raccogliere l’anamnesi. Mi sento in alcuni giorni impotente, in altri sommersa, in altri ancora arrabbiata per non avere strumenti effettivi utili. Quello che so fare non mi basta più. Milano, 2009: dopo tanti colloqui inizio la Scuola di Psicoterapia. Scelgo una Scuola nuova, una Scuola che parte proprio quell’anno, una Scuola che sulla carta si presenta lontanissima da tutte quelle che in quel momento sono le mie certezze, le mie aree di comfort. In molte Scuole di Psicoterapia sembra contare la bravura nello studio come all’Università. In altre conta la competenza neuropsicologica. Le rifiuto tutte. Non so nulla di Meditazione, di Mindfulness, ma mi innamoro della possibilità di imparare un linguaggio nuovo. Io che sono una che pensa e parla a velocità della luce scelgo di imparare la lentezza. Io che sono perennemente distratta a rimuginare sulle cose brutte del passato o a preoccuparmi del futuro per prevederlo e controllarlo inizio a fare pratica del presente. Io che sono abituata a raccontarmi secondo storie di me antiche, costruite in relazioni affettive totalmente imperfette e dolenti, inizio a parlare di me sentendo quel che sta accadendo nel corpo e nella mente nel momento in cui lo narro. Faccio il Tirocinio in un posto che mi cambierà la prospettiva: in un Centro dedicato alle maternità difficili, alle maternità sofferte. Donne in gravidanza e nel post partum con ansia, con depressione. Alcune mamme parlano di come abbiano cercato di uccidersi o di come abbiano cercato di uccidere la propria creatura. Altre, delle allucinazioni nelle prime settimane dopo il parto. Sono storie forti. Poi la storia, con la Terapia, inizia a cambiare. E se cambia per mamma cambia anche per suo figlio. Non è solo Terapia, è quasi un atto rivoluzionario. La mamma è contenta, anche il bambino migliora. Questa è prevenzione, questo è investire sul benessere delle future generazioni a lungo termine. Mi sento amato, mi sento amabile, costruirò delle relazioni sane.
Inizio la mia Psicoterapia personale. Inizio a lavorare in Studio privato. Inizio a fare Supervisioni. I primi anni sono stati faticosissimi: nella Neuropsicologia hai la diagnosi neurologica ed i test psicometrici a fare da bussola, a farti sentire tranquilla del risultato, a darti la certezza che non stai perdendoti nell’oceano dell’ignoto. Hai il contesto ospedaliero ed il camice bianco a creare un setting rigoroso, spesso tutelante quando l’altro fa troppo male. In Studio si è solo in due. Ed il Terapeuta non è uno schermo neutro ma partecipa attivamente con il Cliente alla costruzione della relazione. In soldoni, vuol dire che il Terapeuta si porta nella stanza di Terapia non solo le sue competenze professionali ma anche il suo personalissimo modo di essere e di leggere la realtà che arriva da quella che è stata la sua personale esperienza di vita. Ecco perchè secondo me è di vitale importanza che il Terapeuta faccia una propria Terapia: rischia, se inconsapevole di come funziona la propria mente, di creare cicli relazionali con il Cliente tossici per entrambi. Storie, storie, ancora storie. Siamo avidi ascoltatori di Storie noi Terapeuti. Alcune sono agrodolci, altre teneramente scombinate. La maggior parte è piena di tenebre, di denti digrignanti e di bambini sconsolati piangenti nel buio. E tu che ascolti quando sei un giovane professionista scopri che è come camminare come sulle uova. Un passetto, un altro, una piroetta sperando di non fare male, di non danneggiare ancora quell’involucro preziosissimo già mezzo acciaccato. E realizzi che, ancora, non hai finito di studiare. Era una consapevolezza che avevo maturato già ai tempi del Tirocinio nel Centro dedicato alle mamme. Metto insieme quello che amo fare. Sono appassionata del cervello, mi lascia sempre senza fiato la sua potenza, le sue infinite possibilità. Mi piace la Neuropsicologia, trovo entusiasmanti le Neuroscienze. Amo lavorare con le coppie e con le famiglie, mamme e papà. Se ci prendiamo cura di loro, dei loro traumi, dei loro dolori esistenziali implicitamente salvaguardiamo anche i loro figli. Creiamo reti virtuose di benessere, diminuiamo le probabilità di trasmettere anche alle generazioni future i traumi delle generazioni passate. Amo lavorare con le storie molto, troppo dolorose. C’è sofferenza ma ci sono anche delle risorse che gli altri, quelli fortunati con le mamme buone, non hanno dovuto sviluppare sin dall’infanzia per sopravvivere. Mi avvicino alle nuove frontiere della Psicoterapia rivolta al trattamento del Trauma: EMDR, Psicoterapia Sensomotoria, Psicotraumatologia. Il corpo, che spesso ancora di più della mente serba le memorie traumatiche, entra nello studio del Terapeuta, ed è da lì che spesso si parte per curare la mente. L’attenzione al corpo, proprio come nella Meditazione, nella Mindfulness.
Negli ultimi anni si è visto, dati di Neuroscienze alla mano, che il cervello resta plastico per tutta la durata dell’esistenza. La Psicoterapia è in grado di muovere il cervello sul piano neurobiologico: non sono solo parole, sono fatti. Si creano nuove reti neurali, si spengono aree del cervello emotive troppo attive, se ne attivano altre più in grado di promuovere comportamenti utili. Gli eventi dolorosi del passato, traumatici e non, possono essere rielaborati, nuove reti neurali possono essere create. Nella stanza del Terapeuta il Cliente impara con il tempo a narrare nuove storie di sè, che non cancellano quella che è la storia dalla quale arriva, ma che gli danno la possibilità di creare il proprio futuro in maniera più libera, più flessibile, più serena.