20/11/2025
🏵LA FUNZIONE DEL MAESTRO
Nelle tradizioni più antiche, la figura del maestro non coincide con la persona che insegna tecniche, non è un motivatore e non è un terapeuta. Il maestro è il Divino che attraversa una forma umana per risvegliare nello studente ciò che lo studente ha dimenticato di essere. La sua presenza non aggiunge nulla: rimuove. Non modella l’identità: ne spezza la rigidità. Non consolida la mente: la rende trasparente.
●Gli Śāstra parlano del maestro come di una realtà verticale, una risonanza capace di dissolvere l’oscurità interiore. La persona è come un legno, la funzione è il fuoco; il legno dà forma alla fiamma, ma la fiamma non appartiene al legno. Per questo la tradizione dice: il maestro non è una figura, è una soglia.
●Il primo movimento che un maestro autentico suscita nello studente è la shraddhā, la capacità del cuore di riconoscere la verità prima della mente. La shraddhā non è fede né fiducia emotiva: è un ricordo profondo che emerge quando si entra in contatto con una presenza trasformativa. Il maestro non la impone, non la richiede, non la pretende: la evoca. È come se toccasse una corda rimasta muta per anni e quella corda, finalmente, suonasse.
●Il secondo movimento è il bhāva, la vibrazione interna che permette alla trasformazione di accadere. Ogni vero cambiamento nasce dal bhāva e non dall’intelletto. Il maestro opera sullo stato, non sulle idee. Modifica la qualità del sentire, e attraverso quella qualità tutto ciò che deve cadere cade, e tutto ciò che deve emergere emerge. Per questo nella presenza di un maestro autentico le parole sono meno importanti della vibrazione che le porta.
●La funzione del maestro è condurre lo studente ai piedi della verità, là dove l’ego non può più difendersi e il Sé può finalmente mostrarsi. La resa che nasce accanto al maestro non è sottomissione psicologica, ma il momento in cui lo studente smette di proteggere ciò che non è mai stato suo. La verità non entra “per convincimento”, ma attraverso un cedimento spontaneo della struttura mentale.
Il maestro è anche un catalizzatore: accende il fuoco che già vive nello studente. Le Upaniṣad paragonano questa relazione al contatto fra due legni: uno è già acceso, l’altro no.
●Nelle diverse tradizioni spirituali il maestro ha molti nomi: Buddha, Bodhisattva, Shaikh, Santo, Gnostico, Amico Spirituale. Le culture cambiano, il linguaggio cambia, ma la funzione è identica: una presenza capace di risvegliare la verità latente nell’essere umano. I nomi sono molti, la sorgente è una sola.
●Le Scritture riconoscono diverse modalità in cui la funzione del maestro può manifestarsi. Alcuni maestri agiscono come fuoco: bruciano la radice dell’ignoranza, spezzano le illusioni, provocano chiarezza anche quando brucia. Accanto a loro l’ego non sopravvive intatto: si spezza e la persona rinasce. Altri maestri operano con la compassione: sciolgono lentamente le difese del cuore, aprono senza ferire, accompagnano senza forzare. Altri ancora agiscono attraverso la conoscenza: portano luce nella mente, dissolvono l’errore con precisione, mostrano il Sé con la chiarezza di una lama. Altri infine operano nel sottile: parlano poco, trasformano molto; la loro presenza lavora in profondità, come un vento invisibile che sposta montagne interiori. E poi gli Avatār, come Sri Sathya Sai Baba che in questo secolo ha rappresentato e rappresenta tutti quanti gli aspetti.
●Non è il maestro a dichiarare quale modalità lo attraversi. È lo studente a riconoscerlo da ciò che accade dentro di sé. Accanto al fuoco si sente rottura, lucidità, intensità; accanto alla compassione si sente uno scioglimento dolce; accanto alla conoscenza una chiarezza che taglia; accanto alla via sottile una trasformazione silenziosa che sfugge alle parole. Non serve che il maestro dica cosa è: la funzione si mostra da sé.
Accanto ai maestri veri esistono anche quelli inconsapevoli, che parlano d’amore senza portare trasformazione, che imitano la dolcezza spirituale senza avere la radice. Possono essere sinceri, ma non sono strumenti della forza. Creano emozione, non bhāva. Creano attaccamento, non libertà. Chi incontra un maestro autentico lo riconosce perché qualcosa in lui non può più tornare com’era.
●Un maestro vero libera. Non vincola, non manipola, non promette. Non attira verso di sé: attira verso la sorgente. La sua presenza diventa uno specchio in cui lo studente vede non il maestro, ma la parte più vera di sé stesso. Alla fine, l’opera del maestro non è formare seguaci, ma restituire allo studente il proprio sé luminoso. Quando la presenza interna si risveglia, il maestro esterno non è più necessario. La funzione si ritrae, la libertà rimane.
Così, in ogni epoca e in ogni tradizione, la figura del maestro rimane la stessa: non una persona da idealizzare, ma un punto attraverso cui la Verità si ricorda, si accende e si trasmette. Chi lo incontra viene trasformato. Chi è pronto lo riconosce. Chi lo segue davvero, non segue un uomo: segue la parte più alta di sé che quel maestro ha risvegliato.