25/11/2025
Ci sono parole che scorrono via come acqua, e poi ci sono parole che rimangono lì, ferme, piantate nello stomaco.
Non perché fanno rumore, ma perché fanno verità.
E oggi quella verità fa male.
Viviamo in un tempo in cui sappiamo tutto di tutti, ma non sappiamo più guardare negli occhi chi amiamo.
Un tempo in cui basta un gesto, un’impressione, un pregiudizio… per decidere cosa sia “giusto” per un bambino.
E allora succede l’impensabile:
si giudica chi sceglie la natura come fosse un crimine,
si accetta la dipendenza dallo schermo come fosse normalità.
Perché sì, sembra incredibile, ma è così:
un bambino che cresce tra gli alberi, gli animali, il silenzio buono del mondo… viene considerato “a rischio”.
Un bambino che cresce davanti a un cellulare… no.
E allora viene da chiedersi:
quando abbiamo smesso di capire davvero i bisogni dei più piccoli?
Una famiglia aveva scelto una vita diversa.
Una vita fatta di mani sporche di terra, non di dita che scorrono sui display.
Di corse nei prati, non di corse tra un appuntamento e l’altro.
Di serate che finiscono con il cielo, non con le notifiche.
Avevano scelto la natura non per scappare dal mondo, ma per abitarlo meglio.
Per insegnare ai loro figli che la felicità può essere semplice.
Che la libertà è una forma di educazione.
Che il legame con ciò che è vivo – il bosco, gli animali, il tempo – ti costruisce dentro.
E invece cosa abbiamo fatto?
Abbiamo guardato tutto questo con sospetto.
Perché ciò che non capiamo ci spaventa.
Perché ciò che non è conforme diventa un problema.
Perché è più facile etichettare che comprendere.
Ma un bambino non impara solo da altri bambini.
Impara dal mondo.
Da chi lo ama.
Dal modo in cui gli adulti gli parlano, lo ascoltano, lo toccano, lo guardano.
Impara dall’aria che respira, dalle emozioni che vede, dalle presenze che sente.
E allora perché strappare via tre bambini da quel mondo che li faceva crescere?
Perché decidere che ciò che non è comune non possa essere comunque sano?
Perché confondere “diverso” con “pericoloso”?
La verità è semplice e spietata:
non abbiamo più il coraggio di accettare che ci siano modi di vivere che non conosciamo.
Non abbiamo più la pazienza di capire.
Non abbiamo più l’umiltà di ascoltare.
E i bambini pagano tutto questo.
Perché un bambino non ha bisogno di una casa perfetta.
Ha bisogno di una casa che ami.
Non ha bisogno di mille attività.
Ha bisogno di un adulto che ci sia davvero.
Non ha bisogno di luci, rumori, schermi.
Ha bisogno di una presenza calda, piena, viva.
Una cosa sola dovrebbe guidarci, e non è la comodità.
Non è il giudizio.
È il cuore.
E tutto il resto, bosco o città, silenzio o rumore, natura o tecnologia…
viene dopo.
Molto dopo.